Sconto di favore al cliente abituale: condotta che non può giustificare il licenziamento

Vittoria definitiva per il responsabile di un punto vendita di una catena di supermercati. La condotta a lui contestata, e consistita in tre vendite con sconti non previsti dall’azienda, non è tale da legittimare il licenziamento.

Sconto di favore al cliente abituale del supermercato. La decisione presa dal gestore della singola struttura non può essere utilizzata dai vertici della società proprietaria della catena di punti vendita per legittimare il licenziamento del lavoratore . Cassazione, sentenza n. 22074/20, sez. Lavoro, depositata oggi . Ricostruita la vicenda, i giudici di merito ritengono priva di fondamento l’azione compiuta dalla società datrice di lavoro e culminata nel licenziamento del lavoratore a cui era stata affidata la gestione di un supermercato. A carico del dipendente una condotta censurata dall’azienda , ossia avere venduto, in qualità di gerente del punto vendita, a un importante cliente, in tre occasioni diverse nel dicembre del 2015, alcune bottiglie di spumante ad un prezzo inferiore a quello di vendita al pubblico . Per i giudici di secondo grado, però, bisogna tener presente che gli sconti non erano stati applicati in favore di un conoscente del lavoratore, bensì in favore di un cliente storico della società, cliente che ogni anno, nel periodo natalizio, era solito effettuare acquisti presso il supermercato per i regali d’uso aziendale . E questa constatazione è ritenuta decisiva, poiché praticare uno sconto ad un cliente importante della società, il quale ha in precedenza fatto acquisti rilevanti presso il medesimo ‘punto vendita’, rientra nei poteri del lavoratore, inquadrato nel primo livello contrattuale, ed è un’operazione compiuta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro . In aggiunta, poi, va rilevato, spiegano i giudici, che dalle operazioni di vendita con applicazione dello sconto il lavoratore non ha riportato alcun vantaggio personale né lo ha procurato ad un proprio conoscente, come invece contestato nella lettera di addebito . In questa ottica è anche significativo che il dipendente non ha in alcun modo occultato la propria condotta, avendo registrato correttamente tutte le operazioni contabili oggetto della contestazione disciplinare e che dopo la vendita l’operato del gerente è stato ratificato dal dirigente, che ha autorizzato l’applicazione dei minori prezzi di vendita dello spumante . Tirando le somme, per i giudici d’appello non vi è stato alcun fatto illecito , e ciò significa che il licenziamento è illegittimo e il dipendente ha il diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro . I legali della società proprietaria della catena di supermercati contestano la visione tracciata in appello, e richiamano, a tal proposito, il c ontratto collettivo nazionale di lavoro per il cosiddetto terziario, osservando che esso consente di escludere il potere del dipendente, inquadrato nel primo livello contrattuale, di praticare sconti alla clientela, ancorché si tratti di clientela abituale e in presenza di particolari condizioni di interesse per l’azienda . Ancor più in dettaglio, i legali della società sostengono che il concetto di autonomia operativa, richiamato nella declaratoria del primo livello contrattuale, non può comprendere decisioni che appartengono al dirigente e aggiungono che il lavoratore aveva il compito di verificare che i prodotti venissero venduti nel rispetto dei prezzi di vendita determinati dall’azienda, in quanto, trattandosi di società di notevoli dimensioni con numerosi ‘punti vendita’ dislocati sul territorio, la politica dei prezzi viene gestita centralmente, a livello dirigenziale, essendo necessario un elevato grado di autonomia decisionale . Queste obiezioni non convincono però i giudici della Cassazione , che invece confermano la vittoria del lavoratore. In particolare, per i magistrati è corretta la valutazione compiuta in Appello, ossia la condotta tenuta dal lavoratore non esulava dai poteri di autonomia e di iniziativa operativa propri del livello di inquadramento da lui posseduto . Dalla Cassazione tengono poi a sottolineare che non è solo sulla base dell’interpretazione della qualifica di inquadramento e dei poteri attribuiti contrattualmente al lavoratore che i giudici di merito hanno valutato l’illegittimità del licenziamento . Difatti, anche in Appello si è sostenuta l’insussistenza del fatto ascritto al lavoratore , osservando che nella lettera di contestazione i fatti addebitati al lavoratore sono stati catalogati come grave violazione dei doveri , includendo l’obbligo di osservare scrupolosamente i doveri di ufficio, di tenere una condotta conforme ai doveri civici, di conservare diligentemente le merci ed i materiali e di cooperare alla prosperità dell’impresa , mentre invece la condotta effettivamente tenuta dal lavoratore non era neppure assibilabile alla fattispecie di illecito ipotizzata dalla parte datoriale o ad altre ipotesi contrattualmente tipizzate di licenziamento, né era comunque idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario . E a questo proposito viene richiamato un ulteriore dato, ossia la ratifica che, per una delle operazioni compiute dal lavoratore, era pervenuta ex post dal dirigente, ad attestare che la società aveva ritenuto non lesivo per gli interessi dell’azienda il comportamento posto in essere dal responsabile del punto vendita . In sostanza, se pure l’azienda avesse ritenuto l’iniziativa esulante dai poteri attribuiti al dipendente . l’averne ratificato tale operato è, osservano i giudici, comportamento che collide con l’assunto della giusta causa del licenziamento . Tirando le somme, il fatto addebitato non è risultato comprovato nei termini materiali di cui alla contestazione e al licenziamento disciplinare, né integrava alcuna delle ipotesi ascritte da parte datoriale e neppure poteva ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario , e ciò significa che il dipendente ha diritto a riavere il proprio posto di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 marzo – 13 ottobre 2020, numero 22074 Presidente Nobile – Relatore Blasutto Fatti di causa 1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza numero 487/2018, confermando la sentenza di primo grado, rigettava il reclamo principale proposto da Pam Panorama s.p.a. e dichiarava inammissibile il reclamo incidentale proposto da Bo. Na. Al., il quale aveva impugnato il licenziamento intimatogli il 20 gennaio 2016 dalla società datrice di lavoro. 2. La Corte di appello evidenziava che, alla luce delle risultanze istruttorie, i fatti di cui all'addebito disciplinare solo in parte erano risultati comprovati in giudizio il Bo., in qualità di gerente del punto vendita di Sottomarina di Chioggia, aveva venduto, in tre diverse occasioni nel dicembre 2015, ad un importante cliente, alcune bottiglie di spumante ad un prezzo inferiore a quello di vendita al pubblico contrariamente a quanto addebitato dalla società datrice di lavoro, gli sconti non erano stati applicati a favore di un conoscente del Bo., bensì in favore di un cliente storico della società reclamante, la Zambonin s.r.l. di Chioggia, società che ogni anno nel periodo natalizio era solita effettuare acquisti presso il supermercato per i regali d'uso aziendale. Riteneva, al pari del giudice dell'opposizione e del giudice della fase sommaria, che praticare uno sconto ad un cliente importante della società, il quale aveva in precedenza fatto acquisti rilevanti presso il medesimo punto di vendita precisamente aveva acquistato carte-regalo per diverse migliaia di Euro, per di più rimaste inutilizzate , rientrasse nei poteri del ricorrente, inquadrato nel primo livello contrattuale, e fosse un'operazione compiuta nell'esclusivo interesse del datore di lavoro. Osservava che era pacifico in giudizio che, dalle operazioni di vendita con applicazione dello sconto, il Bo. non avesse riportato alcun vantaggio personale né lo avesse procurato ad un proprio conoscente, come invece contestato nella lettera di addebito che era altresì pacifico che il ricorrente non avesse in alcun modo occultato la propria condotta, avendo registrato correttamente tutte le operazioni contabili oggetto della contestazione disciplinare. Rilevava infine che dall'istruttoria era pure emerso che, dopo la vendita del 18 dicembre 2015, l'operato del Bo. era stato ratificato dal dirigente, che aveva autorizzato l'applicazione dei minori prezzi di vendita dello spumante in questione. Concludeva che il licenziamento era illegittimo per insussistenza del fatto illecito, con conseguente diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro, in applicazione a tutela di cui al quarto comma dell'articolo 18, legge numero 300 del 1970, come novellato dalla legge numero 92 del 2012. 3. Per la cassazione di tale sentenza Pam Panorama s.p.a. ha proposto ricorso affidato ad un motivo. Bo. Na. Al. ha resistito con controricorso Ragioni della decisione 1. Con unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 100 C.C.N.L. terziario commercio per insussistenza del potere del dipendente inquadrato nel primo livello contrattuale di praticare sconti alla clientela, ancorché si tratti di clientela abituale e in presenza di particolari condizioni di interesse per l'azienda. La società ricorrente sostiene che il concetto di autonomia operativa richiamato nella declaratoria del primo livello contrattuale non può comprendere decisioni che appartengono al dirigente. Sostiene che il ricorrente aveva il compito di verificare che i prodotti venissero venduti nel rispetto dei prezzi di vendita determinati dall'azienda, in quanto, trattandosi di società di notevoli dimensioni con numerosi punti vendita dislocati sul territorio, la politica dei prezzi viene gestita centralmente, a livello dirigenziale, essendo necessario un elevato grado di autonomia decisionale. 2. Il ricorso non è meritevole di accoglimento. 