Licenziamento, la contestazione dei fatti deve essere immediata. 10 mesi sono troppi

L'imprenditore-datore di lavoro non può procrastinare la contestazione degli addebiti in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nella sentenza n. 15930/20, depositata il 24 luglio. Una contabile contestava il licenziamento comminatole dalla società di noleggio auto per la quale lavorava. La Corte d’Appello di Palermo dichiarava risolto il rapporto di lavoro e riconosceva alla donna la tutela indennitaria forte ciò in quanto, secondo i Giudici, la contestazione delle discrepanze economiche per le quali era stata licenziata era tardiva , essendo avvenuta 10 mesi dopo l’accertamento dei fatti . Il presidente della società, infatti, era stato informato sin dal 7 ottobre 2015 delle irregolarità mentre la contestazione era partita soltanto nell'agosto del 2016 ed il licenziamento era arrivato il mese successivo , dunque quasi un anno dopo. La società ricorre in Cassazione. La Suprema Corte conferma l' illegittimità del licenziamento per giusta causa sono troppi 10 mesi dalla conoscenza dei fatti, da parte del datore di lavoro, per procedere prima con la contestazione disciplinare e, quindi, col licenziamento. Il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio riflette l'esigenza dell'osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, non consente all'imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto. Nel licenziamento per giusta causa l'immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Peraltro - prosegue la decisione - il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo , dovendosi tener conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l'organizzazione aziendale. In base a simili considerazioni, per la Cassazione la motivazione è congrua avendo la Corte distrettuale rimarcato che l'assetto organizzativo aziendale era improntato ad una sostanziale distribuzione del potere gestionale e della connesse responsabilità, senza tralasciare di considerare che il medesimo Presidente aveva avuto cognizione delle discrepanze economiche oggetto di contestazione, sin dal 7 ottobre 2015, allorquando la dipendente aveva comunicato l'elenco di ciascun tour operator con l'indicazione delle relative partite debitorie .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 ottobre 2019 – 24 luglio 2020, n. 15930 Presidente Bronzini – Relatore Lorito Fatti di causa Il Tribunale di Palermo rigettava la domanda proposta da C.M. nei confronti di Sicily By Car s.p.a. intesa a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole in data 14/9/2016, in ragione della mancata segnalazione - nell'esercizio delle mansioni a lei ascritte quale impiegata addetta alla contabilizzazione degli incassi - di una serie di vistose discrepanze economiche nei pagamenti effettuati nel corso degli anni 2012/2013/2014 e 2015 nonchè nei pagamenti delle fatture stesse corrispondenti ad Euro 456.000,42 Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte distrettuale che con sentenza resa pubblica il 6/4/2018 dichiarava risolto il rapporto di lavoro inter partes a far tempo dal licenziamento ed accordava alla parte reclamante la tutela indennitaria forte disciplinata dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, pro tempore vigente, liquidandola nella misura di 18 mensilità Nel proprio incedere argomentativo, i giudici del gravame osservavano quanto alla contestazione datata 26/8/2016 - che, diversamente da quanto dedotto dalla parte datoriale, era infondato l'addebito formulato in relazione alla mancata informazione del Presidente in ordine alle numerose irregolarità di cassa successivamente riscontrate, posto che era emerso dal compendio istruttorio acquisito, come all'interno della azienda vi fosse una sostanziale distribuzione del potere gestionale e delle connesse responsabilità . Sotto altro versante veniva evidenziato che il medesimo Presidente aveva avuto contezza delle predette discrepanze economiche già dal 7/10/2015, sicchè la relativa contestazione era da reputarsi tardiva essendo intercorso un periodo di circa 10 mesi fra l'accertamento dei summenzionati fatti e l'invio della lettera di addebito. La Corte di merito riteneva, invece, fondati i fatti oggetto della contestazione disciplinare del 5/8/2016, giacchè la dipendente nonostante la richiesta della Presidenza in data 3/6/2016, non aveva in alcun modo provveduto a trasmettere un rapporto sulla situazione contabile del broker FTI, disattendendo la direttiva aziendale già a lei impartita da oltre due mesi. Ciò nondimeno, deduceva la Corte che nello specifico non ricorreva la fattispecie della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, argomentando in ordine alla unicità dell'addebito, alla assenza di precedenti disciplinari a carico della lavoratrice, alla riscontrata incertezza in merito all'ammontare del pregiudizio economico arrecato alla società, alla predisposizione, seppur tardiva, della richiesta relazione illustrativa elementi tutti che consentivano di escludere l'idoneità della condotta posta in essere dalla ricorrente, a ledere in maniera irreversibile il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro. Avverso tale decisione la società interpone ricorso per cassazione affidato a due motivi successivamente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c C.M. resiste con controricorso con cui propone ricorso incidentale sostenuto da unico motivo. Ragioni della decisione Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si criticano gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito laddove ha ritenuto insussistenti, oltre che tardivi, i fatti oggetto di contestazione di cui alla lettera 26/8/2016. Nella