L’iniziativa del P.M.: tra notitia decoctionis e giusto processo

Al centro dell’attenzione la questione sui poteri del P.M. in materia di iniziativa per la dichiarazione di fallimento e di corretto inquadramento del giusto processo fallimentare.

L’odierno decisum , contra l’unico precedente Cass. Civ. n. 4632/2009 interviene pertanto a stabilizzare l’assetto interpretativo avvertito da diverse riflessioni dottrinali e da indirizzi di merito sul tema della nullità o meno, nonché della legittimità con l’art. 111 Cost., della pronuncia di fallimento emessa dal tribunale, che abbia investito il P.M. richiedente della notitia decoctionis . Il fatto. Si antepone, per chiarezza di disamina, una rapida descrizione del fatto concreto. Il caso di specie origina dalle impugnazioni per cassazione presentate rispettivamente dal Fallimento di una s.r.l. e dal Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Forlì, ricorrente incidentale, avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Bologna accolse il reclamo, interposto ex art. 18 legge fall. dalla predetta società, dichiarata fallita dal Tribunale di Forlì il 9 ottobre 2009, ritenendo viziata la pronuncia per essere stata emessa a seguito di illegittima iniziativa del locale Pubblico Ministero, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Forlì, dopo che al medesimo era pervenuta segnalazione dell’insolvenza da parte dello stesso tribunale fallimentare. Nella sentenza, si dà conto, più specificamente, che il Tribunale di Forlì era stato in origine investito di un’istanza di fallimento da parte di un creditore, con successiva desistenza del medesimo. La corte bolognese, condividendo l’unico arresto di legittimità pertinente al caso deciso Cass. Civ. n. 4632/2009 , ha escluso che la nozione di procedimento civile di cui all’art. 7, n. 2, l. fall. possa altresì ricomprendere il procedimento per la dichiarazione di fallimento, nel cui ambito alla desistenza del creditore istante era succeduta la menzionata segnalazione, con ciò dubitando del pieno rispetto del principio del giusto processo ove permanga un’ingerenza dell’organo giudicante sulla nascita o sull’ultrattività della procedura già avanti a sé pendente. Di contrario avviso i Giudici della Prima Sezione civile della Suprema Corte, che accolgono in toto le censure sollevate dai predetti ricorrenti. Difatti, gli Ermellini chiariscono che il nuovo art. 7 l. fall. va letto nel senso che, ove un giudice civile, nel corso di un procedimento civile, rilevi l’insolvenza di un imprenditore ‘deve’ farne subito segnalazione al P.M. e - specularmente - il P.M. presenta la richiesta di cui al primo comma dell’art. 6 l. fall., quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile . Giudice civile è anche il tribunale fallimentare che abbia rilevato l’insolvenza nel corso di un procedimento ex art. 15 l. fall., anche se definito per desistenza del creditore istante. Infine, i giudici della Suprema Corte, quanto alla conformità al precetto di cui all’art. 111 Cost. della interpretazione innanzi accolta dell’art. 7 l. fall. precisano che la trasmissione al P.M. della notitia decoctionis emersa nel corso del procedimento non è un atto avente contenuto decisorio, neppure come precipitato di una cognizione di tipo sommario e non incide - né direttamente né indirettamente - sui diritti di alcuno mentre il giudice che a ciò procede non fa altro che esercitare il potere-dovere di denunzia di fatti che prima facie gli appaiono potenzialmente lesivi dell’intereresse pubblico ad eliminare dal sistema economico i focolai d’insolvenza. L’iniziativa del P.M. nel nuovo contesto della legittimazione per la dichiarazione di fallimento. All’abrogazione dell’inciso di cui all’art. 6 l. fall. e dell’intero art. 8 l. fall., è seguita la modifica dell’art. 7 l. fall., prima rubricato stato d’insolvenza risultante in sede penale ora rubricato iniziativa del P.M. . Alla competenza del P.M. ancorata alla scoperta dello stato di insolvenza quale risulta nel processo penale, si aggiunge quella determinata da stati di insolvenza risultanti in sede civile. Il nuovo art. 7 l. fall. riproduce, al n. 1, la vecchia disposizione quanto all’insolvenza risultante dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore, salvo aggiungere, nel n. 2 l'insolvenza risultante da procedimento civile. I casi del n. 1 riguardano ipotesi in cui il P.M. ha percezione diretta dello stato d’insolvenza, mentre l’ipotesi del n. 2 riguarda situazioni in cui il P.M. riceve la segnalazione di insolvenza dal giudice, che l'ha rilevata nel corso di un procedimento civile anche se nulla impedisce che la notitia decoctionis così appresa vada ad incrementare un’autonoma percezione della medesima per suo conto organizzata dal P.M. stesso. Il P.M. si conferma autorità pubblica dotata della legittimazione attiva alla richiesta di fallimento può procedere ad azionare il procedimento prefallimentare indipendentemente dalle parti private debitore e creditori e in aggiunta a queste a tutela di interessi che trascendono quelli individuali coinvolti nell’istruttoria. La legittimazione al ricorso per la dichiarazione di fallimento è stata definita plurale, proprio per evidenziare la potenzialità degli interessi coinvolti interessi privati, in quanto derivanti dall’impossibilità per il ceto creditorio di ottenere soddisfazione individuale in altro modo esecutivo interessi del debitore di affidare agli organi della procedura concorsuale la ragionata soluzione delle pretese creditorie nell’impossibilità di farvi fronte interessi pubblici affidati alla cura e alla gestione del P.M Notitia decoctionis ex art. 7, n. 2, l. fall. atto ‘neutro’ conforme all’art. 111 Cost La stessa Corte Cost. n. 240/2003, richiamata nell’odierno decisum , non aveva mancato di rimarcare che si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale ogni ipotesi in cui [ ] la dichiarazione di fallimento intervenga a conclusione di un procedimento comunque avviato da soggetto diverso dal giudice decidente dal creditore sedicente o non legittimato o rinunciante, ovvero dal pubblico ministero . In questa affermazione, dunque, può essere ricollocato uno spazio di distinzione tra la segnalazione del giudice civile al P.M. e la iniziativa di quest’ultimo, che è attività autonoma e non condizionata dalla prima può infatti appoggiarsi su altri e distinti elementi informativi, atteggiarsi in modo originale rispetto ai presupposti temporali e contenutistici dell’azione fallimentare, infine anche mancare o essere diretta ad altro giudice, diverso per territorio. È invero pacifico che nessun controllo giurisdizionale esterno può intervenire sull’azione del P.M. il quale richieda o non richieda il fallimento, così come anche la segnalazione di cui all’art. 7, n. 2, l. fall. non è giustiziabile né sollecitabile dalle parti del procedimento o da terzi. E, sul punto, gli Ermellini, nella pronuncia che qui ci occupa, evidenziano che trattandosi di un atto ‘neutro’, privo di specifica valenza procedimentale o decisoria il cui impulso riposa su una valutazione estemporanea, che non vincola nessuno , la valutazione decisoria del tribunale non è tecnicamente ‘pregiudicata’ dall’avvenuta segnalazione, perché il tribunale, all’esito dell’istruttoria prefallimentare, può rigettare con decreto la richiesta del P.M Pertanto,concludono i Supremi Giudici, la natura di valutazione prima facie dell’insolvenza e il potere esercitato dal tribunale fallimentare a seguito di cognizione piena, se del caso difformemente da quella prima valutazione, sta a confermare, semmai, la terzietà dell’organo giudicante.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 maggio – 15 giugno 2012, n. 9857 Presidente Fioretti – Relatore Didone Ritenuto in fatto e in diritto 1.1. Con sentenza 4 marzo 2010, n. 266, la Corte d'Appello di Bologna accoglieva il reclamo, interposto ex art. 18 l. fall., dalla società Solidea s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Forlì il omissis , ritenendone viziata la pronuncia per essere stata emessa a seguito di illegittima iniziativa del locale Pubblico Ministero Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Forlì dopo che al medesimo era pervenuta segnalazione dell'insolvenza da parte dello stesso tribunale fallimentare. Nella sentenza oggetto del successivo ricorso per cassazione, si da conto, più specificamente, che il Tribunale di Forlì era stato in origine investito di una istanza di fallimento da parte di un creditore, con successiva desistenza. La corte bolognese, condividendo l'unico arresto di legittimità pertinente al caso deciso S.comma 26.2.2009, n. 4632 , ha escluso che la nozione di procedimento civile di cui all'art. 7 n. 2 l. fall., possa altresì ricomprendere il procedimento per la dichiarazione di fallimento, nel cui ambito alla desistenza del creditore istante era succeduta la menzionata segnalazione, con ciò dubitando del pieno rispetto del principio del giusto processo ove permanga un'ingerenza dell'organo giudicante sulla nascita o sull'ultrattività della procedura già avanti a sé pendente. 