L’aumento del valore degli immobili utilizzati nell’impresa familiare può incidere sul valore della quota spettante al partecipante

In tema di liquidazione della quota spettante al partecipante di un’impresa familiare, la determinazione della partecipazione agli utili ed agli incrementi del familiare deve essere effettuata in relazione al valore complessivo dell’impresa, per cui se l’incremento di valore di un fattore della produzione quale può essere un immobile si è tradotto in un aumento di redditività dell’impresa medesima non è dato scorporare dalla stessa la componente riferibile a fattori che si assumono del tutto estranei all’attività prestata dal partecipante analogicamente, il verificarsi nel corso della vita dell’impresa di fattori di decremento dei beni con riflessi sulla produttività della stessa non può che riverberarsi sulla concreta liquidazione della quota del partecipante.

Ne deriva che l’aumento di valore degli immobili utilizzati nell’impresa familiare verificatosi per effetto dell’introduzione della moneta unica può assumere rilievo ai fini della concreta determinazione delle spettanze del familiare qualora si sia tradotto in un generale fattore di accrescimento del valore dell’impresa unitariamente considerata ed in una maggiore redditività della stessa Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza del 22 gennaio, 2021, n. 1401 . Il caso. La Suprema Corte è stata chiamata a valutare la questione relativa all’inclusione, o meno, nella quota spettante al partecipante di un’impresa familiare dell’aumento di valore degli immobili utilizzati nell’impresa verificatosi per il mero effetto dell’introduzione della moneta unica. Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva rideterminato la somma spettante al ricorrente a titolo di utili ed incrementi per l’attività prestata, decurtando dalla stessa l’incremento di valore degli immobili conferiti dalla moglie all’impresa familiare. Secondo la Corte territoriale, infatti, tale incremento non era strettamente connesso all’apporto concreto dei partecipanti all’impresa familiare ma era scaturito dall’aumento di valore di mercato dei predetti immobili determinato dal passaggio di valuta dalla lira all’euro nel periodo 2001/2002. I criteri di determinazione della quota di partecipazione nell’impresa familiare. Come è noto, l’art. 230- bis c.c. riconosce il diritto alla partecipazione del familiare all’impresa in proporzione alla quantità e qualità di lavoro prestato. In tal modo viene valorizzato il contributo – diretto o indiretto – alla realizzazione di utili ed incrementi dell’impresa, di tal ché la partecipazione agli utili è in funzione dell’apporto del partecipante alla produttività della stessa ed il criterio di determinazione della quota di partecipazione è quello della quantità e qualità del lavoro svolto dal familiare-collaboratore nella gestione dell’impresa e non della sua effettiva incidenza causale sul conseguimento degli utili e degli incrementi, che rappresentano soltanto l’effetto e non la misura dell’attività svolta. Per tale ragione, per giurisprudenza costante, una volta che sia cessata l’impresa familiare, la liquidazione della quota spettante al familiare che vi ha collaborato deve avere per dividendo gli utili, i beni acquistati con essi e gli incrementi e per divisore unico la quantità del lavoro prestato. Ciò in quanto gli utili e gli incrementi non sono che due diverse modalità di impiego dello stesso risultato economico prodotto attraverso la collaborazione familiare l’utile rappresenta l’incremento risultante dallo svolgimento dell’attività di impresa nel corso di un esercizio finanziario mentre gli incrementi patrimoniali derivano dal reinvestimento nell’azienda degli utili conseguiti e non distribuiti. Il carattere dinamico dell’impresa familiare. Tale assunto trova conferma anche nella natura dinamica dell’impresa familiare che – a differenza dell’istituto della comunione di beni in cui prevale l’elemento statico del godimento dei beni secondo la destinazione loro propria – si caratterizza per l’elemento, appunto, dinamico della strumentalità dei beni per il compimento di un’attività, i cui utili saranno poi ripartiti tra le parti. Ciò rende connaturale all’impresa la possibilità che nel tempo i vari fattori della produzione, così come il complesso organizzato degli stessi unitariamente considerato, possano subire delle variazioni di valore, in funzione dell’andamento del mercato, con riflessi diretti ed indiretti sulla redditività dell’impresa medesima e, quindi, sulla sua capacità di produrre utili.