L’azione sociale del curatore? 5 anni di prescrizione

Il curatore fallimentare, in ragione dell’inscindibilità dell’azione, non può assumere separate iniziative giudiziarie per conseguire il medesimo risultato teso al ripristino del patrimonio della società fallita, dovendo presumersi, laddove non abbia specificato il titolo sottostante, che abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni sociali.

Il caso. L’ex amministratore unico di una società si vedeva respingere l’appello proposto contro la decisione del Tribunale di primo grado che aveva accolto la domanda, proposta dal curatore fallimentare, di condanna al ristoro del danno derivato da gravi irregolarità da lui consumate nella gestione della società. Insomma, l’ex amministratore veniva condannato al pagamento di 350mila euro. Il ricorso per cassazione, presentato dall’ex amministratore, si fonda su tre motivi e, con l’accoglimento del primo, gli altri vengono assorbiti. Quale azione? Nel ricorso si adduce che la Corte di merito ha errato a rigettare l’eccezione di prescrizione del ricorrente, che si fonda sull’assunto che il cumulo, ai sensi dell’art. 146 legge fallimentare, nell’unica azione di responsabilità esperibile da parte del curatore fallimentare, nell’azione spettante alla società art. 2392 c.c. e di quella dei creditori sociali art. 2394 c.c. , comporta che il dies a quo del termine di prescrizione possa identificarsi tanto nella data di cessazione dell’amministrazione della sua carica che in quella in cui si è manifestata l’insufficienza patrimoniale, desumibile anche dalla dichiarazione di fallimento, cosicché, prescritta l’una azione, l’altra può restare comunque tempestiva . Quale prescrizione? La S.C. – con la sentenza n. 10378/2012 depositata il 21 giugno – accoglie il primo motivo di ricorso e, decidendo nel merito, osserva che la decisione impugnata riferisce, almeno in relazione al quantum debeatur , tutta la riferita serie di irregolarità accertate a carico del ricorrente, nonché l’occultamento della situazione debitoria della società sino all’anno 2000. Il fatto è che non vengono collocati i fatti, ricondotti all’azione sociale, in un precisato arco temporale successivo a tale anno. Gli Ermellini, inoltre, precisano che il solo curatore fallimentare, in ragione dell’inscindibilità dell’azione, non può assumere separate iniziative giudiziarie ai sensi degli artt. 2393 e 2394 c.c. cui è legittimato il curatore fallimentare contro gli amministratori per conseguire il medesimo risultato teso al ripristino del patrimonio della società fallita, dovendo presumersi, laddove non abbia specificato il titolo sottostante, che abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni Cass. n. 13765/2007 .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 marzo – 21 giugno 2012, n. 10378 Presidente Carnevale –Relatore Cultrera Svolgimento del processo La Corte d'appello di Napoli, con sentenza n. 3055, depositata il 22 settembre 2010 e notificata il successivo 7 dicembre 2010, ha respinto il gravame proposto da S.F. avverso precedente decisione del Tribunale di Napoli, che aveva accolto la domanda, proposta nei suoi confronti ai sensi dell'art. 146 legge fall, dal curatore del fallimento della società Nuova SIPRA Ambiente s.p.a., che, ascrittegli gravi irregolarità consumate nella gestione della società di cui lo S. era stato l'amministratore unico sino alla data del fallimento, ne aveva chiesto la condanna al ristoro del conseguente danno, determinato in sentenza nell'importo di Euro 350.000,00. La decisione impugnata ha ribadito il rigetto dell'eccezione di prescrizione, reiterata dallo S. nel primo motivo d'appello sostenendo che, cumulandosi, ai sensi dell'art. 146 legge fall., nell'unica azione di responsabilità esperibile da parte del curatore fallimentare, tanto l'azione spettante alla società - art. 2392 c.c. - che quella dei creditori sociali - art. 2394 c.c. -, il dies a quo del termine di prescrizione s'identifica sia nella data di cessazione dell'amministrazione dalla sua carica, sia in quella in cui si è manifestata l’insufficienza patrimoniale, desumibile anche dalla dichiarazione di fallimento. Prescritta