1.2. Il Fallimento Solidea s.r.l. censura l'impugnata sentenza sulla base di tre motivi. Con il primo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 co. 1 n. 2 e 15 l. fall., nonché degli artt. Ili Cost., in relazione agli artt. 360 co. 1 nn. 3 e 4 cod. proc. civ. o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. Il giudice di merito avrebbe invero erroneamente considerato equivalenti l'iniziativa d'ufficio del tribunale preclusa dopo la riforma e la mera segnalazione al P.M. dell'insolvenza rilevata prevista dall'art. 7 n. 2 l. fall. , trascurando che questa seconda, risolvendosi in una comunicazione, non ha natura decisoria e nemmeno presuppone un accertamento pieno dell'insolvenza, bensì costituisce un atto neutro, privo di valenza procedimentale o decisoria diversa dall'esaurire un obbligo di riferimento all'unico organo sopravvissuto titolare della potestà pubblicistica di intervento ed azione in materia, il P.M. L'iniziativa di quest'ultimo, a sua volta, non è obbligatoria, dovendo egli vagliare ogni segnalazione ricevuta e poi non ha alcuna portata vincolante verso il giudice cui è diretta, ove sia cioè trasformata in rituale richiesta di fallimento. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione delle medesime norme di cui al primo ed ancora omessa e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo. La sentenza impugnata trascurerebbe di considerare che la nozione di procedimento civile, inaugurata all'art. 7 n. 2 l. fall., e sostitutiva della più circoscritta figura del giudizio civile, di cui all'abrogato art. 8 l. fall., permette di ricondurre il potere di segnalazione ad ogni procedimento di cognizione, ordinario e speciale, camerale e di esecuzione, senza eccezioni. Non è invero condivisibile l'orientamento restrittivo, fatto proprio da S.comma n. 4632/09, secondo cui dall'istruttoria prefallimentare potrebbe sorgere una segnalazione ma solo a carico di soggetto diverso da quello contro cui l'iniziativa in quel processo era diretta, cioè di un imprenditore terzo. Le stesse perplessità, in punto di imparzialità e terzietà del giudicante, si riprodurrebbero, ove a tale segnalazione seguisse l'esercizio, da parte del P.M., della iniziativa di fallimento, senza contare l'irragionevolezza di trattamento praticata con la situazione oggetto della vicenda in esame. E d'altronde, proprio l'eventualità di una segnalazione dall'istruttoria prefallimentare è stata fatta propria dalla Relazione ministeriale alla riforma. Con il terzo motivo si riproducono gli stessi profili di censura investendo criticamente la nozione di terzietà e imparzialità del giudice fatta propria dai giudici bolognesi questi avrebbero omesso di considerare come più appropriata la chiave di risoluzione dei relativi problemi facendo ricorso agli istituti, sequenziali, dell'astensione e ricusazione di cui agli artt. 51-52 cod. proc. civ., in concreto non utilizzati. 1.3. In questo senso il ricorrente chiede in via principale la cassazione della sentenza impugnata. 