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 17 settembre 2020 – 22 gennaio 2021, n. 1401 Presidente Blasutto – Relatore Pagetta Rilevato che 1. la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma delle sentenze non definitiva e definitiva di primo grado, rideterminata in Euro 290.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda giudiziale al saldo, la somma dovuta a G.V. , originario ricorrente, a titolo di utili ed incrementi per l’attività prestata nell’ambito della impresa familiare costituita con la moglie P.P. , ha condannato in solido P.P. e la Società Agricola P.P. s.r.l. al relativo pagamento 2. il giudice di secondo grado, pur confermando che la misura della partecipazione del G. alla impresa familiare era pari al 60%, ha ritenuto che la relativa quota dovesse essere calcolata depurata dell’incremento di valore degli immobili in proprietà della moglie e da questa conferiti all’impresa familiare tale incremento non era, infatti, strettamente connesso all’apporto concreto dei partecipanti all’impresa familiare ma era scaturito dall’aumento di valore di mercato degli immobili determinato dal passaggio di valuta dalla lira all’Euro nel periodo 2001/2002, secondo quanto accertato dal consulente tecnico di ufficio 3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.V. sulla base di cinque motivi le parti intimate hanno resistito ciascuna con tempestivo controricorso 4. G.V. e Società Agricola P.P. s.r.l. ora denominata DDM s.r.l. hanno depositato memoria 5. P.P. ha depositato dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in data 1 settembre 2020 con la quale, premesso il decesso del proprio procuratore, Avv. Luigi Genovese, avvenuto in data omissis , ha dichiarato di non voler nominare un nuovo difensore e chiesto che la causa fosse posta in decisione senza ulteriori rinvii. Considerato che 1. preliminarmente si rileva che alla luce della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale P.P. ha dichiarato di non voler procedere alla nomina di un nuovo difensore in sostituzione del precedente, deceduto nelle more, e chiesto che la causa venisse decisa senza ulteriore rinvio, non sussistono i presupposti per il differimento ad altra udienza della trattazione del presente ricorso Cass. n. 7751/2020 , in astratto giustificabile solo dalla necessità di consentire la nomina di un nuovo difensore Cass. Sez. Un. 477/2006 , facoltà alla quale la interessata ha espressamente dichiarato di rinunziare 2. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 416,420, 421 e 437 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere disposto la rinnovazione della consulenza contabile di primo grado con ampliamento della indagine peritale a circostanze di fatto non tempestivamente dedotte da controparte in particolare si duole che nel conferimento dell’incarico peritale la Corte di merito, nel richiedere la determinazione del valore degli utili, degli incrementi, degli acquisiti e dell’avviamento dell’impresa familiare a suo tempo in essere fra il G. e la P. , avesse chiesto lo scorporo dei dati riferiti all’incremento di valore di mercato dei beni immobili dell’impresa, quali desumibili dagli elementi ed atti di causa e dalle evidenze reperibili presso i pubblici uffici fiscali, dai registri immobiliari, catastali e tavolari sostiene l’inammissibilità di tale scorporo in quanto, come evidenziato nella memoria di costituzione in appello, la circostanza della positiva dinamica dei prezzi riferiti agli immobili non era stata oggetto di tempestiva allegazione in primo grado, di talché rispetto ad essa, come chiarito dal Cass. n. 8282/2005, non era esercitabile alcun potere istruttorio di ufficio così come doveva ritenersi inammissibile la produzione di documenti quali indici e tabelle relative ai valori immobiliari. Tale carenza non poteva essere superata, come aveva mostrato, invece, di ritenere la Corte di merito, dalle contestazioni formulate nella consulenza di parte dei convenuti 3. con il secondo motivo di ricorso, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115-416 c.p.c., censura la sentenza impugnata in quanto fondata su una circostanza di fatto dinamica