3. La declaratoria dell'articolo 100 CCNL di settore indica che appartengono al primo livello i lavoratori con funzioni ad alto contenuto professionale, anche con responsabilità di direzione esecutiva, che sovraintendono alle unità produttive . con carattere di iniziativa e di autonomia operativa nell'ambito della responsabilità ad essi delegate . In ordine all'interpretazione di tale declaratoria contrattuale, su cui si incentra unicamente il ricorso, va osservato che parte ricorrente non ha in alcun modo chiarito perché sarebbe errata l'interpretazione offerta dalla Corte di appello secondo cui la condotta, nei termini in cui era stata ricostruita in istruttoria, non esulava dai poteri di autonomia e di iniziativa operativa propri del livello di inquadramento posseduto dal Bo Il ricorso si limita ad opporre, in modo del tutto generico, che il concetto di autonomia decisionale proprio della suddetta declaratoria non consentirebbe di includervi iniziative del genere di quelle assunte dal Bo., ma omette del tutto di argomentare in base a quali elementi di interpretazione letterale o sistematica sarebbe errata la diversa interpretazione offerta dalla Corte di appello. 3.1. Sebbene il novellato articolo 360, primo comma numero 3 cod. proc. civ. abbia equiparato, sotto il profilo processuale, alle norme di legge i contratti e gli accordi collettivi nazionali di lavoro, parte ricorrente è tenuta comunque ad esplicitare specificamente i motivi articolo 366, primo comma, numero 4 cod. proc. civ. della propria impugnazione al fine di evidenziare gli errori d'interpretazione che si assumono commessi da ultimo, cfr. Cass. 10564 del 2019 . Ne deriva che non è formulata in modo idoneo la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, in assenza di una valida critica dell'interpretazione della declaratoria contrattuale da parte del giudice di merito, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni e non attraverso la mera contrapposizione dei propri assunti difensivi agli argomenti desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata cfr. Cass. numero 24298 del 2016 . 4. A tale preliminare considerazione, va aggiunto che la questione posta con l'unico motivo di ricorso non ha neppure carattere decisivo, poiché non è solo sulla base dell'interpretazione della qualifica di inquadramento e dei poteri attribuiti contrattualmente al Bo. che la Corte di appello ha valutato l'illegittimità del licenziamento. 4.1. La questione della delimitazione dei poteri di iniziativa riconosciuti al personale inquadrato nel primo livello contrattuale è questione che la società appellante aveva addotto per contestare la sentenza di primo grado, per cui la Corte di appello ha affrontato tale argomento, disattendendolo, senza con ciò escludere ma anzi condividendo espressamente quanto argomentato dal primo giudice per ritenere l'insussistenza del fatto ascritto. La sentenza ha osservato che Pam Panorama aveva ricondotto, nella lettera di contestazione, i fatti ascritti al Bo. all'articolo 225 CCNL, che riguarda la grave violazione dei doveri di cui all'articolo 220 , il quale a sua volta contempla l'obbligo di osservare scrupolosamente i doveri di ufficio, di tenere una condotta conforme ai doveri civici, di conservare diligentemente le merci ed i materiali e di cooperare alla prosperità dell'impresa. La Corte, condividendo il giudizio già espresso dal primo giudice, ha ritenuto che, alla luce dei fatti come ricostruiti in giudizio, ridimensionati rispetto alla originaria contestazione, la condotta effettivamente tenuta dal Bo., non solo non corrispondeva in termini concreti a quelli ascritti, ma non era neppure assibilabile alla fattispecie di illecito ipotizzata dalla parte datoriale o ad altre ipotesi contrattualmente tipizzate di licenziamento, né era comunque idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario. 4.2. Un altro elemento pure evidenziato dalla Corte di appello, su cui la sentenza impugnata si fonda e che non ha formato oggetto di alcuna censura nel ricorso per cassazione, al pari del precedente argomento, è costituito dalla ratifica che, per una delle operazioni compiute dal Bo., era pervenuta ex post dal dirigente, ad attestare che la società aveva ritenuto non lesivo per gli interessi dell'azienda il comportamento posto in essere dal ricorrente, e ciò ove pure avesse ritenuto l'iniziativa esulante dai poteri attribuiti al Bo All'evidenza, l'avere ratificato tale operato è comportamento che collide con l'assunto della giusta causa del licenziamento. 5. Tale complessivo giudizio è quello che sorregge, nella sua globalità, l'insussistenza del fatto ascritto, in quanto il fatto addebitato non era risultato comprovato nei termini materiali di cui alla contestazione e al licenziamento disciplinare, né integrava alcuna delle ipotesi ascritte da parte datoriale e neppure poteva ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario. 6. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'articolo 2 del D.M. 10 marzo 2014, numero 55, da distrarsi in favore del procuratore antistatario avv. Lu. Ga 7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13 v. Cass. S.U. numero 23535 del 2019 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater del D.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.