‘Carta fedeltà’ della cliente utilizzata dalla cassiera: licenziamento eccessivo ma rapporto di lavoro chiuso

Ricostruito nei dettagli l’episodio incriminato, emergono le responsabilità della lavoratrice, che, secondo i Giudici, ha agito consapevolmente, utilizzando la ‘carta’ della cliente, invece di restituirla. Eccessiva però la reazione dell’azienda, che ha addirittura ipotizzato il licenziamento per giusta causa. Per chiudere la questione, alla fine, si approda alla chiusura del rapporto, con indennità risarcitoria per l’oramai ex dipendente del supermercato.

Costa carissima alla cassiera – part-time – di un supermercato la decisione di utilizzare per la propria spesa la ‘carta fedeltà’ dimenticata da una cliente quell’episodio, difatti, è sufficiente per chiudere il rapporto di lavoro. Impossibile, spiegano i Giudici, parlare, contrariamente a quanto fatto dalla società datrice di lavoro, di licenziamento per giusta causa”. Allo stesso tempo, però, va ritenuta evidente la consapevolezza della lavoratrice nell’abuso – minimo, anche dal punto di vista economico – compiuto. Di conseguenza, il rapporto di lavoro va considerato concluso, e la lavoratrice non può pretendere la reintegrazione ma deve accontentarsi solo del riconoscimento di una indennità risarcitoria quantificata in quindici mensilità dell’ultime retribuzione globale di fatto. Cassazione, sentenza n. 2238/2020, Sezione Lavoro, depositata il 30 gennaio . Carta. Nessun dubbio sui dettagli dell’episodio contestato alla lavoratrice si è appurato, difatti, che ella, cassiera part-time per un supermercato, ha utilizzato a fine turno per la propria spesa una ‘carta fedeltà’ dimenticata da una cliente , ciò in violazione del regolamento aziendale da lei ben conosciuto – avendo lì lavorato per oltre dieci anni – che sanciva l’obbligo per il dipendente di restituire la ‘carta’. Drastica la reazione della società proprietaria della struttura commerciale, reazione che si concretizza addirittura nel licenziamento della cassiera. Questo provvedimento viene però censurato dai giudici del Tribunale, che ordinano il ritorno della lavoratrice in azienda, con annesso risarcimento consistente nelle retribuzioni maturate dal licenziamento all’effettiva reintegrazione . Parzialmente diversa la visione adottata dai giudici d’Appello. In particolare, in secondo grado, si esclude che l’azione compiuta dalla cassiera possa essere stata frutto di una dimenticanza incolpevole , soprattutto considerando le modalità della condotta – intenzionale – e la reazione nell’immediatezza e le successive giustificazioni addotte dalla lavoratrice . Allo stesso tempo, però, tenendo presenti l’assenza di altre sanzioni disciplinari nell’intera carriera lavorativa, la non diretta incidenza del comportamento sulla specifica attività di cassiera e il modesto danno per la società avendo cumulato la cliente sulla ‘carta fedeltà’ indebitamente utilizzata 750 punti per un importo di 5 euro , i Giudici di secondo grado escludono la notevole gravità della condotta in esame e, una volta dichiarato concluso il rapporto di lavoro, riconoscono alla dipendente il diritto alla tutela indennitaria , quantificata in 15 mensilità della retribuzione part-time da lei percepita. Chiusura. La linea tracciata in Appello è condivisa in pieno dai Giudici della Cassazione, che, innanzitutto, ribattendo alle obiezioni proposte dai legali della società datrice di lavoro, confermano la mancanza dei presupposti per parlare di giusta causa di licenziamento alla luce della condotta della lavoratrice . Anche per i Giudici del ‘Palazzaccio’, in sostanza, non si può sostenere che il comportamento in discussione si stato di notevole gravità”, e ciò comporta che è sicuramente eccessiva la sanzione disciplinare adottata dall’azienda. Allo stesso tempo, però, vengono anche respinte le obiezioni proposte dalla lavoratrice. Per i Giudici, difatti, il fatto addebitato a lei è sussistente nel suo elemento oggettivo e soggettivo e va ritenuto comunque rilevante. Unica soluzione, quindi, è la chiusura del rapporto di lavoro, e il riconoscimento alla dipendente di un’indennità economica.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 novembre 2019 – 30 gennaio 2020, n. 2238 Presidente/Relatore Patti Fatti di causa Con sentenza in data 26 luglio 2018, la Corte d'appello di L'Aquila dichiarava risolto il rapporto di lavoro tra Sa. Ca. e SMA s.p.a. alla data del licenziamento intimato alla prima dalla seconda per giusta causa il 22 aprile 2016 e condannava la società datrice al pagamento, in favore della lavoratrice a titolo di indennità risarcitoria, di quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori così riformando la sentenza di primo grado, che aveva escluso la ricorrenza della giusta causa, ordinato la reintegrazione della lavoratrice e condannato la società al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal licenziamento all'effettiva reintegrazione. A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva, per le scrutinate modalità della condotta e la reazione nell'immediatezza e le successive giustificazioni della lavoratrice, l'intenzionalità a differenza del Tribunale che aveva invece ravvisato una dimenticanza