positiva dei valori immobiliari determinata dall’entrata in vigore dell’Euro non allegata dalla parte resistente in primo grado a fronte dell’allegazione del ricorso introduttivo che i beni acquistati dalla P. per l’esercizio dell’impresa familiare erano costituiti da terreni vitati, privi di fatto di capacità produttiva, e da immobili in cattivo stato di conservazione, i quali grazie al lavoro del G. avevano aumentato il loro valore, la P. , infatti, si era limitata a contestare la qualità e quantità del lavoro svolto dal G. e la stima dallo stesso effettuata del valore degli immobili, senza contestare che l’incremento di valore fosse stato determinato dagli interventi di ristrutturazione e ammodernamento nonché dal reimpianto di viti, come allegato dal G. da tanto scaturiva, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., che il fatto che l’incremento di valore dei cespiti aziendali fosse dovuto all’attività dell’impresa familiare, dovesse ritenersi pacifico la sentenza del giudice d’appello era errata perché aveva tenuto conto di una circostanza rispetto alla cui allegazione la P. era decaduta 4. con il terzo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 230 bis c.c., censura la sentenza impugnata per avere escluso dagli incrementi cui partecipa il familiare il maggior valore degli immobili determinato dall’entrata in vigore dell’Euro sostiene che in tal modo era stato introdotto un criterio di distinzione fra le varie tipologie di incrementi estraneo al disposto dell’art. 230 bis c.p.c. ciò anche luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata della previsione e del fatto che sul familiare che partecipa alla comunione grava comunque il rischio di impresa 5. con il quarto motivo di ricorso deduce omesso esame di due fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti premette che la consulenza di secondo grado aveva erroneamente scomputato dal valore complessivo dei cespiti immobiliari, determinato nella ctu redatta in primo grado in Euro 1.847.310,00, il valore di Euro 265.768,72, relativo a fabbricati acquistati nel 1998, stimato all’anno 2009 tale detrazione, secondo quanto già evidenziato dal consulente di parte, era errata in quanto i cespiti in questione erano stati ceduti dalla P. nell’anno 2000, e quindi si trattava di beni non in possesso dell’azienda al suo scioglimento. Nè valeva assumere che il ricavato della vendita era stato reinvestito in quanto si era omesso di considerare che tale reinvestimento, avvenuto per finanziare l’acquisto di altri cespiti immobiliari, aveva comportato la detrazione del valore dei cespiti acquistati con tale finanziamento perché di proprietà esclusiva dell’imprenditore 6. con il quinto motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti la ctu di secondo grado era errata laddove aveva detratto dal valore complessivo dei cespiti immobiliari il debito residuo contratto per l’acquisto degli stessi mediante mutui che, con riferimento all’anno 2009, ammontavano ad Euro 195.309,00 la Corte territoriale non aveva considerato che il prezzo di acquisto degli immobili era stato, in realtà oggetto di duplice scorporazione in quanto era stato inserito il debito residuo contratto per pagare il prezzo di acquisto dei cespiti già a sua volta detratto ab origine 7. il primo motivo di ricorso è infondato 7.1, il giudice di appello ha respinto la eccezione di novum, formulata dall’odierno ricorrente in relazione alla questione dell’incremento di valore degli immobili destinati all’esercizio dell’impresa familiare per effetto di circostanze estranee all’apporto del G. , osservando che le notazioni in oggetto” erano state già formulate nelle note autorizzate per l’udienza del 19.1.2015 e cioè in sede di critica alla ctp di primo grado. Tanto premesso la contestazione relativa al criterio di determinazione dell’incremento spettante al partecipante alla impresa familiare costituisce questione di diritto che si colloca all’interno del thema decidendum quale delineato dalla domanda di primo grado formulata dall’odierno ricorrente la richiesta relativa alla quota di partecipazione all’impresa familiare e quindi anche ai relativi incrementi postula, infatti, quale prius logico giuridico, che venga definita in primo luogo ed in linea astratta la nozione di incremento riconoscibile al partecipante all’atto della risoluzione del rapporto con l’impresa