quest'ultima, l'altra azione era comunque tempestiva. Ha inoltre respinto la censura mossa in ordine all'assenza di prova di un danno risarcibile. Avverso questa decisione S.F. ricorre per cassazione sulla base di tre motivi resistiti dal curatore fallimentare con controricorso ed ulteriormente illustrati con memoria difensiva depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c Motivi della decisione Il ricorrente denuncia con tre motivi 1- la violazione e falsa applicazione dell'art. 146 legge fall., e degli artt. 2392, 2393 e 2394, 2949 e 2935 cod. civ., nonché omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. La Corte del merito, distinguendo, nell'ambito dell'unica azione di responsabilità esperita dal curatore fallimentare ai sensi dell'art. 146 legge fall., l'azione sociale da quella dei creditori sociali, ed applicando il diverso regime di prescrizione, ha dichiarato prescritta l'azione dei creditori, mentre ha disatteso la sua eccezione in relazione all'azione sociale collocando il dies a quo del relativo termine quinquennale dalla data di cessazione dalla carica rivestita secondo il testo dell'art. 2393 cod. civ., vigente all'epoca della decisione, ma inapplicabile ratione temporis, avuto riguardo alla vicenda sostanziale, anteriore alla riforma del riferito testo normativo attuata col d.lgs n. 6 del 17.1.2003. 2- violazione del medesimo contesto normativo ed ancora vizio di motivazione. I dedotti errori si anniderebbero nella scissione dell'unica azione, unitaria e inscindibile, esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell'art. 146 legge fall., con conseguente errata applicazione di due diversificati regimi di prescrizione. La costruzione, empirica e immotivata, contrasta con l'anzidetta natura unitaria dell'azione esperita dall'organo fallimentare. 3- violazione degli artt. 1226, 2056, 2697, 2909 cod. civ., e degli artt. 234 e 115 c.p.c., e correlato vizio di motivazione in relazione alla pronuncia di condanna al risarcimento del danno nell'importo di Euro 350.000,00 assunta omettendo l’esame dei rilievi mossi alla precedente decisione e colmando illegittimamente la lacuna probatoria del curatore fallimentare con ricorso al criterio equitativo applicato anche in ordine all'an debeatur, oltre tutto iniquo. Il resistente replica ai primi due motivi deducendone l'inammissibilità, sia perché non svolgono argomenti di confutazione del principio di diritto correttamente applicato dalla Corte del merito, sia perché non colgono nel segno. Soggiunge che il termine di prescrizione è stato correttamente applicato a mente del combinato disposto degli artt. 2949 e 2941 n. 7 c.c. che ne prevede la sospensione nel periodo in cui l'amministratore è in carica. Dal momento che lo S. rivestì suddetto incaricò sino al 7.11.2001, l'azione sociale, introdotta con citazione del 9.3.2006, a questa data non era prescritta. Ad ogni modo, seppur confluenti nell'unica azione prevista dall'art. 146 legge fall., le due azioni restano distinte, e dunque soggette ai rispettivi distinti regimi della prescrizione, di cui il curatore può giovarsi indifferentemente. In ordine al terzo motivo, ne deduce inammissibilità, in quanto teso alla rivisitazione del merito, nonché l'infondatezza. La censura esposta nel primo motivo merita accoglimento nei sensi che seguono. Si è riferito in narrativa che il rigetto dell'eccezione di prescrizione dello S. si fonda sull'assunto che il cumulo. ai sensi dell'art. 146 legge fall. nell'unica azione di responsabilità esperibile da parte del curatore fallimentare, dell'azione spettante alla società - art. 2392 c.c. - e di quella dei creditori sociali - art. 2394 c.c. - comporta che il dies a quo del termine di prescrizione possa identificarsi tanto nella data di cessazione dell'amministrazione dalla sua carica che in quella in cui si è manifestata l'insufficienza patrimoniale, desumibile anche dalla dichiarazione di fallimento, cosicché, prescritta l'una azione, l'altra può restare comunque tempestiva. Nel caso di specie, dovendosi ritenere l'azione esercitata con riferimento a quella esperibile dai creditori sociali sicuramente prescritta, dal momento che l'insufficienza