Quali conseguenze derivano dalla revoca illegittima della posizione organizzativa?

In tema di risarcimento del danno per la revoca anticipata della posizione organizzativa ad un pubblico dipendente, la mancata assegnazione degli obiettivi e la mancata predisposizione dei criteri di valutazione non sono fatti ex se sufficienti a fondare una pretesa risarcitoria del dipendente titolare della posizione organizzativa, non essendo scontato che ove il datore di lavoro avesse dato corso ai suoi adempimenti il dipendente avrebbe conseguito una valutazione positiva. Tale principio è applicabile anche all'ipotesi di revoca illegittima della posizione organizzativa. Ne deriva l'onere del dipendente di allegare e dimostrare le chanche di conseguire il risultato, anche in via presuntiva.

Così la Corte di Cassazione, sez. lavoro, con l’ordinanza del 12 marzo n. 7067/21. Il caso. La Corte d'Appello di Cagliari, in riforma della sentenza del Tribunale di Oristano, accoglieva parzialmente le domande proposte da un dipendente del Comune di Fordongianus e condannava il Comune a risarcire al lavoratore il danno patrimoniale derivato dalla revoca illegittima della posizione organizzativa, nella misura della retribuzione di posizione non percepita dalla revoca alla naturale scadenza, nonché il danno non patrimoniale da demansionamento e da atti vessatori nella misura del 25% della retribuzione percepita dal momento in cui il demansionamento era stato attuato al termine del rapporto, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. Con ricorso per cassazione il lavoratore contestava il mancato computo nel danno per la revoca anticipata della posizione organizzativa di quanto sarebbe maturato per retribuzione di risultato. Il ricorrente lamentava inoltre che, con riferimento al danno da demansionamento, la Corte territoriale aveva riconosciuto i soli interessi legali e non anche la rivalutazione monetaria. Non è dovuta la retribuzione di risultato. La Suprema Corte ha ritenute infondate entrambe le censure del ricorrente, condividendo invece le scelte operate dalla Corte d'Appello di Cagliari. Come anticipato, il lavoratore contestava il mancato computo nel danno per la revoca anticipata della posizione organizzativa di quanto sarebbe maturato per retribuzione di risultato nel periodo successivo alla predetta revoca e fino alla naturale scadenza della posizione organizzativa , deducendo che tanto la mancata assegnazione degli obiettivi quanto la mancata valutazione dei risultati erano imputabili ad una condotta omissiva dell'ente, di cui egli non poteva subire gli effetti negativi. La Corte di Cassazione ha ritenuto tale critica inammissibile, posto che come già chiarito con sentenza n. 21166/19 la mancata predisposizione di criteri di valutazione non costituisce di per sé fatto sufficiente a far insorgere nel lavoratore titolare di una posizione organizzativa il diritto risarcitorio, non essendo scontato che il lavoratore avrebbe comunque conseguito una valutazione positiva, in ragione della quale avrebbe avuto diritto a conseguire la retribuzione di risultato. Dunque, grava sul lavoratore l'onere di allegare e dimostrare le possibilità di conseguire una valutazione favorevole, prova che si può offrire anche mediante presunzioni. Non è dovuta la rivalutazione monetaria sul risarcimento del danno non patrimoniale. Il lavoratore ha poi denunciato il vizio di violazione e/o errata applicazione dell'art. 429, comma 3, c.p.c. in relazione all'art. 150 disp. att. c.p.c. quanto alla statuizione sugli accessori del danno non patrimoniale, per avere la Corte territoriale riconosciuto i soli interessi legali e non anche la rivalutazione monetaria. Bisogna premettere che, nel caso in commento, la liquidazione del danno è stata operata dal giudice d'appello in via equitativa con riferimento al momento della pronuncia e non già in riferimento ad un momento anteriore, sicchè non vi era necessità di attualizzare il danno. In ogni caso, la Suprema Corte ricorda che la regola limitativa del cumulo degli accessori di cui alla l. n. 724/1994, art. 22 comma 36, a tenore della quale dal 1° gennaio 1995 il cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi legali non è più ammesso per i crediti di lavoro pubblico, si riferisce anche ai crediti di natura risarcitoria, benché l'elencazione contenuta nella norma emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale” non li menzioni testualmente. La formulazione testuale deve interpretarsi nel senso di crediti di lavoro”, locuzione che include anche crediti di natura risarcitoria nascenti dal rapporto di lavoro, cui è riferibile l'art. 429 c.p.c. rispetto al quale il Legislatore ha introdotto una regola limitativa.