Avvocato libero professionista e fresco papà: niente indennità di maternità

Respinta la richiesta avanzata dal legale nei confronti della Cassa. Inutile il richiamo in Cassazione alle direttive europee in materia di congedi parentali.

Per l’avvocato libero professionista va esclusa l’indennità di maternità a seguito della nascita della figlia. Inutile l’azione proposta dal legale nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense Cassazione, sentenza n. 17701, sez. Lavoro, depositata oggi . Alla gioia per la bambina partorita dalla compagna si abbina l’idea del fresco papà di ottenere dalla Cassa forense l’indennità prevista dall’articolo 70 del decreto legislativo numero 151 del 2001 noto anche come Testo unico su maternità e paternità. La richiesta viene respinta dall’ente previdenziale degli avvocati, e tale decisione è ritenuta legittima prima dai giudici del Tribunale e poi da quelli d’Appello. In particolare, in secondo grado viene richiamato il provvedimento con cui la Corte Costituzionale ha sancito la legittimità della disposizione normativa laddove essa non prevede il diritto del padre, libero professionista iscritto alla Cassa forense, di godere dell’ indennità di maternità in alternativa alla compagna divenuta madre. Per il legale fresco papà, però, le valutazioni della Cassa e dei giudici di merito vanno messe in discussione. A questo proposito egli sottolinea che in appello si è commesso un clamoroso errore, poiché la disposizione dell’articolo 70 del decreto legislativo numero 151 del 2001 si pone in contrasto sia con il divieto di discriminazione che con l’obiettivo di promozione della solidarietà , nonché con il diritto ad un congedo parentale retribuito dopo la nascita di un figlio e questi ultimi principi debbono portare, a suo parere, a una immediata disapplicazione della norma interna , anche tenendo presenti le direttive europee in materia di congedi parentali e in materia di sicurezza delle lavoratrici gestanti . Queste obiezioni non convincono però i giudici della Cassazione, che confermano il no all’ipotesi dell’indennità di maternità per l’avvocato libero professionista. In sostanza, la vicenda in esame – assolutamente analoga a quella proposta, qualche anno addietro, dallo stesso avvocato per la nascita di un altro figlio, e conclusasi anche in quel caso con una sconfitta in Cassazione per il legale – non può ricadere, secondo i magistrati, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione Europea, con conseguente irrilevanza delle doglianze riferite alle prescrizioni contenute nella Carta dei diritti fondamentali .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 febbraio – 25 agosto 2020, n. 17701 Presidente Manna – Relatore Cavallaro Fatti di causa Con sentenza depositata il 15.4.2014, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda dell’avv. F.P. volta alla condanna della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense a corrispondergli l’indennità di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, in dipendenza della nascita della figlia. La Corte, in particolare, ha ritenuto che, a seguito del rigetto da parte della Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale della disposizione citata, nella parte in cui non prevede il diritto del padre, libero professionista iscritto alla Cassa, di godere dell’indennità in alternativa alla madre, non vi fosse spazio alcuno per predicare la fondatezza della domanda di parte ricorrente, nemmeno considerando le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nel testo consolidato a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, e che non ricorressero neppure i presupposti processuali e sostanziali per dar corso alla questione pregiudiziale d’interpretazione degli artt. 23 e 33 della Carta. Avverso tali statuizioni l’avv. F.P. ha ricorso per cassazione, deducendo un unico e articolato motivo di censura. La Cassa Forense ha resistito con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria. Ragioni della decisione Con l’unico motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 6 TUE e degli artt. 2, 3, 23 e 33 CDFUE, per non avere la Corte di merito ritenuto che, ponendosi la disposizione del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, in contrasto sia con il divieto di discriminazione che con l’obiettivo di promozione della solidarietà, di cui agli artt. 2 e 3 CDFUE, nonché con il diritto ad un congedo parentale retribuito dopo la nascita di un figlio, di cui ai successivi artt. 23 e 33 CDFUE, l’immediata e incondizionata precettività di questi ultimi imponesse la disapplicazione della norma interna con essi contrastante, anche in relazione a quanto disposto dalle direttive 2010/18/CE, in materia di congedi parentali, e 92/85/CE, in materia di sicurezza delle lavoratrici gestanti. Il motivo è infondato. Decidendo controversia analoga, promossa dall’odierno ricorrente in occasione della nascita di altro figlio, questa Corte, con la sentenza n. 11129 del 2016, ha avuto infatti modo di chiarire, sulla scorta della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che le prescrizioni contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea acquistano rilievo precettivo davanti al giudice nazionale solo allorché ci si trovi in presenza di una normativa nazionale che rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, dal momento che è l’applicabilità del diritto dell’Unione ad implicare quella delle prescrizioni concernenti i diritti fondamentali garantiti dalla Carta cfr., nello stesso senso, Cass. n. 23272 del 2018 e poiché, nel caso di specie, non trova applicazione la direttiva 2010/18/CE, concernendo essa la diversa materia dei congedi parentali, nè possono logicamente aver rilievo gli emendamenti approvati dal Parlamento Europeo in data 20.10.2010 in sede di revisione della direttiva n. 92/85/CEE, trattandosi, indipendentemente dal loro contenuto, di disposizioni successive all’evento in relazione al quale è stata chiesta la tutela giudiziale la data di nascita della figlia dell’odierno ricorrente risale al omissis e la domanda alla Cassa odierna resistente è stata proposta in data 18.1.2008 , deve escludersi che l’odierna fattispecie ricada nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, con conseguente irrilevanza delle doglianze riferite alle prescrizioni contenute nella Carta dei diritti fondamentali argomentare il contrario equivarrebbe infatti a violare il principio contenuto nell’art. 51, paragrafo 2, della Carta stessa, secondo il quale le sue disposizioni non estendono l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione , nè introducono competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione , nè modificano le competenze e i compiti definiti nei trattati . Dovendo conseguentemente reputarsi inammissibile la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ribadita da parte ricorrente nel corso della discussione orale, il ricorso va senz’altro rigettato, sussistendo anche in questo caso i medesimi motivi di opportunità già scrutinati da Cass. n. 11129 del 2016, cit., ai fini della compensazione delle spese del giudizio di legittimità. Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.