patrimoniale della società si era manifestata, rendendosi percepibile da parte appunto dei creditori sociali facendo uso dell'ordinaria diligenza, sin dal 1998, allorché da parte della società Asia era stata disposta la revoca alla società fallita dell'appalto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, la cui notizia venne divulgata dalla stampa, nondimeno era tempestiva l'azione sociale, pur essa esperita dal curatore fallimentare, perché introdotta con atto del 7.1.2006, entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data di cessazione del convenuto dalla carica di amministratore, da lui ricoperta sino alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, pronunciata il 7.11.2001. La statuizione ricostruisce correttamente in jure il quadro normativo applicabile al caso di specie. Le aree d'applicazione delle distinte azioni che confluiscono nell'azione di responsabilità ai sensi degli artt. 2393 e 2394 c.c. cui è legittimato il curatore fallimentare contro gli amministratori, i sindaci, i direttori generali e i liquidatori secondo il disposto dell'art. 146 della legge fall., applicabile ratione temporis nel suo testo originario, cui la riforma non ha apportato significative modifiche ma ne ha ampliato piuttosto l'ambito, almeno in materia di s.p.a., convergono nell'anzidetta unica azione che, destinata a svolgere funzione distinta ed autonoma rispetto ad esse, assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma cfr. per tutte Cass. n, 17033/2008 e, stante la ratio ad essa sottostante, identificabile nella destinazione impressa all'azione strumentale alla reintegrazione del patrimonio sociale, unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali, attribuisce legittimazione unitaria ed esclusiva al solo curatore fallimentare. In ragione dell'inscindibilità dell'azione, detto organo non può infatti assumere separate iniziative giudiziarie per conseguire il medesimo risultato teso al ripristino del patrimonio della società fallita, dovendo presumersi, laddove non abbia specificato il titolo sottostante, che abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni Cass. n. 13765/2007 , le quali non perdono però la rispettiva specifica originaria caratterizzazione, in quanto preesistenti al fallimento convergono nel suo ambito con modificata legittimazione attiva, ma immutate nei rispettivi presupposti, rappresentati dal danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione dei doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo nell'azione sociale e dall'insufficienza patrimoniale conseguita all'inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale ex art. 2394 c.c È evidente allora che la rappresentazione in domanda di una molteplicità di addebiti riconducibili al paradigma dell'una ovvero dell'altra azione, lungi dal costituire ex se un espediente processuale opportunistico, discrimina le azioni dal momento che l'individuazione dei fatti costitutivi della domanda di danno identifica specificamente quella in concreto esercitata dal curatore. Il corollario comporta l'inevitabile diversificazione della regolamentazione della fattispecie individuata dal giudice per la natura contrattuale dell'azione sociale e quella comunemente ritenuta extracontrattuale dell'altra azione Cass. n. 10488/1998 ,in relazione sia al regime probatorio che a quello della prescrizione che, comunque quinquennale ma a decorrenza diversa, in caso di azione sociale dovrà computarsi dalla data del fatto dannoso, e con la sospensione prevista dall'art. 2941 n. 7 c.c., in ragione del rapporto fiduciario che intercorrente tra l'ente ed il suo organo gestorio. In simile evenienza, pur risultando l'una azione prescritta, l'altra può risultare utilmente esperita. Fondata su tale impostazione, la statuizione impugnata risulta esaustivamente argomentata nella parte in cui differenzia in astratto l'azione sociale da quella riconducibile al disposto dell'art. 2394 c.c. e quindi distingue il relativo computo del termine di prescrizione sulla base del diverso dies a quo di decorrenza. Assistita da sufficiente grado di specificità, per quel che interessa, riferisce inoltre il percorso critico