1.4. Il ricorrente incidentale Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Forlì ritenendo la fondatezza del menzionato ricorso per cassazione del fallimento Solidea s.r.l. avversa la sentenza impugnata con un unico complesso motivo. Il P.M. richiama il proprio ricorso di fallimento volto non solo a far attestare la conclamata insolvenza della Solidea s.r.l. ma altresì a scongiurare comportamenti di trattamento preferenziale a favore di alcuni creditori. Vengono dedotti violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 15 l. fall., e 111 Cost. in relazione agli artt. 360 co. 1 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., oltre illogicità e contraddittorietà della motivazione. Il ricorrente sottolinea la natura non decisoria della segnalazione della notitia decoctionis al P.M., il ruolo di presidio di tale organo rispetto ad interessi tuttora pubblicistici, l'impossibile commistione tra tale segnalazione e la futura e solo eventuale decisione del tribunale che può anche essere diverso da quello segnalante , la non sovrapponibilità tra il processo da cui nasce la segnalazione ed il procedimento per la dichiarazione di fallimento attivato su iniziativa autonoma del P.M., l'illogica distinzione tra debitore e terzo cui riferire la notizia e ciò ai fini della legittimazione del P.M. ed infine le perplessità costituzionali che si darebbero a fronte di una interpretazione restrittiva, non potendo il P.M. svolgere alcun ruolo istituzionale, come per l'art. 238 l. fall., in caso di desistenza del creditore originariamente istante. 1.5. In questo senso il ricorrente chiede la cassazione della sentenza impugnata. Le medesime richieste e conclusioni sono state formulate dalla Procura generale presso la Corte d'Appello di Bologna che parimenti ha impugnato la sentenza con atto spedito il 7 maggio 2010. 1.6. La controricorrente società Solidea s.r.l. contraddice ai ricorsi proposti chiedendone la reiezione, con conferma della sentenza impugnata si riporta alla tesi, ivi espressa, dell'abolizione dell'iniziativa d'ufficio quale ratio ispiratrice di una conseguente riduzione del ruolo del giudice procedente, cui sarebbe preclusa sia l'azione diretta sia ogni altra sollecitazione, come quella rivolta al P.M., in grado di fargli recuperare il medesimo ruolo in passato coerente con la predetta officiosità anche tale impulso rivelerebbe una precognizione da parte del giudicante, incompatibile con i profili di terzietà ed imparzialità introdotti dalla riforma. 1.7.- Parte ricorrente ha depositato memoria nei termini di cui all'art. 378 c.p.c I ricorsi - proposti contro la medesima sentenza - devono essere riuniti. 2.- È noto che, prima della riforma, due giudici di merito avevano investito la Corte costituzionale dubitando della legittimità costituzionale della disciplina dell'apertura del fallimento d'ufficio alla luce del nuovo testo dell'art. 111 Cost In particolare i rimettenti ritenevano che l'iniziativa officiosa del tribunale per la dichiarazione di fallimento, prevista dal previgente art. 6, l. fall., confliggesse con i principi di terzietà e imparzialità del giudice, di cui il canone nulla iurisdictio sine actione costituisce l'indefettibile corollario logico . Quando la stessa autorità che deve decidere si è autonomamente attivata contro la parte cui il provvedimento decisorio è destinato si verificherebbe la violazione, appunto, del principio di terzietà e imparzialità. Dubbio di incostituzionalità esteso al previgente art. 8, l. fall. nella parte in cui prevedeva che la segnalazione dell'insolvenza dovesse essere fatta al tribunale anziché al pubblico ministero. La Corte costituzionale, chiarito che si sottraeva alla censura di illegittimità costituzionale ogni ipotesi in cui la dichiarazione di fallimento intervenisse a conclusione di un procedimento comunque avviato da soggetto diverso dal giudice decidente, come il creditore sedicente o non legittimato o rinunciante, ovvero dal pubblico ministero o, infine, dallo stesso imprenditore che chiedeva l'ammissione ad una procedura concorsuale, così come le ipotesi di fallimento dichiarato d'ufficio in via di estensione ex art. 147, l. fall. nel testo previgente , ha argomentatamente escluso la fondatezza della questione sollevata. Ha rilevato la Corte che l'iniziativa officiosa prevista dal legislatore in ragione di peculiari esigenze di effettività della tutela giurisdizionale - non lede il fondamentale principio di imparzialità - terzietà del giudice, quando il procedimento è strutturato in modo che, ad onta dell'officiosità dell'iniziativa, il giudice conservi il fondamentale requisito di soggetto super partes ed equidistante rispetto agli interessi coinvolti . Ha puntualizzato, poi, la Corte che le prevalenti finalità pubblicistiche, che caratterizzano la procedura