articolata censura si fa leva innanzitutto sulla nozione di immediatezza della contestazione invalso nella giurisprudenza di legittimità in senso di accentuato rilievo relativo, sostenendosi il rispetto, nello specifico, dei canoni prescritti, avendo la società avuto contezza degli ammanchi di cassa solo a seguito dell'accertamento dell'addebito disciplinare contestato alla sig. C.M. con la nota del 5/8/2016 ed avendo formalizzato la contestazione disciplinare il 26/8/2016 solo qualche giorno dopo l'accertamento reale e specifico dei fatti contestati si deduce poi la effettiva ricorrenza della condotta oggetto di addebito, consistente nell'aver omesso di comunicare al Presidente - unico titolare del potere disciplinare - le discrepanze economiche registrate negli anni 2012-2015 e relative ai cospicui pagamenti di fatture da parte di clienti privati e tour operator. 2. Il motivo è privo di fondamento. Secondo i principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio riflette l'esigenza dell'osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, non consente all'imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l'immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Peraltro, il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonchè del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l'organizzazione aziendale. La relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici vedi, ex multis, Cass. 25/1/2016 n. 1248, Cass. 20/6/2006 n. 14115 . Nel caso in esame la motivazione addotta a sostegno dell'impianto decisorio, appare congrua, logicamente coerente e puntualmente riferita a tutti gli elementi del giudizio, avendo la Corte distrettuale rimarcato - con valutazione delle acquisizioni probatorie del tutto congrua e pertanto non censurabile in questa sede di legittimità - che l'assetto organizzativo aziendale era improntato ad una sostanziale distribuzione del potere gestionale e della connesse responsabilità, senza tralasciare di considerare che il medesimo Presidente aveva avuto cognizione delle discrepanze economiche oggetto di contestazione, sin dal 7 ottobre 2015, allorquando la dipendente aveva comunicato l'elenco di ciascun tour operator con l'indicazione delle relative partite debitorie. In tal senso la critica, che prospetta il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, accreditando una tesi meramente contrappositiva rispetto a quella elaborata in sede di decisione, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione e va pertanto disattesa non è infatti inquadrabile nel paradigma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - che attribuisce rilievo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio - nè in quello del precedente n. 4, disposizione che - per il tramite dell'art. 132 c.p.c., n. 4 - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale e si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, non sussistente, nello specifico, per quanto sinora detto vedi ex multis, Cass. 26/9/2018 n. 23153, Cass. 10/6/2016 n. 11892 . 3. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18,artt. 2119 e 2106 c.c., art. 55 c.c.n.l. di settore in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si censura in estrema sintesi il giudizio espresso in ordine alla legittimità e proporzionalità del recesso intimato rispetto alle mancanze accertate, per avere i giudici del gravame tralasciato di valutare taluni addebiti, ritenendoli contestati tardivamente o insussistenti, ed ingiustamente sottovalutando la estrema gravità della condotta della lavoratrice, anche sotto il profilo della enormità del pregiudizio economico arrecato alla parte datoriale. 4. Il motivo è infondato. Occorre al riguardo premettere che, secondo quanto affermato da questa Corte, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici vedi Cass. 9/7/2015 n. 14324 . Il giudice di merito investito della domanda con cui si chieda l'invalidazione d'un licenziamento disciplinare, accertatane in primo luogo la sussistenza in punto di fatto, deve quindi verificare che l'infrazione contestata sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo di recesso e, in caso di esito positivo di tale delibazione, deve poi apprezzare in concreto la gravità dell'addebito, essendo pur sempre necessario che esso rivesta il carattere di grave negazione dell'elemento essenziale della fiducia e che la condotta del dipendente sia idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia circa la futura correttezza dell'adempimento della prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore dipendente rispetto all'adempimento dei suoi obblighi cfr., ex aliis, Cass. 13/2/2012 n. 2013, Cass. 24/6/2016 n. 13149 . Mentre il giudizio di sussunzione è giudizio di diritto, in quanto tale sottoponibile anche a questa Corte, quello di mera proporzionalità in concreto fra illecito disciplinare e relativa sanzione è giudizio di fatto riservato al giudice di merito, che deve operarlo tenendo conto di tutti i connotati oggettivi e soggettivi della vicenda come, ad esempio, l'entità del danno, il grado della colpa o l'intensità del dolo, l'esistenza o meno di precedenti disciplinari a carico del dipendente. Non può poi, in via ulteriore, sottacersi che, secondo i consolidati dicta di questa Corte espressi in tema di licenziamento disciplinare nella vigenza della L. n. 92 del 2012, qualora vi sia sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta in addebito non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa in questi sensi vedi Cass. 12/10/2018 n. 25534 . Ed è proprio questa la fattispecie oggetto di delibazione, in cui la Corte di merito, dato atto della sussistenza del fatto contestato, ed espresso