sottostante l’interpretazione delle domande proposte dal curatore fallimentare alla stregua degli addebiti, tra i plurimi ascritti allo S. e riscontrati in causa, inquadrabili nel paradigma della responsabilità verso la società ai sensi dell'art. 2392 c.c., concretanti condotta omissiva causatrice del danno realizzatasi attraverso l'omesso scioglimento della società, la sua mancata ricapitalizzazione e la mancata richiesta di fallimento che, facendo lievitare gli interessi sui debiti già scaduti, aveva precluso l'istanza di concordato preventivo. Assertiva e sostanzialmente immotivata risulta invece nella parte in cui riferisce alla sola azione ex art. 2394 c.c. il criterio che identifica il dies a quo della prescrizione nel momento in cui si era manifesta l'insufficienza del patrimonio sociale, che pur è ritenuto applicabile in senso assoluto ed indifferenziato in relazione all'azione esperita ai sensi dell'art. 146 legge fall. da consolidato orientamento giurisprudenziale Cass. S.U. n. 5241/1981 e sul solco per tutte Cass. nn. 9619/2009, 8516/2009, 17121/2010, 19051/2011 che non prende in considerazione né rivisita criticamente. Conclusivamente errata è infine nel suo approdo, inficiato dal denunciato vizio nella parte in cui computa il termine di prescrizione dell'azione sociale dalla data di cessazione del convenuto dalla carica di amministratore della società fallita con espresso richiamo al disposto dell'art. 2393, comma 4, c.c. nel testo modificato da d.lgs n. 6/2003 che non è applicabile ratione temporis alla vicenda sostanziale considerata che, realizzatasi in epoca precedente alla sua entrata in vigore, era invece regolamentata dal combinato disposto degli artt. 2949 e 2941, n. 7, c.c., secondo cui la sospensione della prescrizione dell'azione sociale opera finché l'amministratore è in carica. Tralasciata, perché estranea alla problematica in esame,ogni questione circa la natura decadenziale o di prescrizione del termine sancito nell'art. 2393, comma 4, c.c. riformato e la rilevabilità officiosa del dies a quo nel momento indicato, occorre rilevare che nel vigore del precedente regime, la sospensione della prescrizione restava affidata a specifica deduzione e dimostrazione della parte interessata, vale a dire del curatore fallimentare che era onerato della relativa eccezione, che, dovendo qualificarsi come eccezione in senso proprio, era sottratta al rilievo officioso v. Cass n. 9589/2007 . La Corte del merito, avendo applicato il diverso nuovo regime, ovviamente non ha fatto cenno alcuno all'introduzione da parte del curatore fallimentare, di tale eccezione. L'odierno resistente, che su di essa ha fondato la difesa articolata in questa sede, non ha specificato né la fase processuale né l'atto difensivo in cui ebbe a muovere la contestazione innanzi al giudice del merito. L'applicazione dell'effetto sospensivo, in quanto rilevato motu proprio dalla Corte d'appello, è perciò errata. Ne consegue l'accoglimento del motivo con conseguente assorbimento delle altre censure. Alla luce delle considerazioni espresse, il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione della decisione impugnata con pronuncia nel merito. La decisione impugnata riferisce, almeno in relazione al quantum debeatur, tutta la riferita serie di irregolarità accertate a carico dello S. , nonché l'occultamento della situazione debitoria della società sino all'anno 2000, ma non colloca i fatti, ricondotti all'azione sociale, in un precisato arco temporale successivo a tale anno, che, comunque, venne preceduto e non seguito, secondo quanto si riferisce in ordine all'azione ex art. 2394 c.c., da falsità ed altre irregolarità risalenti tutte al 1998. Il termine di prescrizione, decorrendo per l'effetto quanto meno dalla fine del 2000, alla data del 9.3.2006 in cui venne introdotta la domanda era ormai decorso. Deve per l'effetto disporsi il rigetto della domanda con compensazione integrale delle spese delle pregresse fasi di merito e del giudizio di legittimità in considerazione della problematicità delle questioni dibattute. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda e compensa le spese dell'intero giudizio.