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 15 ottobre 2020 – 12 marzo 2021, n. 7067 Presidente Di Paolantonio – Relatore Spena Rilevato che 1. Con sentenza in data 21 gennaio 2015 n. 462 la Corte d’appello di Cagliari, in riforma della sentenza del Tribunale di Oristano, accoglieva parzialmente la domanda proposta da O.G.L.I. , già dipendente del COMUNE DI FORDONGIANUS in prosieguo il COMUNE , nei confronti del COMUNE e del Sindaco pro tempore in proprio per l’effetto, per quanto ancora in discussione dichiarava valida la originaria costituzione in giudizio del COMUNE, del 2 novembre 2007 dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Sindaco D.E. condannava il COMUNE a risarcire all’O. il danno patrimoniale derivato dalla revoca illegittima della posizione organizzativa, nella misura della retribuzione di posizione non percepita dalla revoca luglio 2001 alla naturale scadenza gennaio 2002 . condannava il COMUNE a risarcire il danno non patrimoniale da demansionamento e da atti vessatori, nella misura del 25% della retribuzione percepita dall’O. dal dicembre 2001 al termine del rapporto, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo 2. In via preliminare, la Corte territoriale dichiarava valida la iniziale costituzione in giudizio del COMUNE del 2 novembre 2007 e, pertanto, tempestiva la produzione dei documenti. 3. Riteneva che l’unico difensore del COMUNE e del Sindaco D. non si trovasse in conflitto di interessi, in quanto i due assistiti avevano svolto difese identiche, sostenendo la legittimità degli atti e delle condotte dell’ente. Dichiarava pertanto assorbito il motivo d’appello con il quale l’O. sosteneva la inefficacia della seconda costituzione del COMUNE in data 16 settembre 2008 esaminava, comunque, tale motivo di impugnazione, dichiarandolo infondato. 4. Nel merito, il giudice dell’appello riteneva illegittima la revoca, con Delib. Giunta 27 giugno 2001, della posizione organizzativa responsabile dell’ufficio tecnico conferita all’O. nel febbraio 2001, in quanto avvenuta senza attivare il contraddittorio con il dipendente, in violazione dell’art. 9, comma 4 CCNL COMPARTO ENTI LOCALI 31 marzo 1999 in prosieguo CCNL 1999 . 5. La allegazione del COMUNE secondo cui non erano stati ancora deliberati gli atti organizzativi richiesti dal medesimo art. 9, comma 6 per la istituzione delle posizioni organizzative era smentita dalla Delib. giunta 2 febbraio 2002 doc 35 della produzione dell’O. . 6. Dall’illegittimità della revoca derivava il diritto dell’O. al risarcimento del danno, nella misura della retribuzione di posizione che sarebbe maturata nel periodo intercorrente dalla revoca alla naturale scadenza dell’incarico. Non era sindacabile, invece, la decisione della amministrazione di attribuire nel periodo successivo la responsabilità dell’ufficio tecnico al Sindaco ed ad un Assessore, possibilità prevista dalla L. n. 388 del 2000, art. 53, comma 23. 7. Nel danno risarcibile non poteva essere compresa la retribuzione di risultato, legata alla percentuale di raggiungimento degli obiettivi e, quindi, non determinabile in sede giudiziale. 8. L’O. aveva chiesto, inoltre, il risarcimento del danno non patrimoniale per demansionamento e mobbing. 9. L’illecito non si era realizzato nel primo anno del rapporto, in quanto la privazione della posizione organizzativa, pur illegittima sotto l’aspetto procedurale, non integrava un demansionamento e le ulteriori allegazioni erano generiche e poco significative. 10. Un demansionamento, per sottrazione di gran parte delle mansioni, era provato dal dicembre 2001 ovvero dal primo rinnovo del contratto a termine con cui nel settembre 2001 il COMUNE aveva assunto il geometra U. . Il progressivo svuotamento delle mansioni era stato accompagnato da atti e comportamenti lesivi della dignità personale e professionale dell’O. , tra i quali la applicazione della sanzione della censura, illegittima sia sotto il profilo procedurale che nel merito e le stesse modalità del licenziamento. 