il motivato convincimento relativo alla inidoneità dello stesso ad integrare gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di recesso, dopo aver rimarcato l'assenza di alcuna deduzione da parte della C. in ordine alla inclusione della condotta addebitata fra quelle punibili con una sanzione conservativa in base alle previsioni dei c.c.n.l. ovvero dei codici disciplinari applicabili, ha disposto applicazione della tutela risarcitoria approntata dalla L. n. 300 del 1970, novellato art. 18, comma 5. In tale prospettiva, occorre rimarcare che la critica formulata con riferimento al giudizio reso dal giudice del gravame in ordine alla riscontrata incertezza sull'esatto ammontare del concreto pregiudizio economico effettivamente arrecato alla società ed alla assenza di precedenti sanzioni disciplinari a carico della lavoratrice - elementi ritenuti idonei a ridimensionare la gravità della condotta addebitata alla dipendente ed effettivamente riscontrato - risulta veicolata attraverso le risultanze di causa e mira ad attingere il giudizio di fatto espresso dalla Corte di merito, sindacabile nei ristretti limiti in cui lo è il vizio di motivazione, secondo la formulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis vigente limiti che, nella specie, non consentono di pervenire ad una riforma della statuizione, non versandosi nelle ipotesi di inesistenza o incongruità del percorso motivazionale in relazione alle quali è esperibile il sindacato in questa sede di legittimità cfr., tra le molte, Cass. 27/4/2017 n. 10416 . Infatti, come riportato nello storico di lite, con motivazione immune da censure, la Corte d'appello ha accertato nella sua portata oggettiva la condotta assunta dalla lavoratrice, rapportandola agli standards valutativi insiti nella coscienza generale conformi ai valori dell'ordinamento e ne ha rimarcato la non gravità, dopo aver considerato i riflessi di natura soggettiva della fattispecie, avuto riguardo alle condizioni personali della lavoratrice, all'esito di una ponderata valutazione di tutti gli elementi acquisiti in giudizio. 5. La pronuncia impugnata è del resto conforme a diritto perchè coerente coi principi invalsi nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui la novella del 2012 ha introdotto una graduazione delle ipotesi di illegittimità della sanzione espulsiva dettata da motivi disciplinari, facendo corrispondere a quelle di maggiore evidenza la sanzione della reintegrazione e limitando la tutela risarcitoria all'ipotesi del difetto di proporzionalità che non risulti dalle previsioni del contratto collettivo in particolare, la valutazione di non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nella L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, solo nell'ipotesi in cui lo scollamento tra la gravità della condotta realizzata e la sanzione adottata risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili nel senso che, alla condotta accertata, corrisponda una sanzione conservativa. Ne consegue che, in presenza di una condotta accertata e coincidente con quella tipizzata dalle parti sociali, punita con sanzione conservativa, la tutela sarà di tipo reintegratorio al di fuori di tale caso, la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra nelle altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali la L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, prevede la tutela indennitaria c.d. forte vedi ex plurimis, Cass. cit. n. 25534/2018 . Alla stregua delle sinora esposte considerazioni, il ricorso principale va, pertanto, respinto. 6. Con unico motivo di ricorso incidentale, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e della L. n. 300 del 1970. Si deduce che, diversamente da quanto argomentato dai giudici del gravame, in sede di ricorso introduttivo era stata espressamente invocata l'applicazione della tutela reale. 7. Il motivo difetta assolutamente del requisito di specificità secondo i dettami di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, 6, non essendo riportato il tenore del ricorso introduttivo del ricorso di primo grado con il quale si deduce sia stato prospettato che il fatto contestato rientrasse fra le condotte punibili con una sanzione conservativa. Deve infatti richiamarsi il principio affermato da questa Corte secondo cui nel giudizio di cassazione, l'autosufficienza del controricorso, assolvendo alla sola funzione di contrastare l'impugnazione altrui, è assicurata, ai sensi dell'art. 370 c.p.c., comma 2, c.p.c., che richiama l'art. 366 c.p.c., comma 1, anche quando l'atto non contenga l'autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa, ma si limiti a fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata ovvero alla narrazione di essi contenuta nel ricorso. Tuttavia, l'atto, quando racchiuda anche un ricorso incidentale, deve contenere, in ragione della sua autonomia rispetto al ricorso principale, l'esposizione sommaria dei fatti della causa ai sensi del combinato disposto dell'art. 371 c.p.c., comma 3 e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, sicchè è inammissibile ove si limiti ad un mero rinvio all'esposizione contenuta nel ricorso principale e non sia possibile, nel contesto dell'impugnazione, rinvenire gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell'origine e dell'oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalla parti, senza necessità di ricorso ad altre fonti vedi Cass. 21/9/2015 n. 18483 . 8. Conclusivamente, il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile. La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della compensazione, in ragione della situazione di reciproca soccombenza. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.