Addio alle uniche ‘commesse’ assegnate alla singola sede: illegittimo il licenziamento collettivo

Vittoria per i lavoratori, che si vedono riconosciuto il diritto a percepire l’indennità risarcitoria. Sarebbe stato necessario estendere la selezione dei lavoratori a rischio anche agli addetti alle altre strutture dell’azienda.

La perdita delle uniche due ‘commesse’ relative alla singola sede aziendale non legittima, in automatico, il licenziamento collettivo di lavoratori e lavoratrici. A inchiodare la società è il mancato riferimento a posizione e mansioni del personale dislocato nelle altre sedi aziendali Cassazione, ordinanza n. 22217/20, sezione lavoro, depositata il 14 ottobre 2020 Riflettori puntati su una società che si occupa di informatica, e sulla decisione di optare per il licenziamento collettivo nei confronti dei dipendenti di una specifica sede aziendale – collocata in Campania –. Per i vertici della società la decisione è stata obbligata, preso atto della perdita delle uniche due ‘commesse’ assegnate a lavoratori e lavoratici della sede campana. Questa visione è ritenuta legittima dai giudici del Tribunale. Di parere opposto, però, sono i Giudici della Corte d’appello, i quali dichiarano illegittimo il licenziamento collettivo e condannano la società al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto . Per i Giudici di secondo grado il licenziamento in discussione, limitato alla singola sede aziendale, risulta affetto da violazione procedurale consistente nella rappresentazione, nell’ambito della comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, legge n. 223 del 1991, di uno stato di crisi economica di tutte le attività svolte nella provincia , crisi dovuta alla perdita di un primo cliente e alla riduzione progressiva di una seconda ‘commessa’. In particolare, secondo i giudici, manca l’illustrazione relativa alla situazione specifica del personale delle altre unità produttive, illustrazione necessaria ai fini della valutazione della infungibilità e della dedotta obsolescenza delle mansioni svolte dagli addetti alla sede in crisi, con conseguente assenza di giustificazione della limitazione della platea dei lavoratori da licenziare alla sola sede in Campania. A portare il caso in Cassazione è ovviamente l’azienda. I legali della società innanzitutto pongono in evidenza l’indicazione – nella comunicazione di apertura della procedura – della perdita delle ultime due ‘commesse’ attive demandate alla sede e la distanza notevole degli altri siti produttivi della società, indice di infungibilità delle posizioni lavorative . In questa ottica i legali ricordano che la legge numero 223 richiede esclusivamente l’indicazione, nella comunicazione di avvio della procedura, dei motivi dell’eccedenza e dei motivi per cui si ritiene di non poter ovviare ai licenziamenti, indicazione soddisfatta, nel caso di specie, con la descrizione della situazione di crisi della singola unità produttiva perdita delle uniche due ‘commesse’ attive e dell’andamento generale dell’azienda . Invece, sempre secondo i legali, appare superfluo procedere altresì alla descrizione della situazione di tutte le altre unità produttive, quando esse, oltre a collocarsi a notevole distanza dalla sede in crisi, siano dotate di autonomia produttiva , e fare riferimento alla obsolescenza degli addetti alla sede in crisi . Prima di affrontare i dettagli della vicenda, i Giudici della Cassazione ricordano che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale , la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive . Tuttavia, è necessario che queste esigenze siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, terzo comma, legge n. 223 del 1991 ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata . Ciò significa che ben può quindi il datore di lavoro circoscrivere ad una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma deve indicare, nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Qualora nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell’obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali . In questa vicenda, poi, va applicato il principio secondo cui la comparazione dei lavoratori – al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità – non deve necessariamente interessare l’intero complesso aziendale, ma può avvenire secondo una legittima scelta dell’imprenditore, ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico -produttive nell’ambito della singola unità produttiva , purché peraltro, la predeterminazione del limitato campo di selezione sia giustificata dalle suddette esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale . Invece, deve escludersi la sussistenza di dette esigenze ove i lavoratori da licenziare siano idonei – per acquisite esperienze e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda con positivi risultati – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti o sedi . Tirando le somme, la delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di licenziamento è condizionata agli elementi acquisiti in sede di esame congiunto nel senso cioè che, ove non emerga il carattere infungibile dei lavoratori collocati in ‘CIGS’ o comunque in difetto di situazioni particolari evidenziate sempre in sede di esame congiunto, la scelta deve interessare i lavoratori addetti all’intero complesso . Peraltro, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una unità produttiva o ad un settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, può essere limitata agli addetti all’unità o al settore da ristrutturare, in quanto ciò non sia l’effetto dell’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale , e i motivi di restrizione della platea dei lavoratori da comparare devono essere adeguatamente esposti nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, onde consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere . In questo caso specifico si è rilevato che la infungibilità del personale operante presso la sede campana, e in particolare l’obsolescenza del bagaglio professionale vantato dai dipendenti addetti a tale sede, non ha costituito oggetto della comunicazione di apertura della procedura ex legge n. 223 del 1991 , ed invero la società evidenzia una proposta, avanzata in sede di confronto sindacale, di un iano di riqualificazione di tutto il personale della sede, senza però evidenziare se la specifica situazione delle altre sedi nazionali era stata indicata nella comunicazione di avvio della procedura, circostanza che avrebbe consentito un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale . In sostanza, come già stabilito in appello, sarebbe stata indispensabile per un effettivo controllo sindacale della decisione di mobilità anche la comunicazione, in sede di apertura della relativa procedura, delle specifiche condizioni in cui lavoravano gli addetti delle altre sedi e delle ragioni per cui non si era ritenuto di estendere la selezione pure agli addetti alle altre strutture . Invece, è mancata, osservano dalla Cassazione, la necessaria verifica della compatibilità, quanto al contenuto della comunicazione preventiva, della disciplina di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991 estesa anche alla chiusura di un insediamento produttivo, con i risultati in concreto perseguibili in relazione a tale chiusura . Di conseguenza, è evidente, anche per i giudici del ‘Palazzaccio’, l’illegittimità del licenziamento collettivo deciso dall’azienda per i lavoratori della singola sede.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 20 febbraio – 14 ottobre 2020, n. 22217 Presidente Nobile – Relatore Boghetich Rilevato che 1. Con sentenza n. 183 del 15.1.2019 la Corte d'appello di Napoli, pronunziando in sede di reclamo, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento collettivo intimato da Gepin s.r.l. in data 16.2.2016 a Ad. Di Me., El. Im., Ro. Lu., Ma. Gr. Pa., An. Sc., Da. Ca., Gi. Co., Ma. Mi. con mansioni di analisti funzionali o analisti programmatori presso l'unità produttiva di Casavatore, ed ha condannato la società al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ex art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970. 2. La Corte territoriale ha ritenuto che il licenziamento intimato ex lege n. 223 del 1991 - limitato alla sola sede aziendale di Casavatore - risultava affetto da violazione procedurale consistente nella rappresentazione, nell'ambito della comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, legge n. 223 del 1991, di uno stato di crisi economica di tutte le attività svolte nella provincia di Napoli dovuta alla perdita del cliente Telecom Italia s.p.a. e alla riduzione progressiva della commessa Banca Intesa, ma carente della illustrazione relativa alla situazione specifica del personale delle altre unità produttive necessaria ai fini della valutazione della infungibilità e dedotta obsolescenza delle mansioni svolte dagli addetti alla sede in crisi, con conseguente assenza di giustificazione della limitazione della platea dei lavoratori da licenziare alla sola sede di Casavatore. 3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società Gepin s.r.l. sulla base di due motivi i lavoratori intimati hanno resistito con tempestivo controricorso. Considerato che 1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 4, commi 3 e 5, e 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, per mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, sia della indicazione - nella comunicazione di apertura della procedura -della perdita delle ultime due commesse attive demandate alla sede di Cavatore sia della distanza notevole degli altri siti produttivi della società, indice di infungibilità delle posizioni lavorative. La legge n. 223 richiede esclusivamente l'indicazione, nella comunicazione di avvio della procedura, dei motivi dell'eccedenza e dei motivi per cui si ritiene di non poter ovviare ai licenziamenti, indicazione soddisfatta, nel caso di specie, con la descrizione della situazione di crisi della singola unità produttiva perdita delle uniche due commesse attive e dell'andamento generale dell'azienda, apparendo del tutto ultroneo procedere altresì alla descrizione della situazione di tutte le altre unità produttive ove le stesse oltre a collocarsi a notevole distanza dalla sede in crisi siano dotate di autonomia produttiva così come alla obsolescenza degli addetti a tale sede. 2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ove ha ritenuto indimostrata l'infungibilità dei lavoratori licenziati senza consentire di provare circostanze di fatto dedotte dalla società sin dalla memoria di costituzione in sede di opposizione e ritenute pacifiche dal Tribunale. La Corte territoriale, ritenuta insufficiente la prima linea difensiva svolta dalla società, aveva il dovere di prendere in considerazione le difese spese da Gepin in via gradata e di consentirle di adempiere processualmente all'onere probatorio dedotto. 