familiare la relativa definizione pone quindi una quaestio iuris che attiene alla corretta determinazione del parametro legale al quale commisurare il diritto del partecipante e si sottrae, pertanto, ai rilievi in punto di violazione del divieto di novum formulati dal ricorrente 7.2. in ordine poi alla prospettata violazione del divieto di novum formulata avuto riguardo all’acquisizione documentale di secondo grado riferita all’incremento degli immobili per effetto del cambio di valuta, la questione risulta assorbita per la ininfluenza concreta di tale documentazione alle luce delle ragioni di accoglimento del terzo motivo di ricorso 8. il terzo motivo di ricorso è fondato ed il relativo accoglimento assorbe l’esame degli ulteriori motivi 8.1. come è noto, con la introduzione dell’istituto della impresa familiare, significativamente inserito nell’ambito della cd. Riforma del diritto di famiglia di cui alla L. n. 151 del 1975, il Legislatore ha inteso dare attuazione ad interessi di rilievo costituzionale in relazione al principio di solidarietà nell’ambito familiare, alla valorizzazione del lavoro femminile, al superamento della presunzione di gratuità delle prestazioni rese dal familiare, approntando una disciplina suppletiva di carattere residuale in quanto diretta ad apprestare una tutela minima ed inderogabile ai rapporti lavorativi che si svolgono negli aggregati familiari 8.2. secondo i condivisibili approdi ai quali è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte l’impresa disciplinata dall’art. 230 bis c.c. costituisce un tipico istituto familiare, che non incide sulla titolarità dell’impresa e sull’esercizio dei relativi poteri in conseguenza hanno un rilievo meramente interno, sia i diritti amministrativi di partecipazione alla vita dell’impresa sia i diritti patrimoniali, ricondotti alla struttura del credito, dei familiari partecipanti che prestino la propria attività nell’ambito della impresa medesima 8.3. in relazione a tale secondo profilo, l’unico rilevante nella presente fattispecie, si premette che l’art. 230 bis c.c. riconosce il diritto alla partecipazione del familiare in proporzione alla quantità e qualità di lavoro prestato in tal modo viene valorizzato il contributo - diretto o indiretto - alla realizzazione di utili ed incrementi dell’impresa ed in questa ottica nella giurisprudenza di legittimità si è ripetutamente affermato che la partecipazione agli utili è in funzione dell’apporto del partecipante alla produttività dell’impresa v. Cass. n. 27108/2017, n. 5224/2016, n. 5448/2011, n. 11332/1999, n. 89/1995, n. 9025/1991 , con la significativa precisazione da parte di Cass. n. 27108/2017 che il criterio di determinazione della quota di partecipazione è quello della quantità e qualità del lavoro svolto dal familiare-collaboratore nella gestione della impresa e non della sua effettiva incidenza causale sul conseguimento degli utili ed incrementi, che rappresentano soltanto l’effetto e non la misura dell’attività svolta. In sostanza, cessata l’impresa familiare, la liquidazione della quota spettante al familiare che vi ha collaborato deve avere per dividendo gli utili, i beni acquistati con essi e gli incrementi e per divisore unico la quantità e qualità del lavoro prestato la ratio della previsione dell’art. 230 bis c.c. risiede evidentemente nel fatto che utili ed incrementi non sono che due diverse modalità di impiego dello stesso risultato economico prodotto attraverso la collaborazione familiare l’utile rappresenta l’incremento risultante dallo svolgimento dell’attività di impresa nel corso di un esercizio finanziario gli incrementi patrimoniali derivano del reinvestimento nella azienda degli utili conseguiti e non distribuiti Cass. n. 27108/2017 cit. 8.4. alla luce di quanto ora osservato l’aumento di valore degli immobili utilizzati nell’esercizio della impresa familiare verificatosi per effetto della introduzione della moneta unica non appare concettualmente riconducibile alla nozione di incremento quale definita dalla richiamata giurisprudenza posto che tale aumento non è frutto del reinvestimento in azienda di utili conseguiti e non distribuiti 8.5. sotto altro profilo deve considerarsi che l’aumento di valore degli immobili per effetto della introduzione della moneta unica in tanto può assumere rilievo ai fini della concreta determinazione delle spettanze del