Una recente sentenza del Tribunale di Roma ha ribadito che l’attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in un istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del servizio sanitario nazionale, ai sensi dell’articolo 30 l. numero 730/1983, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto comunque dirette alla tutela della salute del cittadino.
Sul tema la sentenza della II sez. Civile del Tribunale di Roma del 4 marzo 2021. L’attrice conveniva in giudizio la Regione per ottenere la condanna di quest’ultima alla restituzione delle somme di denaro versate in favore della residenza sanitaria assistenziale a titolo di retta per la degenza della propria madre affetta da grave decadimento cognitivo, tipo Alzheimer, per il quale la regione, nella persona dell’Asl, aveva autorizzato l’ospitalità nella RSA. L’attrice aveva di fatto corrisposto ingenti somme di denaro a titolo di retta complessiva di degenza, mentre detta spesa doveva essere posta a carico del servizio sanitario nazionale, trattandosi di una spesa ad elevata integrazione sanitaria. Il Tribunale riconosceva quindi la pretesa dell’attrice e condannava la Regione al pagamento delle somme da questa sostenute per la degenza della madre presso la RSA. E’ stabilito dal d.P.C.M. del 2001, art 3, che le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria erogate dalle aziende sanitarie sono a carico del fondo sanitario e queste possono essere erogate in regime ambulatoriale e domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e semi residenziali. Dette prestazioni sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione dell’attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungo assistenza. Sono considerate prestazioni socio sanitarie ed elevata integrazione sanitaria, secondo quanto individuato dal d.lgs. numero 502/1992, del d.P.C.M. 14.2.2001, d.P.C.M. 29.11.2001 e d.P.C.M. 12.1.2017, quelle prestazioni in cui la componente sanitaria non è solo strettamente correlata a quella socio-assistenziale, ma è dirittura prevalente, perché in difetto di assistenza continua sarebbe in pericolo la stessa sopravvivenza del paziente. In tali ipotesi, secondo la l. numero 730/1983, non è possibile determinare le quote di natura sanitaria per detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione e la netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto anche quelle assistenziali sono comunque dirette alla tutela della salute del cittadino e ciò comporta conseguentemente la loro addebitabilità al servizio sanitario nazionale quali spese sanitarie. In ragione di detti motivi e dell’elevata integrazione tra le spese assistenziali e quelle sanitarie, il Tribunale di Roma ha riconosciuto fondata la domanda dell’attrice e condannato la Regione al pagamento delle predette.
Tribunale di Roma, sez. II Civile, sentenza 4 marzo 2021 Giudice Cartoni Fatto Con atto di citazione ritualmente notificato, Ro. Si. conveniva in giudizio la Regione Lazio per ottenere la condanna alla restituzione della somma di Euro 48.172,63 versata in favore della Residenza Sanitaria Assistenziale San Raffaele-Flamini titolo di retta per la degenza di Ca. Or., oltre interessi e rivalutazione monetaria, nonché delle somme che saranno versate in futuro per lo stesso titolo. Parte attrice esponeva che alla propria madre Ca. Orla di era diagnosticato un decadimento cognitivo, tipo Alzheimer che la Regione Lazio, ASL di Roma A, autorizzava l’ospitalità della Or. in RSA che in data 13.6.2012 la stessa era ricoverata presso la Residenza Sanitaria Assistenziale San Raffaele Flaminia di aver corrisposto a titolo di retta la complessiva somma di Euro 48.712,63 che la spesa doveva essere posta a carico del Servizio Sanitario Nazionale e di aver diritto alla restituzione della somma versata e da versare in futuro. Si costituiva la Regione Lazio, la quale eccepiva il difetto di legittimazione passiva, dovendosi ritenere destinatari della domanda i Comuni o le Aziende Sanitarie Locali, nonché l’inammissibilità e la infondatezza della pretesa. All’udienza del 25.9.2020 parte attrice concludeva per la condanna al pagamento della somma di Euro 48.172,63, oltre interessi e rivalutazione monetaria, nonché delle somme che saranno versate in futuro per lo stesso titolo, la Regione Lazio per