Invocare l’art. 18 è sufficiente per l’applicazione del rito Fornero

Al fine dell’applicazione del c.d. rito Fornero è determinante l’istanza di applicazione delle tutele previste dall’art. 18 stat. lav. a prescindere dalla fondatezza delle allegazioni che possono riguardare la effettiva titolarità del rapporto ovvero la sussistenza del requisito dimensionale necessario per procedere alla procedura di licenziamento collettivo.

Così l’ordinanza della Suprema Corte n. 5240/20, depositata il 26 febbraio. La vicenda. La Corte d’Appello di Milano respingeva il reclamo avverso la sentenza di prime cure che aveva confermato l’illegittimità dei licenziamenti intimati per giustificato motivo oggettivo ad alcuni lavoratori. L’originario ricorso era stato correttamente proposto dai lavoratori nelle forme di cui all’art. 1, comma 48 e ss., l. n. 92/2012 con richiesta di applicazione dell’art. 16 stat. lav Secondo la Corte milanese, tale circostanza era infatti sufficiente per incardinare il processo con il c.d. rito Fornero a prescindere dalla fondatezza delle allegazioni circa il requisito dimensionale per avviare la procedura del licenziamento collettivo. La società datrice di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione. Rito Fornero. Il Collegio condivide le argomentazioni della Corte territoriale in merito all’applicazione del rito Fornero. Infatti, secondo un costante orientamento di legittimità, al fine dell’applicazione del suddetto rito è determinante l’istanza di applicazione delle tutele previste dall’art. 18 stat. lav. a prescindere dalla fondatezza delle allegazioni che possono riguardare la effettiva titolarità del rapporto ovvero la sussistenza del requisito dimensionale necessario per procedere alla procedura di licenziamento collettivo, come nel caso di specie. Aggiunge poi la sentenza in commento che l’unico limite è quello delle prospettazioni artificiose” adoperate allo scopo di avvalersi del rito speciale, fermo restando che in tal caso la prospettazione attorea deve risultare in modo evidente come pretestuosa e artificiosa, circostanza non riscontrabile nella vicenda in esame. Per questi motivi il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 21 novembre 2019 – 26 febbraio 2020, n. 5240 Presidente Nobile – Relatore Cinque Rilevato in fatto che 1. Con la sentenza n. 67 del 2018 la Corte di appello di Milano respingeva il reclamo, proposto dalla BERAUD srl, avverso la pronuncia resa dal Tribunale della stessa sede che aveva confermato la declaratoria di illegittimità dei licenziamenti, già dichiarata nella fase sommaria del rito previsto dalla L. n. 92 del 2012, intimati per giustificato motivo oggettivo ad A.A. , B.D. , E.M. , R.M. e V.F. . 2. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure rilevavano, da un lato, che l’originario ricorso era stato correttamente proposto dai lavoratori nelle forme previste dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e ss., avendo il giudizio ad oggetto una impugnativa di licenziamento con richiesta di applicazione dell’art. 18 St. lav. ciò era sufficiente per incardinare il processo con il rito cd. Fornero a prescindere dalla fondatezza delle allegazioni circa il possesso del requisito dimensionale, contestato poi dalla società, per avviare la procedura del licenziamento collettivo dall’altro, precisavano che, nel caso di specie, trovava applicazione la L. n. 223 del 1991, art. 4 comma 1, per cui la BERAUD srl, trovandosi nelle condizioni di ammissione al programma di CIGS, allorquando decise di licenziare una parte del suo personale, avrebbe dovuto necessariamente avviare la procedura di licenziamento previsto dallo stesso art. 4 citato, pena la incostituzionalità dello stesso per violazione del principio di uguaglianza rispetto alla omogenea situazione in cui all’esito del programma il requisito dimensionale era ancora sussistente. 3. Avverso la decisione di secondo grado proponevano ricorso per la cassazione la BERAUD srl affidato a due motivi. 4. Gli intimati lavoratori non svolgevano attività difensiva. 5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte. Considerato in diritto che 1. I motivi possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo la società denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, e art. 18 dello St. lav. perché la Corte di appello aveva erroneamente, in sostanza, adottando come unico criterio il vaglio di ammissibilità la tipologia della domanda, vanificato l’introduzione dei requisiti minimi dimensionali di impresa , rendendo il cd. rito Fornero applicabile a qualsivoglia tipologia di impresa. 3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 1 e 2, per avere la Corte di appello trasformato la facoltà prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 4 comma 1, in obbligo, così applicando erroneamente tale disposizione che andava letta in combinato disposto con l’art. 24 della stessa legge che limita l’operatività della L. n. 223 del 1991, alle sole imprese che occupano più di quindici dipendenti. Parte ricorrente lamenta anche che, qualora la Corte territoriale avesse rilevato i profili di incostituzionalità posti alla base della diversa interpretazione della norma propugnata da essa società, avrebbe dovuto sollevare questione di illegittimità costituzionale pertanto, essa ricorrente avanza richiesta in tali sensi nell’ipotesi in cui si fossero ritenuti sussistenti i profili già rilevati dai giudici di seconde cure. 4. Il primo motivo non è fondato. 