familiare in quanto si sia tradotto in un generale fattore di accrescimento del valore dell’impresa unitariamente considerata ed in definitiva in una maggiore redditività della stessa 8.6. le considerazioni che precedono rendono non conforme a diritto la soluzione della Corte di merito che nella determinazione del quantum dovuto all’originario ricorrente ha ritenuto doversi espungere il valore corrispondente alla rivalutazione degli immobili il Legislatore del 1975, nel disciplinare l’istituto di cui all’art. 230 bis c.c. ha fatto riferimento esclusivo all’impresa e quindi ad un’organizzazione che si qualifica secondo la definizione normativa dell’art. 2082 c.c Essa costituisce, per definizione, un’entità dinamica implicando la gestione strumentale di un complesso di fattori tra i quali anche i beni mobili o immobili e le entità immateriali per il compimento di un’attività destinata a produrre utili da distribuire tra le parti Cass. n. 273/1973 8.7. sul carattere dinamico della impresa si è ripetutamente soffermata la giurisprudenza della S.C. in particolare nel confronto con il diverso istituto della comunione dei beni - che è stato declinato anche nell’ambito del diritto di famiglia es. in tema di comunione dei coniugi, art. 177 c.c. - evidenziando che mentre quest’ultima si caratterizza per la prevalenza dell’elemento statico del godimento dei beni secondo la destinazione loro propria, l’impresa si caratterizza per l’elemento dinamico della strumentalità dei beni per il compimento di un’attività, i cui utili saranno poi ripartiti tra le parti Cass. n. 12087/1992, n. 4558/1979 8.8. il fatto che l’impresa si connoti per sue caratteristiche strutturali e funzionali come entità di natura dinamica rende connaturale alla stessa la possibilità che nel tempo i vari fattori della produzione, così come il complesso organizzato degli stessi unitariamente considerato, possano subire delle variazioni di valore, in funzione dell’andamento del mercato, con riflessi diretti e indiretti sulla redditività dell’impresa medesima e quindi sulla sua capacità di produrre utili e, più in generale, sulla sua complessiva consistenza 8.9. da tanto deriva che in assenza di diversa indicazione da parte del Legislatore la determinazione della partecipazione agli utili ed agli incrementi del familiare deve essere effettuata in relazione al valore complessivo dell’impresa, per cui se l’incremento di valore di un fattore della produzione si è tradotto in un aumento di redditività della impresa medesima non è dato scorporare dalla stessa la componente riferibile a fattori che si assumono del tutto estranei all’attività prestata dal partecipante lavoro analogamente, il verificarsi nel corso della vita dell’impresa di fattori di decremento dei beni con riflessi sulla produttività della stessa, non può che riverberarsi sulla concreta liquidazione della quota del partecipante 8.10. la soluzione qui accolta oltre ad essere rispettosa del dato testuale dell’art. 230 bis c.p.c., che nel riconoscere al partecipante all’impresa familiare il diritto agli utili ed agli incrementi ed all’avviamento oltre che al mantenimento , non pone limitazioni connesse alla possibile rivalutazione di uno o più fattori della produzione per cause estranee all’apporto del familiare, è coerente con l’affermazione di questa Corte secondo la quale il criterio di determinazione della quota di partecipazione del familiare è quello della quantità e qualità del lavoro svolto dal familiare-collaboratore nella gestione della impresa e non della sua effettiva incidenza causale sul conseguimento degli utili ed incrementi, che rappresentano soltanto l’effetto e non la misura dell’attività svolta essa, appare, inoltre, come quella più rispettosa della complessiva finalità di tutela del partecipante alla impresa familiare che nel disegno del Legislatore del 1975, si configurava quale strumento di realizzazione di interessi di rilievo costituzionale, secondo quanto già osservato al paragrafo 8.1. 9. alla luce di quanto sopra osservato, in accoglimento del motivo in esame, si impone la cassazione in parte qua della sentenza impugnata, con rinvio ad altro giudice di secondo grado per la rivalutazione della intera vicenda in conformità del principio indicato 10. al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il terzo assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.