11. La valutazione complessiva di tali circostanze ed, in particolare, la lunga durata del demansionamento, la sua evidente notorietà in un ambiente lavorativo ristretto ed in un paese piccolo, gli altri atti ostili, fornivano la prova del danno non patrimoniale per lesione del diritto, ex artt. 2, 4 e 35 Cost., all’esercizio delle mansioni. La sua liquidazione andava rapportata in via equitativa al 25% della retribuzione netta, oltre interessi legali dalla sentenza. 12. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza O.G.L.I. , articolato in tre motivi il terzo distinto in quattro autonome censure , cui hanno resistito con controricorso D.E. ed il COMUNE. Il COMUNE ha altresì proposto ricorso incidentale, articolato in quattro motivi. L’O. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale. 13. Il ricorrente O. ed il COMUNE hanno depositato memoria. Considerato che 1. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o errata applicazione degli artt. 2043 e 2087 c.c. e del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 22 e 23, dell’art. 1294 c.c., con riferimento all’art. 28 Cost. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per omessa o insufficiente motivazione. 2. La censura coglie la dichiarazione del difetto di legittimazione passiva del Sindaco p.t. D.M.E. , chiamato a rispondere in proprio. 3. Il ricorrente ha lamentato, da un canto, la laconicità della motivazione, dall’altro la violazione delle norme sulla responsabilità civile extracontrattuale dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici. 4. Il motivo è inammissibile. 5. Giova premettere che l’ordinamento delle autonomie locali L. n. 142 del 1990, art. 58, comma 1, della poi trasfuso nel D.P.R. n. 267 del 2000, art. 93, comma 1, assoggetta gli amministratori ed il personale degli enti locali alle disposizioni in materia di responsabilità degli impiegati dello Stato. Viene dunque in rilievo il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 22 a tenore del quale l’impiegato che nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell’art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo . Secondo le previsioni del suddetto TU n. 3 del 1957, art. 23 la responsabilità dei dipendenti verso i terzi sussiste solo a titolo di dolo o di colpa grave. 6. Trattasi di responsabilità extracontrattuale, anche nelle ipotesi in cui il comportamento determini una responsabilità dell’ente di natura contrattuale la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti dell’ente locale non trova titolo nell’inadempimento di un rapporto contrattuale, di cui essi non sono parte, ma nell’inosservanza del dovere del neminem laedere. 7. La sentenza impugnata si è arrestata al rilievo della immedesimazione organica tra Sindaco ed ente comunale, erroneamente ritenuta preclusiva della legittimazione passiva del primo. 8. Tuttavia poiché la azione nei confronti dell’amministratore dell’ente locale ha un titolo distinto ed autonomo rispetto alla azione contrattuale proposta dall’O. nei confronti del datore di lavoro, era onere del ricorrente, al fine di dimostrare il proprio interesse alla censura, allegare specificamente l’avvenuta proposizione di tale azione, attraverso la trascrizione delle allegazioni svolte nel giudizio di merito. 9. La parte ricorrente non ha adempiuto a tale onere sicché resta indimostrato che per effetto della cassazione della sentenza potrebbe conseguire un effetto utile. 10. La impugnazione proposta sotto il profilo del vizio di motivazione è inammissibile, in quanto il ricorrente si limita a censurare la laconicità della motivazione, che, in ogni caso, resta chiaramente comprensibile. 11. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e/o errata applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 22, 23, 18 e 19 con riferimento all’art. 28 Cost. del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 78 e degli artt. 83 e 416 c.p.c. 12. Si contesta la statuizione di ritualità della iniziale costituzione del Comune nel giudizio di primo grado, fondata sull’assenza di un conflitto di interessi del difensore costituito. Il ricorrente ha altresì censurato le motivazioni spese nella sentenza impugnata, malgrado la statuizione principale di assorbimento, in merito alla ritualità della successiva e rinnovata costituzione in giudizio del Comune. 13. Il motivo è infondato in punto di conflitto di interessi, inammissibile nel resto. 