Porta via due pennelli dell’azienda: legittimo il licenziamento

Fatale, a fine turno, un controllo nello zainetto del dipendente così vengono rinvenuti due pennelli, praticamente identici a quelli usati in azienda. Il modico valore degli oggetti sottratti non rende meno grave la condotta del lavoratore. Legittimo perciò il drastico provvedimento adottato dalla società datrice di lavoro.

Portar via di nascosto due pennelli dal luogo di lavoro può costare il licenziamento . Esemplare la decisione con cui anche in Cassazione è stato confermato il drastico provvedimento adottato da una società nei confronti di un dipendente , beccato a nascondere nel proprio zainetto, alla chiusura del turno, due pennelli di provenienza aziendale. Cassazione, sentenza n. 11005/20, sezione lavoro, depositata oggi . Ricostruito nei dettagli l’episodio che ha spinto la società datrice di lavoro a mettere alla porta il dipendente. In sostanza, al termine del turno di lavoro sono stati rinvenuti nello zainetto del dipendente due pennelli, considerati di provenienza aziendale, vista la somiglianza a quelli in uso in azienda e presenti in magazzino . Per i giudici di merito la censurabile azione compiuta dal lavoratore è sufficiente per legittimare il licenziamento deciso dalla società. In particolare, in secondo grado si ritiene provato l’addebito poiché il dipendente non ha dimostrato la proprietà da parte sua dei pennelli né ha fornito una logica alternativa a quella della illecita sottrazione al fine di trarne un ingiusto profitto ai danni dell’azienda . A corredo di questa visione poi anche le parole di alcuni testimoni essi hanno confermato l’uguaglianza dei pennelli sottratti con quelli adoperati in azienda . Tirando le somme, per i giudici di merito la sanzione del licenziamento è proporzionata , essendo evidente l’idoneità della condotta tenuta dal lavoratore a ledere il vincolo fiduciario con la società, e ciò, viene aggiunto, a prescindere dal modico valore economico dei pennelli . La linea seguita prima in Tribunale e poi in Appello viene contestata duramente dal difensore del lavoratore. In prima battuta il legale mette in discussione la veridicità stessa della sottrazione addebitata al suo cliente, soprattutto per ciò che concerne l’accertamento della provenienza aziendale dei due pennelli rinvenuti nello zainetto dell’uomo. Subito dopo il legale contesta anche che la condotta ipoteticamente tenuta dal suo cliente sia catalogabile come furto in azienda , essendo più logico, a suo parere, parlare di appropriazione di una res nullius . E sempre in questa ottica anche sostenuta pure l’inidoneità della sottrazione di un bene di esiguo valore a ledere il vincolo fiduciario con l’azienda, anche tenendo presente, aggiunge il legale, la disponibilità mostrata dal lavoratore all’ispezione , a conferma della sua buonafede di fronte al controllo a campione . Per i giudici della Cassazione , però, la visione difensiva non è sufficiente a mettere in discussione la legittimità del licenziamento . Innanzitutto, perché non vi sono dubbi sulla indebita appropriazione compiuta dal lavoratore, una volta accertata la proprietà aziendale dei pennelli , certificata anche dalla testimonianza dei dipendenti della società incaricata dei controlli a campione, che avevano effettuato l’ispezione , controllando lo zainetto del lavoratore. E in questa ottica è ritenuta significativa anche la mancata offerta da parte del dipendente di una giustificazione plausibile a fronte del ritrovamento nel suo zaino di oggetti da lui stesso dichiarati non di sua proprietà . Ciò comporta che non si può certo parlare di ‘ res nullius’ . Logico, quindi, parlare di furto in azienda che il contratto collettivo include tra le fattispecie passibili della massima sanzione . Anche per questo è corretto, e confermato, il giudizio di proporzionalità del licenziamento alla luce della idoneità della condotta a ledere il vincolo fiduciario, inteso come possibilità di affidamento del datore di lavoro nell’esatto adempimento delle prestazioni future . E questa visione, concludono i giudici della Cassazione, non può essere scalfita dal richiamo all’ esiguo valore dei beni sottratti .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 gennaio – 9 giugno 2020, n. 11005 Presidente Nobile – Relatore De Marinis Fatti di causa Con sentenza del 30 maggio 2018, la Corte d'Appello di Roma confermava la decisione resa dal Tribunale di Cassino e rigettava la domanda proposta da Br. St. nei confronti di FIAT Crysler Automobiles Italy S.p.A. già FIAT group Automobiles S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato allo St., in relazione al ritrovamento nella sua borsa al termine del turno di due pennelli considerati, per la somiglianza a quelli in uso nell'azienda e presenti in magazzino, di provenienza aziendale. La decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto provato l'addebito per non aver lo St. dimostrato la proprietà da parte sua dei pennelli né fornito una logica alternativa a quella dell'illecita sottrazione da parte sua dei pennelli al fine di trarne un ingiusto profitto ai danni dell'azienda e per aver, di contro, i testi confermato l'identità con quelli adoperati in azienda, verificata, pertanto, la fattispecie di cui all'art. 32 del CCNL applicabile assoggettata alla sanzione del licenziamento, proporzionata, in ogni caso, la sanzione, rilevando l'idoneità della stessa a ledere il vincolo fiduciario, a prescindere dal modico valore economico dei pennelli, da ritenersi anche tempestivamente irrogata nel rispetto dell'art. 32 del CCNL . Per la cassazione di tale decisione ricorre lo St., affidando l'impugnazione a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, la Società. Il Banco di Napoli resistente ha poi presentato memoria. Ragioni