Licenziamento contestato: indennità risarcitoria senza la manifesta insussistenza del fatto

Confermato in Cassazione il riconoscimento dell’indennità, come stabilito in appello, in favore del lavoratore. Respinta la tesi finalizzata a mettere in discussione la legittimità della decisione presa dall’azienda.

Così la Cassazione nell’ordinanza n. 7471/20, depositata il 19 marzo. Condotta aziendale censurata dal dipendente che ha perso il posto. Per i Giudici, però, i dettagli della vicenda consentono solo di riconoscere al lavoratore una corposa indennità risarcitoria quantificata in venti mensilità dell’ultima retribuzione di fatto . Decisiva l’osservazione che manca una evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti giustificativi del licenziamento . Licenziamento. Riflettori puntati su due società armatrici e sulla società che si occupa della gestione dei loro equipaggi, e, più in particolare, sulla cessione di alcune navi, cessione che ha portato alla messa alla porta di alcuni dipendenti. Uno dei lavoratori, in particolare, contesta le ragioni del licenziamento – concretizzato nelle forme della cancellazione dal turno particolare –, e si vede riconosciuto, sia in Tribunale che in Appello, il diritto a percepire una indennità risarcitoria, quantificata in secondo grado in venti mensilità. Questo dato non è sufficiente per il lavoratore, che decide di presentare ricorso in Cassazione, sostenendo la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in assenza di riduzione della flotta, per non essere stata venduta alcuna nave – tanto meno quella su cui lui era arruolato –, avendo la società armatrice semplicemente trasferito alcune navi ad altro registro di iscrizione , fatto, questo, non implicante trasferimento della proprietà della nave . Secondo il lavoratore, peraltro, non è stata quella la ragione del licenziamento, ma la propria condizione di esubero per la soppressione del posto” pur egli appartenendo ad una categoria professionale operaio motorista non interessata dall’esubero . Prove. Per i Giudici della Cassazione, però, la decisione presa in appello va confermata. Ciò perché non vi sono gli elementi probatori adeguati per sostenere la tesi della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento . I magistrati di terzo grado tengono comunque a ribadire che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il nuovo regime sanzionatorio previsto dall’art. 18 l. 300/1970, come modificato dalla l. 92/2012, prevede di regola la corresponsione di un’indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità, riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino a un massimo di dodici mensilità, alle ipotesi residue, che fungono da eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee dà luogo alla tutela indennitaria, dovendosi escludere che ricorra, in tal caso, la manifesta insussistenza delle ragioni economiche poste a fondamento del recesso”. Da tener presente, poi, che ai fini dell’applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, quarto comma legge citata, il giudice è tenuto ad accertare che vi sia una evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti giustificativi del licenziamento e, in caso di esito positivo di tale verifica, a procedere all’ulteriore valutazione discrezionale sulla non eccessiva onerosità del rimedio, essendo altrimenti applicabile la sola tutela risarcitoria di cui all’art. 18, quinto comma . E, infine, per quanto concerne il requisito della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento , esso va inteso come chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del recesso, cui non può essere equiparata una prova meramente insufficiente .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 6 novembre 2019 – 19 marzo 2020, n. 7471 Presidente Berrino – Relatore Patti Rilevato che 1. Con sentenza 23 marzo 2018, la Corte d'appello di Ancona determinava in venti mensilità l'indennità risarcitoria conseguente al licenziamento intimato il 17 agosto 2015 a Gi. Am. da Enterprise Shipping Agency, quale agente delle società armatrici Vroon Offshore Italia s.r.l. e PSV Express VIII B.V., nelle forme della cancellazione dal turno particolare così riformando la sentenza di primo grado, che, in parziale accoglimento dell'opposizione avverso l'ordinanza dello stesso Tribunale, ai sensi dell'art. 1, comma 49 L. 92/2012, di rigetto dell'impugnazione del licenziamento, l'aveva invece dichiarato illegittimo per violazione del criterio di scelta eccedentario e condannato la società datrice Vroon Offshore Italia s.r.l. al pagamento, in suo favore, di un'indennità omnicomprensiva, in applicazione dell'art. 18, settimo comma L. 300/1970, pari a diciotto mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, oltre accessori 2. avverso la predetta sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con unico motivo, cui resisteva Vroon Offshore Services s.r.l. con controricorso e memoria ai sensi dell'art. 380bis 1 c.p.c 3. il ricorrente comunicava invece memoria inammissibile, in quanto oltre il termine prescritto dall'art. 380bis 1 c.p.c. Considerato che 1. il lavoratore ricorrente deduce, premessa l'istanza di correzione dell'errore materiale nell'indicazione della società datrice come Vroon Offshore Italia s.r.l. anziché come Vroon Offshore Services s.r.l., violazione e falsa applicazione dell'art. 18, settimo e quinto comma L. 300/1970, anche in relazione agli artt. 132 c.p.c. e 156 c.n., per la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in