5. La sentenza gravata è conforme all’orientamento di legittimità Cass. n. 17775 del 2016 Cass. n. 30433 del 2018 , cui si intende dare seguito, secondo il quale ad incidere sulla applicazione del rito cd. Fornero è la istanza di applicazione delle tutele previste dalla L. n. 3000 del 1970, art. 18, a prescindere dalla fondatezza delle allegazioni che possono riguardare la effettiva titolarità del rapporto ovvero, come nel caso di specie, la sussistenza del requisito dimensionale, restando pur sempre salva la successiva verifica dell’applicabilità della tutela sostanziale ai fini del merito. 6. L’unico limite è quello delle prospettazioni artificiose adoperate al solo scopo di percorrere la corsia preferenziale del rito speciale, ma - in tal caso - la prospettazione attorea deve risultare, in modo evidente, pretestuosa ed artificiosamente allegata proprio al fine di operare una non consentita scelta del rito e del giudice Cass. n. 8189 del 2012 Cass. n. 7182 del 2014 ipotesi, questa, non ravvisabile nel caso in esame. 7. Anche il secondo motivo è infondato. 8. La tesi della ricorrente - secondo cui la verifica del requisito dimensionale ai fini dell’operatività della L. n. 223 del 1991, deve essere effettuata - nella ipotesi di ammissione della azienda al trattamento straordinario di integrazione salariale ai sensi della L. n. 223 del 191, art. 4, comma 1, al momento dell’attuazione del programma, allorquando non si ritiene di potere assicurare il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non potere ricorrente a misure alternative - è stata correttamente respinta dalla Corte territoriale. 9. In sede di legittimità si è, infatti, affermato il principio Cass. n. 13796 del 1999 Cass. n. 1465 del 2011 in virtù del quale il criterio di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 1, cioè che in tema di licenziamenti collettivi il requisito dimensionale non deve essere determinato in riferimento al momento della cessazione dell’attività e dei licenziamenti, ma con riguardo alla occupazione dell’ultimo semestre individua una specifica regola di determinazione del requisito dimensionale e che tale criterio appare estensibile, nell’ambito di una interpretazione coordinata e sistematica della legge, anche alla lettera della disposizione della L. n. 223 del 1991, art. 24 ciò al fine di evitare applicazioni artificiose ed elusive della norma predetta Cass. n. 12592 del 1999 . 10. Sotto il profilo metodologico, infine, alcun appunto può muoversi alla decisione impugnata allorquando la Corte di merito, ponendosi dubbi di legittimità costituzionale elle disposizioni in commento L. n. 223 del 1991, artt. 1, 4 e 24 in ordine alla ipotizzabile violazione del principio di uguaglianza, qualora avesse aderito alla citata tesi della ricorrente, ha risolto il problema interpretativo non sollevando questione di legittimità costituzionale ma fornendo una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme. 11. Infatti, la Corte Costituzionale ha più volte affermato che al giudice non è precluso, nell’esercizio dei suoi poteri interpretativi che gli sono propri e che non richiedono alcun avallo costituzionale, pervenire ad una lettura secundum costituzionem anche in presenza di un orientamento giurisprudenziale univoco” tra le altre Corte Cost. ord. n. 3 del 2002 e ord. n. 252 del 2005 . 12. Anzi il giudice delle leggi ha precisato più volte Corte Cost. ord. n. 212, n. 103 e n. 101 del 2011 ord. n. 102 del 2012 che è doveroso il tentativo dei giudici a quo di attribuire alle norme una interpretazione conforme a Costituzione, ricercandola prima di sollevare la questione di legittimità Corte Cost. sent. n. 301 del 2003 e n. 356 del 1996 e dando alla disposizione censurata una esegesi idonea a superare i prospettati dubbi di costituzionalità. 13. Alla stregua di quanto sopra esposto il ricorso deve essere rigettato. 14. L’infondatezza del ricorso rende superflua la verifica sulla regolarità della notifica del ricorso per cassazione agli odierni intimati, contumaci in appello, effettuata presso il domicilio di un Procuratore senza che risulti specificato il tipo di rapporto professionale intercorrente tra le parti. 15. Come già statuito a riguardo da questa S.C. cfr. Cass. n. 15106/13 cfr. altresì, Cass. n. 6826/2010 Cass. n. 2723/2010 Cass. n. 18410/2009 , il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c. di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità. 16. Ne deriva che, acclarata l’infondatezza del ricorso in oggetto alla stregua delle considerazioni sopra svolte, sarebbe comunque vano disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio in termini di garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti. 17. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite, non essendo stata svolta attività difensiva dagli intimati. 18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.