incolpevole dell'utilizzazione per la propria spesa, a fine turno di cassa nel supermercato di SMA s.p.a. presso cui lavorava, di una carta fedeltà dimenticata da una cliente, in violazione del regolamento aziendale da lei ben conosciuto avendo lavorato ivi oltre dieci anni , anziché restituirla. Tenuto tuttavia conto dell'assenza di altre sanzioni disciplinari nell'intera carriera lavorativa, della non diretta incidenza del comportamento sulla specifica attività di cassiera e del modesto danno per la società avendo cumulato la cliente sulla carta fedeltà indebitamente utilizzata 750 punti per un importo di Euro 5,00 , la Corte aquilana escludeva la notevole gravità della condotta, qualificandola altra ipotesi alla stregua del novellato art. 18, quinto comma I. 300/1970 ed applicando pertanto la tutela indennitaria nella misura suindicata, computata sulla retribuzione part time percepita dalla lavoratrice. Con atto notificato il 24 settembre 2018 Sa. Ca. ricorreva per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. cui SMA s.p.a. resisteva con controricorso, contenente ricorso incidentale con unico motivo. Ragioni della decisione 1. Evidenti ragioni di pregiudizialità logico-giuridica rendono opportuno avviare la trattazione dall'illustrazione del ricorso incidentale. Con unico motivo, la società controricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 225, 229 CCNL in relazione agli artt. 2104, 2105, 1175, 1176, 1375 e 2106 c.c., per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza della giusta causa di licenziamento nella condotta della lavoratrice, ostativa alla prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto di lavoro e pertanto lesiva del vincolo di fiducia tra le parti, così errando nel negare al comportamento addebitato il carattere di notevole gravità. 1.1. Esso è infondato. 1.2. Non si configura, infatti, la violazione dell'art. 2119 c.c., non rilevando qui come ancora recentemente ritenuto da Cass. 10 luglio 2018, n. 18170 una questione di sindacabilità, sotto il profilo della falsa interpretazione di legge, del giudizio applicativo di una norma cd. elastica quale indubbiamente è la clausola generale della giusta causa , che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del giudice un'attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico - sociale in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell'ambito della giusta causa piuttosto che del giustificato motivo di licenziamento , in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro Cass. 18 gennaio 1999, n. 434 Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514 . E ciò per la sindacabilità, da parte della Corte di cassazione, dell'attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale Cass. 26 aprile 2012, n. 6498 Cass. 2 marzo 2011, n. 5095 1.3. Nel caso di specie, la società censura invece la valutazione di gravità della condotta operata dalla Corte territoriale, che l'ha esclusa sulla base di un ragionamento argomentativo congruo non essendo stato ritenuto Il comportamento posto in essere di notevole gravità al terzo capoverso di pg. 7 della sentenza . Ed infatti, la sanzione disciplinare deve essere proporzionale alla gravità dei fatti contestati, sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore nell'esercizio del suo potere disciplinare, avuto riguardo alle ragioni che lo hanno indotto a ritenere grave il comportamento del dipendente, sia nel giudizio del giudice del merito, il cui apprezzamento della legittimità e congruità della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica motivazione, si sottrae a censure in sede di legittimità Cass. 8 gennaio 2008, n. 144 Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788 Cass. 25 maggio 2012, n. 8293 26 settembre 2018, n. 23046 . 2. Con il primo motivo, la lavoratrice ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 2119, 2697, 2729 c.c., 5 L. 604/1966, per la mancata prova, essendone addirittura stato invertito l'onere sulla lavoratrice, della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, a carico del datore di lavoro e dell'intenzionalità della condotta tenuta dalla medesima, erroneamente presunta, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, inerente la condotta contestata. 3. Con il secondo, ella deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1455 e 2119 c.c. ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in ordine alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento, alla presunta gravità dei fatti addebitati, alla insussistenza dell'elemento intenzionale della lavoratrice e alla proporzionalità tra la condotta e la sanzione irrogata. 4. Con il terzo, la ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2016, 2119 c.c. e 229 CCNL di settore, per la mancata proporzionalità della sanzione applicata, erroneamente graduata in relazione alla non particolare gravità del fatto rispetto ad infrazioni ben più gravi, per le quali è stabilita dall'art. 225 CCNL di settore una sanzione conservativa e dall'art. 229 dello stesso CCNL la sanzione espulsiva. 4.1. Essi sono congiuntamente esaminabili, per ragioni di stretta connessione e sono infondati. 