assenza di riduzione della flotta, per non essere stata venduta alcuna nave, tanto meno quella su cui era arruolato il lavoratore, avendone la società armatrice semplicemente trasferito alcune ad altro registro di iscrizione ex se non implicante trasferimento della proprietà della nave non essendo peraltro stata quella la ragione del licenziamento, ma la propria condizione di esubero per la soppressione del posto, peraltro egli appartenendo ad una categoria professionale operaio motorista motorman , non interessata dall'esubero, essendo stato inserito in quella di 3D engineer unico motivo 1.1. il motivo è infondato 1.2. in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo occorre ribadire che a il nuovo regime sanzionatorio previsto dall'art. 18 L. 300/1970, come modificato dalla L. 92/2012, prevede di regola la corresponsione di un'indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità, riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino a un massimo di dodici mensilità, alle ipotesi residuali, che fungono da eccezione, nelle quali l'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee dà luogo alla tutela indennitaria, dovendosi escludere che ricorra, in tal caso, la manifesta insussistenza delle ragioni economiche poste a fondamento del recesso Cass. 25 luglio 2018, n. 19732 b ai fini dell'applicazione della tutela reintegratoria prevista dall'art. 18, quarto comma I. cit., il giudice è tenuto ad accertare che vi sia una evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti giustificativi del licenziamento e, in caso di esito positivo di tale verifica, a procedere all'ulteriore valutazione discrezionale sulla non eccessiva onerosità del rimedio, essendo altrimenti applicabile la sola tutela risarcitoria di cui all'art. 18, quinto comma Cass. 31 gennaio 2019, n. 2930 c il requisito della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è da intendersi come chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del recesso, cui non può essere equiparata una prova meramente insufficiente Cass. 25 giugno 2018, n. 16702 1.3. non è configurabile la violazione di legge denunciata, da dedurre, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche specifiche argomentazioni, motivatamente intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità Cass. 16 gennaio 2007, n. 828 Cass. 26 giugno 2013, n. 16038 Cass, 15 gennaio 2015, n. 635 1.4. la denuncia si pone nella prospettiva, non già appropriata di una confutazione in diritto, bensì di una contestazione in fatto ed è noto che il vizio di violazione di legge sia integrato dalla deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e ne implichi necessariamente un problema interpretativo e che, invece, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa sia esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisca alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione Cass. 11 gennaio 2016, n. 195 Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155 1.5. il motivo consiste pertanto nella contestazione dell'accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale, con argomentazione congrua per le ragioni in particolare svolte ai p.ti da 4.2. a 4.4. di pgg. 4 e 5 della sentenza , secondo un esercizio insindacabile dal giudice di legittimità, al quale solo pertiene la facoltà di controllo, sotto il profilo di correttezza giuridica e coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio della Corte territoriale Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197 Cass. 18 marzo 2011, n. 6288 Cass. 19 marzo 2009, n. 6694 1.6. infine, deve essere esclusa la pure denunciata omissione di motivazione, anzi congrua e confutata dalla ricorrente, non essendo poi configurabile alcun fatto storico di cui sia stato omesso l'esame, quanto piuttosto una valutazione giuridica contestata, pertanto eccedente il rigoroso ambito devolutivo introdotto dal novellato testo dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053 Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498 Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439 2. quanto all'istanza di correzione dell'errore materiale nell'indicazione della società datrice come Vroon Offshore Italia s.r.l. anziché come Vroon Offshore Services s.r.l., essa è inammissibile sotto un duplice profilo 2.1. qualora, infatti, si tratti effettivamente di un tale errore, non comportante alcuna forma di valutazione giuridica, come appunto nel caso di specie, il rimedio non può essere la sua deducibilità in sede di legittimità, ma soltanto la procedura stabilita dagli artt. 287 c.p.c. Cass. 15 gennaio 2013, n. 795 Cass. 31 gennaio 2018, n. 2399, entrambe in riferimento alla distinzione tra errore causato da inesatta determinazione dei presupposti ed errore materiale di calcolo risultante dal confronto tra motivazione e dispositivo , trattandosi di rimedi tra loro alternativi Cass. 2 luglio 2019, n. 17664 potendo l'errore materiale contenuto nella decisione impugnata con ricorso per cassazione, pur non suscettibile di correzione da parte del giudice di legittimità, essere soltanto rilevato ed accertato dalla Corte medesima, al limitato fine di escludere la ricorrenza di un errore di giudizio o di attività, devoluto al suo sindacato Cass. 26 gennaio 2016, n. 1420 2.2. l'istanza è peraltro pure generica, in assenza di alcuna specifica indicazione in grado di chiarire gli elementi di fatto dai quali si dovrebbe ritenere l'identità delle due società 3. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.