fallimentare Sentenze 141-142/1970, 110/1972, 148/1996 , imponevano al tribunale di attivarsi anche in assenza di un'iniziativa di parte, dando cosi attuazione alla volontà della legge, che ha già valutato, preventivamente e una volta per tutte, l'interesse pubblico sotteso di tal che non poteva dubitarsi che il tribunale, procedendo d'ufficio, agisse non come attore, ma nella sua veste giurisdizionale e quindi super partes ' Sentenza 148/1996 . La Corte, peraltro, non ha puramente e semplicemente dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale, bensì ha precisato, nella parte motiva, che gli artt. 6 e 8, l. fall. nel testo previgente , correttamente interpretati , non erano in contrasto con l'art. 111, 2 co., Cost Ciò ha affermato dopo avere puntualizzato che soltanto al collegio spetta il potere di disporre l'audizione del fallendo , dopo avere acquisito e delibato legittimamente la notizia decoctionis , questa dovendo provenire ab externo rispetto al collegio , quale riferimento del giudice civile ex art. 8, l. fall., ora abrogato . La Corte, poi, ha espressamente definito come illegittimo il comportamento del giudice relatore che disponga la comparizione del debitore in luogo dell'organo collegiale che è il giudice fornito del potere giurisdizionale di delibare la notizia decoctionis al fine dell'instaurazione ex officio del procedimento prefallimentare. In altri termini, sulla base delle norme ora modificate, avrebbe potuto il giudice delegato ai fallimenti segnalare al collegio la notizia decoctionis . Il tribunale avrebbe dovuto disporre ulteriore istruttoria, delegando un componente del collegio e, delibata come non manifestamente infondata la notitia decoctionis , avrebbe dovuto ordinare la convocazione del fallendo per contestargli le risultanze dell'istruttoria o preistruttoria e metterlo in grado di difendersi. 3.- Il nuovo art. 6 l. fall., non prevede più l'iniziativa officiosa del tribunale per la dichiarazione di fallimento mentre il nuovo art. 7 Iniziativa del pubblico ministero , introdotto dal d.lgs. n. 5 del 2006, dispone che il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell'articolo 6 1 quando l'insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore 2 quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile. Il primo comma riprende sostanzialmente il testo previgente della disposizione Quando l'insolvenza risulta dalla fuga o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore, il procuratore della Repubblica che procede contro l'imprenditore deve richiedere il tribunale competente per la dichiarazione di fallimento con la significativa variante - per la parte che interessa la questione oggetto dei ricorsi - che l'insolvenza non deve più risultare necessariamente da un procedimento penale contro l'imprenditore insolvente ma, semplicemente, nel corso di un procedimento penale”. Ciò denota che il legislatore ha individuato nel Pubblico Ministero l'organo terzo dal quale - secondo la menzionata sentenza della Corte costituzionale - la notizia decoctionis potesse pervenire, questa dovendo provenire ab externo rispetto al collegio , alla pari del riferimento del giudice civile ex art. 8, l. fall.”, essendo egli legittimato - come il debitore o i creditori - a proporre istanza di fallimento ai sensi del nuovo art. 6 l. fall L'art. 8 l. fall, è stato abrogato ed il suo contenuto è stato inserito nell'art. 7, comma 2, con la precisazione anche qui che l'insolvenza può risultare dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile” e non più - come previsto dall'abrogata disposizione - se nel corso di un giudizio civile risulta va l'insolvenza di un imprenditore che fosse parte nel giudizio” e in tal caso, il giudice ne doveva riferire al tribunale competente per la dichiarazione del fallimento . La nozione di procedimento civile è diversa e più ampia di giudizio civile e vale a ricomprendere l'istruttoria prefallimentare disciplinata ex novo dall'art. 15, L. Fall., nel testo introdotto dalla riforma del 2006, come un procedimento speciale a cognizione piena” Sez. 1, Sentenza n. 1098 del 2010 . 4.