della decisione Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nonché la violazione e falsa applicazione dell'art. 7, L. n. 300/1970, imputa alla Corte territoriale di non aver tenuto conto della circostanza per la quale la fotografia in base alla quale la prova testimoniale avrebbe consentito l'accertamento della provenienza aziendale dei pennelli la cui sottrazione era imputata al ricorrente non riproduceva i pennelli sottratti, come sarebbe dimostrato dall'assenza nella foto dei codici di identificazione indicati nella stessa lettera di contestazione bensì due dei pennelli in uso nell'azienda, sicché il rilievo attribuito al riconoscimento dei pennelli in foto come quelli rinvenuti nello zaino del ricorrente ed alla dichiarazione del loro essere identici o comunque simili a quelli adoperati in azienda ai fini dell'attribuzione in proprietà all'azienda medesima si risolve nell'ammettere illegittimamente una modifica del fatto contestato per la quale la sottrazione è riferita non più ai pennelli contrassegnati dai codici indicati nella lettera di contestazione ma a due qualsiasi dei pennelli utilizzati in azienda. Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, L. n. 604/1966, 2697 e 2119 c.c., il ricorrente imputa alla Corte territoriale il malgoverno delle regole sull'onere della prova per aver ritenuto quell'onere assolto dal datore di lavoro su cui gravava per non aver il ricorrente offerto la prova contraria. Con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 624 c.p. e 32 del CCNL di categoria, il ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale l'erroneità del convincimento espresso in ordine alla riconducibilità della fattispecie all'ipotesi astratta di cui al CCNL applicabile, data dalla commissione di un furto in azienda, non essendo qualificabile come tale, tenuto conto della figura di reato quale delineata dal codice penale, l'appropriazione di una res nullius. Nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. è prospettata in relazione all'inidoneità lesiva del vincolo fiduciario della sottrazione di un bene di esiguo valore tanto più che la disponibilità all'ispezione mostrata dal ricorrente una volta scattato il controllo a campione valeva di per sé ad attestarne la buona fede. Con il quinto motivo il ricorrente deduce il vizio di omessa pronunzia in violazione dell'art. 112 c.p.c. relativamente al mancato pronunciamento della Corte territoriale in ordine ai rilievi mossi dal ricorrente in sede di gravame a contrastare la ricostruzione dell'accaduto operata dal giudice di prime cure ed a ribadire la sussistenza di elementi idonei ad avallare la propria versione dei fati incentrata sulla sua estraneità alla vicenda. Va innanzitutto rilevata l'infondatezza di quest'ultimo motivo, atteso che il pronunciamento su quanto dal ricorrente eccepito in sede di gravame avverso il decisum del giudice di primo grado deve ritenersi implicito nell'adesione della Corte territoriale all'apprezzamento del fatto operato dal primo giudice che ha ritenuto di disattendere la versione perorata dal ricorrente intesa ad affermare la ricorrenza di elementi di fatto tali da escludere la prova dell'imputabilità a suo carico dell'indebita appropriazione. Piuttosto si tratta di valutare se il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine all'imputabilità al ricorrente del fatto addebitato sia da ritenersi legittime alla stregua delle censure qui sollevate con i primi tre motivi. E la risposta deve ritenersi positiva. In effetti, da un lato, è a dirsi come la Corte territoriale abbia derivato il convincimento della proprietà aziendale dei pennelli valendosi della fotografia, che in effetti riproduceva l'immagine di due pennelli generici in uso nell'azienda, non come sostiene il ricorrente nel primo motivo, da ritenersi perciò infondato, per il riconoscimento degli oggetti sottratti ma per stabilire, sulla base della testimonianza dei dipendenti della società incaricata dei controlli a campione che avevano effettuato l'ispezione, se quegli oggetti generici mostrati in foto corrispondevano agli oggetti rinvenuti nello zaino del ricorrente, indagine che deve dirsi aver la Corte correttamente valutato come approdata ad un esito positivo, stante il tenore delle dichiarazioni rese dai predetti testi riportate nello stesso ricorso alla pag. 21. Dall'altro va rilevato come la ritenuta imputabilità al ricorrente dell'appropriazione degli oggetti, lungi dal derivare, come infondatamente afferma il ricorrente con il secondo motivo, da una illegittima inversione dell'onere della prova, sia conseguenza della mancata offerta da parte del ricorrente di una giustificazione plausibile del fatto accertato, dato dal ritrovamento nel proprio zaino di oggetti dal medesimo dichiarati non di sua proprietà, evenienza che ha quale unica alternativa che quegli oggetti si trovino nello zaino del ricorrente in quanto sia stato il ricorrente stesso ad inserirli. Ne discende la conseguenza ulteriore per cui, dovendosi logicamente escludere che, come pretenderebbe il ricorrente nel terzo motivo, quegli oggetti possano considerarsi res nullius, è addebitabile al ricorrente la mancanza riconducibile all'ipotesi del furto in azienda che lo stesso contratto collettivo include tra le fattispecie passibili della massima sanzione, di modo che va considerato immune da vizi il giudizio di proporzionalità espresso dalla Corte territoriale fondato sull'idoneità della condotta addebitata a ledere il vincolo fiduciario, inteso come possibilità di affidamento del datore nell'esatto adempimento delle prestazioni future, a fronte della quale alcuna rilevanza può essere attribuita all'esiguo valore dei beni sottratti, viceversa infondatamente sostenuta nel quarto motivo. Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.