La decadenza dal termine perentorio preclude la risoluzione del concordato

Solo se nel concordato non è stata fissata la data di scadenza dell’ultimo pagamento, il termine entro cui può chiudersi la risoluzione del concordato decorre dall’esaurimento delle operazioni di liquidazione.

Al centro dell’attenzione vi è la problematica concernente i termini entro cui può proporsi la risoluzione di un concordato fallimentare, nonché il ricorso per l’annullamento dello stesso. Si tratta di termini perentori, come ribadito dalla Prima Sezione della Suprema Corte, nella sentenza n. 27666 del 20 dicembre, precisato che il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato, ex articolo 137 l. fall. e che il ricorso per l’annullamento deve proporsi nel termine di sei mesi dalla scoperta del dolo e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato, ex articolo 138, comma 3, l. fall. Termine decadenziale di cui all’articolo 137 l. fall. che, chiariscono gli Ermellini, decorre dall’esaurimento delle operazioni di liquidazione, solo nel caso in cui non sia stata fissata nel concordato la data di scadenza dell’ultimo pagamento, costituente, appunto, il dies a quo della decorrenza del termine annuale. Il fatto. Questa in estrema sintesi la vicenda. Proposta domanda di risoluzione del concordato fallimentare, essa veniva accolta dal tribunale di Trapani, che dichiarava risolto il concordato medesimo e disponeva altresì la riapertura del fallimento. Per la cassazione della predetta sentenza proponeva ricorso il fallito, adducendo, con il primo motivo, l’erroneità della decisione stessa, laddove il Tribunale riteneva che non si fosse verificata alcuna decadenza dal termine perentorio stabilito dall’articolo 137 l. fall. per chiedere la risoluzione del concordato fallimentare mentre, con il secondo motivo, il ricorrente lamentava la mancata pronuncia del Tribunale sulla domanda di annullamento del concordato proposta dal fallimento. Da quando inizia a decorrere il termine annuale per la risoluzione del concordato? Gli Ermellini, accolgono in toto il ricorso, precisando che solo nel caso in cui non sia stata fissata, nel concordato, la data di scadenza dell’ultimo pagamento, costituente, ai sensi degli artt. 137 e 186 l. fall., il dies a quo della decorrenza del termine annuale entro cui può richiedersi la risoluzione del concordato, questo termine decorre dall’esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni dell’imprenditore, nonché con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze. Di conseguenza, concludono i giudici della S.C., sussistendo i presupposti di cui all’articolo 384 c.p.c. la causa può essere decisa nel merito con rigetto della domanda di risoluzione del concordato. Il concordato fallimentare quale causa di cessazione del fallimento presupposti e fondamento. Il concordato fallimentare, che è una causa legale di cessazione del fallimento, ai sensi dell’articolo 124 l. fall. è proponibile da uno o più creditori o da un terzo assuntore anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo purché la contabilità risulti correttamente tenuta. Non può essere presentata dal fallito prima che sia decorso un anno dalla dichiarazione di fallimento e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo. La proposta di concordato fallimentare, presentata al giudice delegato, deve essere approvata dai creditori ed omologata dal tribunale. Divenuto definitivo il decreto di omologazione, il curatore presenta il conto della gestione ed il tribunale emette decreto di chiusure del fallimento. Il concordato si chiude con l'adempimento di tutte le obbligazioni contenute nella proposta omologata. Se invece gli obblighi concordatari non sono correttamente eseguiti o se il passivo o l'attivo è stato esagerato o dissimulato, il concordato può essere risolto o annullato con la conseguente riapertura della procedura fallimentare. Concordato con assunzione cumulativa. Riguardo al soggetto obbligato, può aversi che al fallito si aggiunge o si sostituisce un altro obbligato, sicché il fallito nel primo caso rimane obbligato in solido, nel secondo viene immediatamente liberato s’intende, una volta divenuto efficace il concordato, ossia quando diventa definitivo il decreto di omologazione articolo 130 l. fall. . Si tratta dell’ipotesi di concordato con assunzione cumulativa o liberatoria . A tale tipo di concordato accenna l’articolo 124, comma 2, lettera c , l. fall., laddove stabilisce che la proposta può prevedere [] c la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti [] anche mediante [] accollo . Ed è a questo tipo di concordato che si riferisce anche il quarto comma dello stesso articolo 124. Accollo cumulativo dei debiti fallimentari in capo all’assuntore. E’ chiaro come con tale concordato si realizza una modificazione soggettiva ex latere debitoris dei rapporti obbligatori al fallito si aggiunge o si sostituisce un altro soggetto, l’assuntore, appunto. Deve ritenersi che, ove l’assunzione sia cumulativa, la responsabilità del fallito sia di carattere sussidiario, nel senso che i creditori debbono rivolgersi al nuovo obbligato prima di poter chiedere l’adempimento all’originario debitore, secondo la regola posta nell’articolo 1268, comma 2, c.c Assunzione cumulativa, con la quale al fallito si aggiunge, ma non si sostituisce, l’assuntore. Ipotesi esemplificata, peraltro, nel caso che qui ci occupa ove il tribunale nel disporre il pagamento delle spese di giustizia e dei creditori privilegiati per intero, nonché dei creditori privilegiati nella misura del 40%, ammetteva l’intervento di un terzo assuntore, prevedendo, appunto, in capo a quest’ultimo, l’accollo dei debiti fallimentari. Mancata esecuzione del concordato. Se le garanzie promesse non vengono costituite ovvero non possono essere adempiuti gli obblighi derivanti dal concordato e dalla sentenza di omologa, il curatore dovrà relazionare al tribunale. Questo ordina la comparizione del fallito e dei fideiussori e con decreto in camera di consiglio non soggetta a gravame ordina la risoluzione del