l’accoglimento delle eccezioni preliminari ed il rigetto delle domande ed il giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini di cui all’articolo 190, primo comma, c.p.c. Diritto L’articolo 3 septies D.Lgs. numero 502/1992 prevede come prestazioni sociosanitarie le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria e le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria, le quali, queste ultime, ai sensi del 4. comma dello stesso articolo “sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative”. Il 3. comma dell’articolo 3 del D.P.C.M. del 14.2.2001, dopo aver ribadito che “Sono da considerare prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui all'articolo 3 - septies comma 4, del decreto legislativo numero 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni, tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e patologie terminali, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative. Tali prestazioni sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall'inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell'àmbito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell'impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell'assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell'assistenza”, ha precisato che “Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario” e che “Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungoassistenza”. Dal certificato Inps, in atti, Ca. Or., nata nel omissis , risulta “Già IC nella misura del 100%”, seguita dalla ASL per “decadimento cognitivo” e “decadimento cognitivo medio, tipo Alzheimer, con disturbi del comportamento”, con “artroprotesi bilaterale del ginocchio” e, per tali motivi, è stata assegnata al “Terzo Livello - Nucleo Demenze”. Trattasi, dunque, di persona anziana, al momento del primo ricovero, 2011, di anni ottantaquattro, invalida civile al 100% ed affetta da disabilità conseguente a patologia cronico-degenerativa, come può certamente ritenersi il decadimento cognitivo morbo di Alzheimer, da ritenersi in stato avanzato e grave alla luce dell’età della Or Dunque, non si è in presenza di prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, ma neanche di prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, individuate dal suddetto D.P.C.M. 14.2.2001 in “tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute”. In realtà è evidente che si è in presenza di prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, dove la componente sanitaria non solo è strettamente correlata a quella socio assistenziale, ma è addirittura prevalente, perché in difetto di assistenza continua sarebbe in pericolo la stessa sopravvivenza del paziente. In questo senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità “L'attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi dell'articolo 30 della legge numero 730 del 1983, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto comunque dirette, anche ex articolo 1 D.P.C.M. 8 agosto 1985, alla tutela della salute del cittadino ne consegue la non recuperabilità, mediante azione di rivalsa a carico dei parenti del paziente, delle prestazioni di natura assistenziale erogate dal Comune” Cass. civ. Sez. I Sent, 22/03/2012, numero 4558 . Si veda anche Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 09/11/2016, numero 22776, secondo la quale “In tema di prestazioni a carico del S.S.N., l’articolo 30 della L. numero 730 del 1983 - che per la prima volta ha menzionato le attività di rilievo sanitario connesse con quelle assistenziali - deve essere interpretato, alla stregua della L. numero 833 del 1978 che prevede l'erogazione gratuita delle prestazioni a tutti i cittadini, entro i livelli di assistenza uniformi definiti con il piano sanitario nazionale, nel senso che, nel caso in cui oltre alle prestazioni socio-assistenziali siano erogate prestazioni sanitarie, tale attività, in quanto diretta in via prevalente alla tutela della salute, va considerata comunque di rilievo sanitario e, pertanto di competenza del S.S.N. Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello che, ritenuti unicamente di carattere assistenziale, i trattamenti farmacologici somministrati con continuità ad un soggetto con grave psicopatologia cronica ospitato in struttura idonea all'effettuazione di terapie riabilitative, aveva accolto l'azione di rivalsa esperita dall'ASL per le spese relative alla quota alberghiera del ricovero ”. Sussiste, dunque, la legittimazione passiva della Regione, essendo espressamente previsto dal suddetto D.P.C.M. del 14.2.2001, articolo 3, primo comma, che le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale sono “di competenza delle aziende unità sanitarie locali ed a carico delle stesse” mentre, terzo comma, le prestazioni socio¬sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, pur se erogate dalle aziende sanitarie, “sono a carico del fondo sanitario”, come peraltro già affermato dall’articolo 30 della legge numero 730 del 27.12.1983. Peraltro, lo stesso D.P.C.M. nell’allegata tabella pone a carico del servizio sanitario nazionale le prestazioni a favore di “Anziani e persone non autosufficienti con patologie cronico degenerative” nella misura del 100% per la “assistenza in fase intensiva e le prestazioni ad elevata integrazione nella fase estensiva”. Il successivo D.P.C.M. 29.11.2001, poi, ha individuato le prestazioni sanitarie in senso stretto, come tali interamente a carico del servizio sanitario pubblico, in quanto ricomprese nei LEA, vale a dire nei livelli essenziali di assistenza, comprendendo all’Allegato 1A, punto 2.H, nell’ambito della “Assistenza territoriale residenziale e semi-residenziale”, la “attività riabilitativa sanitaria e sociosanitaria rivolta alle persone con disabilità fisica, psichica e sensoriale”, fattispecie del tutto assimilabile a quella di persona invalida civile al 100% ed affetta da disabilità conseguente a grave patologia cronico-degenerativa, morbo di Alzheimer, così come questa situazione deve ritenersi rientrante nell’ipotesi di cui all’articolo 30 , primo comma, lett. a , del successivo D.P.C.M. del 12.1.2017, vale a dire nei “trattamenti estensivi di cura e recupero funzionale a persone non autosufficienti con patologie che, pur non presentando particolari criticità e sintomi complessi, richiedono elevata tutela sanitaria con continuità assistenziale e presenza infermieristica sulle 24 ore”, totalmente a carico del servizio sanitario nazionale ai sensi del secondo comma, prima parte, dello stesso articolo 30 . Poiché la degenza di Ca. Or. si è svolta nella vigenza dell’articolo 3 septies D.Lgs. numero 502/1992, del D.P.C.M. 14.2.2001 e del D.P.C.M. 29.11.2001, poi ripreso dal D.P.C.M. 12.1.2017, per tutto quanto sopra esposto parte attrice ha diritto all’integrale rimborso della retta prestata. Non osta a questa conclusione l’inquadramento meramente formale del livello, intensivo o di mantenimento, da ritenersi per quanto esposto in contrasto con la normativa primaria, e, poiché trattasi di prestazione socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria rientrante nei LEA, non è applicabile la legge numero 328/2000, riguardante le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria di competenza dei Comuni e che all’articolo 15 fa espressamente salve “le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, per le patologie acute e croniche, particolarmente per i soggetti non autosufficienti”. La Regione Lazio è conseguentemente condannata al rimborso della retta pagata dall’attrice per l’intera degenza e fino al decesso di Ca. Or., vista la domanda di condanna anche al rimborso delle rette future, da quantificarsi, giusta documentazione in atti, in complessivi Euro 103.117,14, oltre interessi legali dai singoli pagamenti. Sul punto si precisa che, trattandosi di diritto soggettivo, di attività vincolata e di rapporto paritetico, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario si vedano Cass. civ. Sez. Unite Sent, 30/07/2008, numero 20586 T.A.R. Liguria Genova Sez. II, 11/02/2019, numero 113T.A.R. Veneto Venezia Sez. III Sent., 16/11/2010, numero 6041Tribunale Roma, 06/03/2001 . Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando a condanna la Regione Lazio, in persona del presidente pro-tempore, al pagamento in favore di Ro. Si. della somma di Euro 103.117,14, oltre interessi legali dai singoli pagamenti b condanna la Regione Lazio, in persona del presidente pro-tempore, al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4.890,00 per compensi ed Euro 600,00 per spese, oltre spese generali, iva e cpa.