14. Vero è che, come deduce il ricorrente principale, il conflitto di interessi tra le parti, che rende inammissibile la loro costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore, può essere anche solo virtuale Cassazione civile sez. I, 23/03/2018, n. 7363 Cassazione civile sez. III, 10/05/2004, n. 8842 tuttavia detto conflitto potenziale non può consistere in una mera eventualità ma deve riguardare il concreto rapporto esistente fra le parti Cassazione civile sez. II, 22/01/2018, n. 1530 Cassazione civile sez. VI, 24/01/2011, n. 1550 Cass. Sez. II, 14/06/2005 n. 12741 Cass. 28/01/1997 n. 835 . Occorre, cioè, avere riguardo alle posizioni processuali assunte, che, come accertato dal giudice del merito, erano nella fattispecie di causa assolutamente convergenti. 15.Le ulteriori ragioni del ricorso si riferiscono alla statuizione di validità anche della seconda costituzione in causa del COMUNE depositata il 16 settembre 2008 esse sono inammissibili per difetto di interesse alla censura giacché resta definitivamente accertata, per quanto appena esposto, la validità della prima costituzione del COMUNE. 16. Il terzo motivo compendia quattro censure, relative alle statuizioni risarcitorie rese verso il Comune. Trattasi di motivi di impugnazione autonomi, che per chiarezza espositiva è opportuno esaminare distintamente. 17. Sotto il primo profilo si denuncia violazione e/o errata applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 53, comma 23 e ss. mod. e int. degli artt. 8, 9 e 11 CCNL 31.3.1999 del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, comma 2, lett. a con riferimento all’art. 97 Cost., commi 2 e 3. 18. Si contesta la liquidazione del danno patrimoniale per la revoca della posizione organizzativa, in quanto limitato alle retribuzioni maturate fino alla naturale scadenza dell’incarico, nel gennaio 2002 sotto questo profilo si denuncia la illegittimità della successiva scelta di assegnare la responsabilità dell’ufficio tecnico al Sindaco ed ad un assessore per violazione dei criteri generali sull’ordinamento degli uffici e dei servizi del COMUNE Delib. Consiglio Comunale 31 marzo 2000, n. 17 e si lamenta la lesione della propria legittima aspettativa, ex art. 11 CCNL 1999, di vedersi affidato l’incarico, in quanto unico dipendente del servizio tecnico di categoria D. 19. La censura è inammissibile. La parte formalmente deduce un vizio di violazione di legge ma, nella sostanza, si duole, piuttosto, dell’omesso esame di due fatti storici la delibera del Consiglio comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi la circostanza che egli fosse l’unico dipendente del settore tecnico inquadrato nella categoria D. Il motivo, d’altra parte, non presenta i requisiti di specificità necessari per potere riqualificare la censura in termini di vizio di motivazione si sollecita, piuttosto, un non-consentito riesame del merito. 20. La seconda critica concerne-ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e/o errata applicazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 53, comma 23 e ss. mod. e int. degli artt. 8, 9, 10 e 11 CCNL 31.3.1999, del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, comma 2, lett. a con riferimento all’art. 97 Cor., commi 2 e 3. 21. Si contesta il mancato computo nel danno per la revoca anticipata della posizione organizzativa di quanto sarebbe maturato per retribuzione di risultato. Il ricorrente ha dedotto che tanto la mancata assegnazione degli obiettivi che la mancata valutazione dei risultati erano imputabili ad una condotta omissiva dell’ente, di cui egli non poteva subire gli effetti negativi. 22. La critica è inammissibile. Questa Corte Cass. 7 agosto 2019 n. 21166 ha già chiarito che la mancata assegnazione degli obiettivi e la mancata predisposizione di criteri di valutazione non sono fatti ex se sufficienti a fondare una pretesa risarcitoria del dipendente titolare della posizione organizzativa, non essendo scontato che ove il datore di lavoro avesse dato corso ai suoi adempimenti il dipendente avrebbe conseguito una valutazione positiva. Tale principio è applicabile anche alle ipotesi di revoca illegittima della posizione organizzativa. Ne deriva l’onere del dipendente di allegare e dimostrare la chanche di conseguire il risultato, anche in via presuntiva cfr. Cass. 12 aprile 2017 n. 9392 . La parte ricorrente non ha trascritto le allegazioni compiute nei gradi di merito circa la attività posta in essere e le chanches di conseguire una valutazione favorevole sicché anche in questo caso resta indimostrato il suo interesse alla censura. 23. Sotto il terzo profilo viene dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e/o errata applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 omesso esame e omessa pronuncia circa un punto decisivo per il giudizio. 