Assegni per il nucleo familiare negati alla bracciante agricola affetta da gravi patologie: sentenza annullata

In tema di diritto agli assegni per il nucleo familiare, la valutazione del requisito dell’inabilità lavorativa deve tenere conto della concreta possibilità per l’istante, anche in base alle condizioni del mercato del lavoro, di dedicarsi ad un’attività lavorativa, anche estranea alle sue attitudini, ma comunque rispettosa della dignità della persona.

Così l’ordinanza n. 19409/20, depositata dalla sez. Lavoro della Cassazione il 17 settembre. La Corte d’Appello di Messina, in riforma della pronuncia di prime cure, rigettava la domanda dell’originaria attrice volta ad ottenere il riconoscimento del diritto agli assegni per nucleo familiare quale coniuge superstite ex art. 2 d.l. n. 69/1988, conv. in l. n. 53/1988 . Secondo i Giudici, la donna non si trovava in condizioni di inabilità lavorativa, ma solo di ridotta capacità di lavoro. La pronuncia è stata impugnata con ricorso in Cassazione. La ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del suddetto art. 2 in quanto la norma richiede, ai fini del beneficio degli assegni per il nucleo familiare, l’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro e in tale valutazione dovrebbe assumere rilevanza anche il fattore socio-economico in relazione alle condizioni di salute e alla professionalità dell’istante. Sempre secondo la ricorrente, il CTU non avrebbe tenuto in considerazione la circostanza concreta per cui la donna dedita all’attività di bracciante agricola sia affetta da gravi patologie osteoarticolari e da ipertrofia delle masse muscolari che rendono impossibile la prosecuzione dell’attività. Il Collegio ricorda che l’art. 2 d.l. n. 69/1988, conv. in l. n. 53/1988 richiede l’accertamento della concreta impossibilità per il soggetto istante di dedicarsi ad un proficuo lavoro a causa di infermità o difetto fisico o mentale. Tale accertamento richiede l’accertamento della concreta possibilità, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro , di dedicarsi ad un’attività lavorativa, anche estranea alle attitudini del soggetto, ma comunque rispettosa della dignità della persona, che sia utile ed idonea a soddisfare in modo normale e non usurante le sue primarie esigenze di vita . È dunque necessario procedere ad un’indagine accurata relativa non solo alle condizioni cliniche del soggetto, tali da renderlo direttamente collocabile sul mercato del lavoro, ma anche alle condizioni dell’ambiente economico e sociale con il quale egli interagisce e nel quale dovrebbe reimpiegarsi . Nel caso di specie, tale valutazione risulta omessa essendosi il giudice limitato alla valutazione delle residue capacità lavorative della ricorrente e ritenendo sufficiente ad escludere il richiesto beneficio il fatto che ella avrebbe potuto svolgere attività che non richiedessero sforzi fisici prolungati, senza indagare sulla componente socio-ambientale relativa all’effettiva collocabilità sul mercato del lavoro delle residue capacità lavorative . Il ricorso viene in conclusione accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catania.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 febbraio – 17 settembre 2020, n. 19409 Presidente Manna – Relatore Ghinoy Fatti di causa 1.1a Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza del tribunale di Patti, rigettava la domanda proposta da Z.A.M. volta ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto agli assegni per il nucleo familiare quale coniuge superstite del D.L. n. 69 del 1988, ex art. 2 conv. in L. n. 153 del 1988. 2. La Corte territoriale recepiva le conclusioni dell’ausiliare di secondo grado, secondo le quali la Z. non si trovava in situazione di inabilità al lavoro, ma solo in condizioni di ridotta capacità lavorativa. 3. Per la cassazione della sentenza Z.A.M. ha proposto ricorso, affidato ad un unico articolato motivo, cui l’INPS ha resistito con controricorso e memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1. Ragioni della decisione 4. a fondamento del gravame la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 8 e conseguente omessa ed in parte erronea e contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5. Sostiene che poiché il D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 8, richiede ai fini del beneficio degli assegni per il nucleo familiare l’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, la valutazione dovrebbe avere riguardo anche al fattore socio-economico tale da consentire una proficua occupazione in relazione alle condizioni di salute ed alla professionalità acquisita. Lamenta che nel caso il CTU si sarebbe limitato ad accertare la permanente inabilità della ricorrente sotto il profilo medico, senza alcuna valutazione degli altri fattori, e che in concreto non si sia tenuto conto del fatto che la ricorrente, dedita all’attività di bracciante agricola, è affetta da gravi patologie osteo - articolari e da ipotrofia delle masse muscolari che rendono certamente impossibile la prosecuzione dell’attività agricola svolta e il cui svolgimento comporterebbe un logoramento dell’organismo con un sensibile peggioramento delle patologie, nè l’impossibilità pratica - in ragione del sesso, dell’età e delle condizioni fisiche in un’area particolarmente depressa come quella siciliana - di trovare lavoro come bracciante agricola. 5. Il motivo è fondato nel senso di seguito precisato. L’assegno per il nucleo familiare, disciplinato dal D.L. 13 marzo 1988, n. 69, art. 2, convertito in L. 13 maggio 1988, n. 153, è finalizzato ad assicurare una tutela in favore di quelle famiglie che mostrano di essere effettivamente bisognose sul piano economico ed è attribuito in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, tenendo altresì conto dell’eventuale esistenza di soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali e che pertanto si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro. 6. L’indagare se un soggetto si trovi, secondo il testo della norma a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro richiede l’accertamento della concreta possibilità, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro, di dedicarsi ad un’attività lavorativa, anche estranea alle attitudini del soggetto, ma comunque rispettosa della dignità della persona, che sia utile ed idonea a soddisfare in modo normale e non usurante le sue primarie esigenze di vita v., con riferimento all’analoga locuzione contenuta al D.P.R. n. 818 del 1957, art. 39, anteriormente all’introduzione del più restrittivo criterio di cui alla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 8, Cass. 26/08/2004 n. 16955, Cass. 28/10/1992, n. 11705, Cass. n. 848 del 28/01/1987 . 7. L’accertamento del requisito dell’inabilità presuppone quindi un’indagine accurata relativa non solo alle condizioni cliniche del soggetto, tali da renderlo direttamente collocabile sul mercato del lavoro, ma anche alle condizioni dell’ambiente economico e sociale con il quale egli interagisce e nel quale dovrebbe reimpiegarsi. 8. Tale accertamento non è stato compiuto dal giudice di merito, che ha limitato l’indagine alle residue capacità lavorative della signora Z. , ritenendo sufficiente ad escludere il richiesto beneficio il fatto che ella avrebbe potuto svolgere attività che non richiedessero sforzi fisici prolungati, senza indagare sulla componente socio-ambientale relativa all’effettiva collocabilità sul mercato del lavoro delle residue capacità lavorative. 9. Il ricorso deve quindi essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Catania, che dovrà procedere a nuovo esame attenendosi al principio sopra individuato. 10. Al giudice designato competerà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio. 11. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente vittoriosa, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catania.