3. I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati. 3.1. In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, tuttavia è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, terzo comma, legge n. 223 del 1991 ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015, Cass. n. 2429 e 22655 del 2012, Cass. n. 9711 del 2011 . Ben può quindi il datore di lavoro circoscrivere ad una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma deve indicare nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Qualora, nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell'obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali cfr. Cass. n. 4678 del 2015 cit. . 3.2. Va, invero, applicato il principio, ormai consolidato, secondo cui la comparazione dei lavoratori - al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità - non deve necessariamente interessare l'intero complesso aziendale, ma può avvenire secondo una legittima scelta dell'imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico -produttive nell'ambito della singola unità produttiva, purché, peraltro, la predeterminazione del limitato campo di selezione sia giustificata dalle suddette esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale deve escludersi la sussistenza di dette esigenze ove i lavoratori da licenziare siano idonei - per acquisite esperienze e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda con positivi risultati - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti o sedi cfr., in particolare, Cass. n. 13783 del 2006 . 3.3. Dunque, come anche recentemente ribadito da questa Corte cfr. Cass. n. 981 del 2020, Cass. n. 14800 del 2019 , la delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di licenziamento è condizionata agli elementi acquisiti in sede di esame congiunto nel senso cioè che, ove non emerga ili carattere infungibile dei lavoratori collocati in CIGS o comunque in difetto di situazioni particolari evidenziate sempre in sede di esame congiunto, la scelta deve interessare i lavoratori addetti all'intero complesso. 3.4. Qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una unità produttiva o ad un settore dell'azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, può essere limitata agli addetti all'unità o al settore da ristrutturare, in quanto ciò non sia l'effetto dell'unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale Cass. n. 2429 del 2012 Cass. n. 22655 del 2012 Cass. n. 203 del 2015 i motivi di restrizione della platea dei lavoratori da comparare devono essere adeguatamente esposti nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, onde consentire alle OO.SS. di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l'esubero di personale e le unità lavorative che l'azienda intenda concretamente espellere ex plurimis Cass. n. 32387 del 2019, Cass. n. 203 del 2015 Cass. n. 22825 del 2009 Cass. n. 880 del 2013 . 4. Nel caso di specie, con accertamento insindacabile in questa sede di legittimità, la Corte territoriale ha rilevato che la infungibilità del personale operante presso la sede di Napoli Casavatore e in particolare l'obsolescenza del bagaglio professionale vantato dai dipendenti addetti a tale sede non ha costituito oggetto della comunicazione di apertura della procedura ex legge n. 223 del 1991. Ed invero la società, con il secondo motivo di ricorso, evidenzia la proposta, avanzata in sede di confronto sindacale, di un piano di riqualificazione di tutto il personale della sede di Napoli Casavatore circostanza dedotta nella memoria in sede di opposizione, in parte riprodotta senza peraltro evidenziare se la specifica situazione delle altre sedi nazionali Roma, Milano, Venezia era stata indicata nella comunicazione di avvio della procedura, circostanza che avrebbe consentito un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale. 4.1. La Corte territoriale, ritenendo - nel caso in esame - indispensabile per un effettivo controllo sindacale della decisione di mobilità anche la comunicazione, in sede di apertura della relativa procedura, delle specifiche condizioni in cui lavoravano gli addetti delle altre sedi, ragioni per cui non si era ritenuto di estendere la selezione pure agli addetti alle altre strutture che gestiva, ha rispettato i principi sopra enunciati della necessaria verifica della compatibilità, quanto al contenuto della comunicazione preventiva, della disciplina di cui all'art. 4 della legge n. 223 del 1991 estesa anche alla chiusura di un insediamento produttivo, con i risultati in concreto perseguibili in relazione a tale chiusura. 5. Va, infine, evidenziato che nessuna specifica censura viene sollevata in relazione alla mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti dalla società, bensì il ricorrente si limita a dolersi della mancata valutazione del documento prodotto in giudizio, concernente l'ipotesi di accordo tra la società e i rappresentanti dei lavoratori relativo ad un programma di integrale riqualificazione professionale di tutto il personale , che esula dal decisum della Corte territoriale concernente le carenze della comunicazione di avvio della procedura. 6. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod.proc.civ. 7. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 legge di stabilità 2013 pari a quello - ove dovuto - per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.