24. La impugnazione coglie la statuizione sul risarcimento del danno da demansionamento. Il ricorrente ha lamentato l’omesso esame del dedotto danno alla professionalità e la inadeguata liquidazione del danno non patrimoniale, riconosciuto solo dal dicembre 2001. 25. La censura è inammissibile per difetto di specificità. La parte ricorrente anche nel caso di denuncia di un error in procedendo è tenuta a rispettare l’onere di specificità del ricorso il ricorrente non trascrive le allegazioni svolte nel primo grado ed in appello circa il risarcimento del danno alla professionalità, come autonoma voce di danno patrimoniale, asserendo, genericamente, di averlo allegato. Nel resto si contesta la quantificazione del danno patrimoniale e non patrimoniale operata nella sentenza impugnata, sollecitando un riesame del merito. 26. Da ultimo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e/o errata applicazione dell’art. 429 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 150 disp. att. c.p.c., quanto alla statuizione sugli accessori del danno non patrimoniale, per avere la Corte territoriale riconosciuto i soli interessi legali e non anche la rivalutazione monetaria. 27. Il motivo è infondato. 28. Va preliminarmente evidenziato che la liquidazione del danno è stata operata dal giudice dell’appello in via equitativa con riferimento al momento della pronuncia e non già in riferimento ad un momento anteriore sicché sotto questo profilo non vi era necessità di attualizzare il danno. 29. Quanto alla disciplina degli accessori sul quantum liquidato, questa Corte Cass. 2 luglio 2020 n. 13624 ha già chiarito che la regola limitativa del cumulo degli accessori di cui alla legge L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36 a tenore della quale dall’1 gennaio 1995 il cumulo di rivalutazione e interessi legali non è più ammesso per i crediti di lavoro pubblico si riferisce anche ai crediti di natura risarcitoria, benché l’elencazione contenuta nella norma emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale non li menzioni testualmente la formulazione testuale deve interpretarsi nel senso di crediti di lavoro , locuzione che include anche bi crediti di natura risarcitoria nascenti dal rapporto di lavoro, cui è riferibile l’art. 429 c.p.c., rispetto al quale il legislatore ha introdotto una regola limitativa. A tale principio si intende assicurare in questa sede continuità. 30. Il ricorso principale deve conclusivamente dichiararsi nel complesso infondato. 31. Con il primo motivo del ricorso incidentale il COMUNE ha censurato la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione dell’art. 9 CCNL 1999, in relazione alla dichiarata illegittimità della revoca della posizione organizzativa. 32. Si deduce l’omesso esame della delibera di Giunta del 5 giugno 2002 n. 41 approvazione dell’accordo sindacale sul sistema di valutazione del personale degli enti locali documento 22 della produzione del COMUNE dalla quale sarebbe emerso che sino a quella data non sussistevano i presupposti di cui all’art. 9 CCNL 1999 per la istituzione delle posizioni organizzative. Si assume, altresì, che la revoca era legittimamente avvenuta ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 200, art. 109, comma 1, per i risultati negativi di gestione. 33. Il motivo è inammissibile. 34. Le censure non attengono alla interpretazione ed applicazione delle norme di legge e di contratto collettivo ma, piuttosto, all’omesso esame di due fatti storici ed, in particolare la mancata attuazione degli adempimenti necessari alla istituzione delle posizioni organizzative i risultati negativi della gestione. Sotto il primo profilo, il fatto è stato esaminato nella sentenza impugnata pagina 7, 3^ capoverso , che ha dato conto del compimento di tutte le attività amministrative preliminari in ogni caso, la censura non ha i requisiti di specificità necessari alla sua riqualificazione come vizio di motivazione. Sotto il secondo profilo, al rilievo di genericità delle deduzioni si aggiunge il dato della estraneità della critica alla ratio decidendi la illegittimità della revoca della posizione organizzativa è stata ritenuta, infatti, sotto un profilo meramente procedurale, per la mancata attivazione del contraddittorio. 