- Dalla Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo recante la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali si evince che la soppressione della dichiarazione di fallimento di ufficio risulta bilanciata dall'affidamento al pubblico ministero del potere di dar corso alla istanza di fallimento su segnalazione qualificata proveniente dal giudice al quale, nel corso di un qualsiasi procedimento civile, risulti l'insolvenza di un imprenditore quindi anche nei casi di rinuncia c.d. desistenza al ricorso per dichiarazione di fallimento da parte dei creditori istanti . L'intenzione storica del legislatore quale che in concreto essa sia non risulta mai vincolante per l'interprete. Ma se ciò è vero, nel senso che quell'intenzione non è mai vincolante, tuttavia - ed è agevole constatarlo dall'esame di non poche pronunce della Corte costituzionale difficilmente da essa si può prescindere qualora sia conforme al risultato del procedimento ermeneutico condotto alla luce dei criteri indicati dall'art. 12 disp. prel In tal senso è il procedimento ermeneutico da sempre seguito dalla Corte costituzionale, allorquando, ad esempio, pone a base del giudizio di costituzionalità il significato della norma quale risultato di interpretazione, fatta palese dalla lettera del precetto” che appaia perfettamente in consonanza rispetto a quanto emerge dai lavori preparatori” e come si rileva in modo assolutamente inequivoco dalla Relazione al testo definitivo” comma cost. 7 luglio 1992 n. 340. Per altri esempi di utilizzazione di tale procedimento ermeneutico, cfr. comma cost. 23 marzo 2010 n. 138 comma cost. 3 maggio 2005 n. 282 comma cost. 11 luglio 1985 n. 214 comma cost. 7 maggio 1975 n. 120 . Se i lavori preparatori hanno un valore limitato, esistono alcuni casi in cui è legittimo fare ricorso al c.d. argomento psicologico”, almeno come argomento ausiliario cfr. Cass., sez. un., 26 gennaio 2004 n. 1338 Cass. 17 gennaio 2003 n. 654 Cass. 16 marzo 1996 n. 2238 Cass. 27 febbraio 1995 n. 2230 Cass. 7 dicembre 1994 n. 10480 Cass., sez. un., 30 ottobre 1992 n. 11843 Cass. 7 dicembre 1994 n. 10480 . Dunque, il nuovo art. 7 l. fall., va letto nel senso che, ove un giudice civile, nel corso di un procedimento civile, rilevi l'insolvenza di un imprenditore deve farne segnalazione al Pubblico Ministero e - specularmente - il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell'articolo 6 quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile”. Giudice civile è anche il tribunale fallimentare che abbia rilevato l'insolvenza nel corso di un procedimento ex art. 15 l. fall., anche se definito per desistenza del creditore istante. 5.- Infine, quanto alla conformità al precetto di cui all'art. 111 Cost. della interpretazione innanzi accolta, oltre alla già menzionata pronuncia della Corte costituzionale, depone per essa il rilievo della dottrina secondo cui la trasmissione al pubblico ministero della notitia decoctionis emersa nel corso del procedimento non è un atto avente contenuto decisorio, neppure come precipitato di una cognizione di tipo sommario e non incide - né direttamente, né indirettamente - sui diritti di alcuno mentre il giudice che a ciò procede non fa altro che esercitare il potere-dovere di denunzia di fatti che prima facie gli appaiano potenzialmente lesivi dell'interesse pubblico ad eliminare dal sistema economico i focolai d'insolvenza. Trattandosi di un atto neutro , privo di specifica valenza procedimentale o decisoria, il cui impulso riposa su una valutazione estemporanea, che non vincola nessuno”, la valutazione decisoria del tribunale non è tecnicamente pregiudicata dall'avvenuta segnalazione, perché il tribunale, all'esito dell'istruttoria prefallimentare, può rigettare con decreto la richiesta del pubblico ministero. La natura di valutazione prima facie dell'insolvenza e il potere esercitato dal tribunale fallimentare a seguito di cognizione piena, se del caso difformemente da quella prima valutazione, sta a confermare, semmai, la terzietà dell'organo giudicante. 6.- Le considerazioni innanzi svolte inducono la Corte a disattendere il precedente applicato dalla corte di merito. I ricorsi devono essere accolti e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame e per il regolamento delle spese alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.