4.2. In via di premessa, giova chiarire che la qualificazione di altra ipotesi , per la quale, a norma dell'art. 18, quinto comma L. 300/1970 nel testo novellato dalla L. 92/2012 applicabile ratione temporis , il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro ed applica l'indennità risarcitoria ivi stabilita, presuppone l'accertamento di esclusione non ricorrono de gli estremi della giusta causa . 4.3. Inoltre, l'art. 18, quarto comma 1. cit. riconosce la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto contestato, nonché nelle ipotesi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore. La non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra, invece, nel suddetto quarto comma quando dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari applicabili, risulti la previsione per esso di una sanzione conservativa qualora ciò non si verifichi, si realizzano le altre ipotesi di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali il quinto comma dell'art. 18 prevede la tutela indennitaria ed. forte Cass. 25 maggio 2017, n. 13178 Cass. 16 luglio 2018, n. 18823 . 4.4. Qualora vi sia dunque sproporzione tra sanzione e infrazione, deve essere riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta addebitata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa così ricadendo pertanto il difetto di proporzionalità tra le altre ipotesi stabilite dall'art. 18, quinto comma, in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento ed è accordata la tutela indennitaria ed. forte Cass. 12 ottobre 2018, n. 25534 Cass. 20 maggio 2019, n. 13533 . 4.5. La Corte territoriale, in esatta applicazione dei suenunciati principi di diritto, con accertamento in fatto congruamente argomentato sulla base di un attento e critico scrutinio delle risultanze istruttorie per le ragioni esposte dal terzo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 7 della sentenza , pertanto insindacabile in sede di legittimità Cass. 19 marzo 2009, n. 6694 Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197 Cass. 4 novembre 2013, n. 24679 Cass. 17 gennaio 2019, n. 1197 , ha ritenuto il fatto addebitato sussistente nel suo elemento oggettivo e soggettivo nella letteralità dell'espressione al secondo capoverso di pg. 7 della sentenza . E lo ha sanzionato, sulla base di un giudizio di proporzionalità di spettanza esclusiva del giudice di merito, parimenti insindacabile in sede di legittimità ove congruamente giustificato Cass. 8 gennaio 2008, n. 144 Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788 Cass. 25 maggio 2012, n. 8293 26 settembre 2018, n. 23046 , come appunto nel caso di specie, per la ragionevolezza argomentativa di esclusione della notevole gravità al terzo capoverso di pg. 7 della sentenza . 4.6. Neppure sussiste, infine, la denunciata inversione dell'onere della prova, posto che ricorre una violazione dell'art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia appunto attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti Cass. 17 giugno 2013, n. 15107 Cass. 29 maggio 2018, n. 13395 . Ma neppure si configura una violazione dell'art. 2729 c.c., sindacabile da questa Corte nell'esercizio della sua funzione nomofilattica di controllo che i principi contenuti nell'art. 2729 c.c. siano applicati alla fattispecie concreta al fine della ascrivibilità di questa a quella astratta, essendo stata piuttosto oggetto di censura la valutazione, di spettanza esclusiva del giudice di merito, della ricorrenza dei requisiti enucleagli dagli artt. 2727 e 2729 c.c. per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, in assenza di una specifica indicazione dei criteri giuridici in tema di formazione della prova critica non osservati dal giudice, che si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne l'effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi Cass. 5 maggio 2017, n. 10973 operazione che la Corte aquilana ha anzi adeguatamente compiuto. 4.7. Sicché, i mezzi congiuntamente scrutinati si risolvono in una sostanziale contestazione della valutazione probatoria e dell'accertamento del fatto della Corte territoriale, insindacabili per le ragioni dette. Neppure, infine, essendo correttamente dedotta, con il secondo e il terzo motivo, la denuncia di omesso esame di fatti, non configuranti alcun fatto storico, secondo l'ambito devolutivo più circoscritto e il paradigma deduttivo previsti dal novellato testo dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053 Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498 Cass. 26 giugno 2015, n. 13189 Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439 , né tanto meno decisivi, anche per la pluralità della loro deduzione Cass. 5 luglio 2016, n. 13676 Cass. 28 maggio 2018, n. 13625 , che nega in radice la decisività del fatto come già detto neppure tale . 5. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto di entrambi i ricorsi, con la compensazione integrale delle spese del giudizio tra le parti e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535 . P.Q.M. La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa interamente le spese del giudizio tra le parti. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e del ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.