35. Con il secondo motivo del ricorso incidentale il COMUNE ha denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2103, 2697 c.c. e dei principi in tema di mobbing nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5-omesso esame di punti decisivi per il giudizio. 36. Si censura l’accertamento del demansionamento, per non avere il giudice dell’appello considerato i compiti rimasti in carico all’O. nè il suo atteggiamento oppositivo e le sue assenze, che avevano determinato la necessità di prorogare l’assunzione a tempo determinato del geometra U. . 37. Il COMUNE ha altresì lamentato la mancanza di prova del nesso causale tra le condotte ed il danno nonché, quanto alle modalità di risoluzione del rapporto di lavoro, l’omesso esame dell’ordinanza del Tribunale di Oristano che conteneva l’ordine di riassunzione dell’O. da parte della PROVINCIA. 38. Da ultimo, il COMUNE ha dedotto che non era stata offerta la prova dell’elemento intenzionale del mobbing che, anche a voler integrato il demansionamento, sarebbe stato comunque necessario accertare il verificarsi di un effettivo pregiudizio e di una lesione dei diritti della persona incidente oltre la soglia della tollerabilità che la situazione di lavoro descritta dal ricorrente non corrispondeva alla realtà degli accadimenti. 39. Il motivo è inammissibile. Le censure relative al difetto di prova dell’illecito sono generiche e la censura è diretta, nel complesso, ad una rivalutazione del merito, senza evidenziare nè le statuizioni della sentenza in cui si ravviserebbe la violazione di principi di diritto nè sotto il profilo del vizio di motivazione uno specifico fatto storico non esaminato dal giudice dell’appello. 40. Con il terzo motivo del ricorso incidentale si deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 e 55 bis e della L. n. 300 del 1970 nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. 41. Si contesta la sentenza impugnata per avere affermato che all’O. era stata irrogata illegittimamente la sanzione della censura. 42. Il motivo è inammissibile. 43. Nel primo grado di giudizio il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda originaria, aveva dichiarato la illegittimità della sanzione della censura irrogata all’O. . Nella sentenza impugnata si espone che il COMUNE aveva proposto appello incidentale unicamente avverso la statuizione di nullità della sua prima costituzione in giudizio il giudice dell’appello afferma, poi, la illegittimità della censura ma unicamente nell’elencarla tra le condotte vessatorie del datore di lavoro, senza dare conto di uno specifico motivo di impugnazione. 44. Non si comprende, in sostanza, se la statuizione di illegittimità della censura resa nel primo grado fosse stata o meno oggetto di appello. 45. Per sfuggire alla preclusione del giudicato interno, dunque, la parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere in questa sede il motivo di appello proposto avverso la statuizione del primo grado. 46. Con il quarto mezzo il COMUNE ha dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 omessa pronuncia e violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per non avere il giudice dell’appello assunto le prove testimoniali articolate nel primo grado dopo aver dichiarato la ritualità della sua costituzione. 47. Il motivo è inammissibile. 48. La omessa pronunzia sulle istanze istruttorie integra un vizio della motivazione denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’omesso esame dei fatti storici che i mezzi di prova erano diretti ad introdurre nel giudizio Cassazione civile sez. lav. n. 6715/2013 sez. III n. 709/2010 SU n. 15982/2001 . 49. È onere della parte che denunci la mancata ammissione di mezzi istruttori sia di indicare specificamente il contenuto dei mezzi istruttori richiesti sia di dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, nel senso che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove Cass., sez. lav., 12/12/2014, n. 26234 Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178 Cass., 17 maggio 2006, n. 11501 Cass., 11 giugno 2001, n. 7852 . A tali oneri il COMUNE non ha adempiuto. 50. Il ricorso incidentale deve essere pertanto dichiarato complessivamente inammissibile. 51. Le spese di causa si compensano nei rapporti tra il ricorrente principale ed il COMUNE ricorrente in via incidentale per la reciproca soccombenza nei rapporti tra il ricorrente O. ed il controricorrente D. non vi è luogo a refusione delle spese, per la mancata produzione dell’avviso di ricevimento della notifica del controricorso. 52. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.