concordato. Il ricorso può essere presentato anche dai creditori o d’ufficio. Con la sentenza che risolve il concordato, il tribunale riapre la procedura di fallimento. Concordato che invece permane, come chiarito definitivamente dal decisum in commento, qualora non venga rispettato il termine decadenziale entro cui proporre il ricorso per la risoluzione dello stesso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 febbraio – 20 dicembre 2011, n. 27666 Presidente Vitrone – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo M.M., dichiarato fallito con sentenza del Tribunale di Trapani del 23/11/1992, veniva ammesso a concordato fallimentare giusta sentenza di omologazione dello stesso tribunale del 22 aprile 2003. Con la predetta statuizione il collegio, nel disporre il pagamento delle spese di giustizia e dei creditori privilegiati per intero, nonché dei creditori chirografari nella misura del 40%, ammetteva l’intervento del terzo assuntore Ediltek s.r.l., prevedendo l’accollo cumulativo dei debiti fallimentari in capo al predetto assuntore. A distanza di più di due anni dall’omologazione il curatore proponeva innanzi al tribunale di Trapani giudizio di risoluzione di concordato fallimentare, ai sensi dell’art. 37 L.F., nei confronti del M. deducendo che il fallito non aveva ancora data adempimento agli obblighi contratti in seno alla proposta di concordato siccome approvata dal tribunale. Si costituiva il M., il quale opponeva che la ragione della mancata esecuzione del concordato va ricercata nell’accertata errata ammissione nello stato passivo decretata per il credito del Banco di Sicilia s.p.a., dal quale non erano stati sottratti dei versamenti effettuati a deconto dell’esposizione debitoria del M. anteriormente alla dichiarazione di fallimento. Eccepiva in ogni caso e preliminarmente la decadenza dall’azione di risoluzione di cui all’art. 137 L.F. stante il decorso, a partire dal passaggio in giudicato della sentenza di omologazione 14/5/2003 , del termine di sei mesi fissato in sentenza per l’ultimo pagamento stabilito nel concordato. Il tribunale di Trapani, con sentenza depositata il 19.7.05 dichiarava risolto il concordato fallimentare e disponeva la riapertura della procedura fallimentare. Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione il M. sulla base di due motivi cui resiste con controricorso il fallimento. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce l’erroneità della sentenza impugnata laddove questa ha ritenuto non si fosse verificata alcuna decadenza dal termine perentorio stabilito dall’art. 137 L.F. per chiedere la risoluzione del concordato. Con il secondo motivo lamenta la mancata pronuncia del tribunale sulla domanda di annullamento del concordato proposta dal fallimento. Il primo motivo è fondato. Il Tribunale di Trapani ha pronunziato la risoluzione ritenendo che il termine decadenziale di cui all’art. 137 l.f. cominciasse a decorrere solo dopo l’esaurimento delle operazioni di liquidazione. Tale assunto è erroneo alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha già avuto occasione di precisare che solo nel caso in cui non sia stata fissata, nel concordato, la data di scadenza dell’ultimo pagamento, costituente, ai sensi degli artt. 137 e 186 l.fall, il dies a quo della decorrenza, del termine annuale entro cui può richiedersi la risoluzione del concordato, questo termine decorre dall’esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni dell’imprenditore, nonché con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive Cass. 2423/74 . Nel caso di specie la sentenza di omologazione è passata in giudicato il 14.5.03 per cui, avendo la sentenza di omologazione stabilito che l’ultimo pagamento doveva avvenire entro sei mesi dal detto passaggio in giudicato, lo stesso doveva essere effettuato entro il 14.11.03 con la conseguenza che la richiesta di risoluzione doveva essere proposta entro il 14.11.04 mentre invece la stessa è stata presentata il 10.5.05. Tale tardiva presentazione oltre l’anno dalla scadenza del termine rende ininfluente dirimere la questone sulla quale esiste un antico contrasto di giurisprudenza di questa Corte e cioè se la disposizione dell’art. 137 legge fallimentare secondo cui, qualora la domanda di risoluzione del concordato fallimentare sia stata tempestivamente proposta nel termine di cui all’art. 137 l.f., retroagendo la pronuncia di accoglimento alla data della domanda, l’azione deve ritenersi ritualmente proposta e la risoluzione validamente pronunciata, anche se, nel corso del procedimento volto alla dichiarazione della risoluzione, venga a scadere il termine di un anno dalla scadenza dell’ultimo pagamento stabilito nel concordato Cas 2103/73, oppure se per l’osservanza del menzionato termine di decadenza, deve aversi riguardo unicamente alla pronuncia del provvedimento di risoluzione, con la conseguenza che questo non può essere adottato dopo la sua scadenza, ancorchè la relativa domanda sia stata anteriormente proposta Cass. 9118/87 . Nel caso di specie infatti non solo la pronuncia di risoluzione è intervenuta dopo la scadenza del termine di cui all’art. 137 l.f, ma anche la domanda di risoluzione è stata proposta dopo tale termine. Il secondo motivo è assorbito. Il ricorso va quindi accolto nei termini di cui sopra e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata. Sussistendo i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c. la causa può essere decisa nel merito con rigetto della domanda di risoluzione del concordato. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del giudizio. PQM Accoglie il primo motivo del ricorso assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di risoluzione del concordato. Condanna il fallimento di M.M.- al pagamento delle spese di questo giudizio liquidate in euro 1500,00 per onorari oltre euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge, nonché alle spese di giudizio di merito liquidate in euro 1000,00 per onorari, euro 400,00 per diritti ed euro 50,00 per spese oltre spese generali ed accessori di legge.