Autonomia tra la rendita ai superstiti e quella goduta in vita dal lavoratore defunto

La rendita INAIL ai superstiti del lavoratore defunto per malattia professionale è una prestazione previdenziale che spetta iure proprio e non iure successionis poiché il diritto non appartiene al patrimonio del de cuius ma sorge alla morte dell’assicurato. Dunque, la rendita ai superstiti e quella goduta in vita dal lavoratore defunto sono due prestazioni autonome tra loro.

Così ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza n. 30879/19, depositata il 26 novembre. Rendita INAIL. La Corte d’Appello di Genova negava ai congiunti di un lavoratore defunto per malattia professionale il riconoscimento della rendita e dell’assegno funerario. La Corte territoriale aveva ritenuto che l’evoluzione peggiorativa della malattia che aveva causato il decesso fosse comparsa oltre il termine di 15 anni stabilito per la revisionabilità della rendita. Avverso la decisione ha proposto ricorso in Cassazione l’erede del defunto lamentando che la Corte d’appello abbia erroneamente apposto dei limiti temporali all’applicazione dei parametri di cui all’art. 85 del T.U. n. 1124/1965, che non si rinvengono nella norma. Autonomia tra le due prestazioni. La Cassazione, ritenendo fondato il ricorso, rileva che la Corte territoriale ha erroneamente esteso alla rendita dei superstiti l’istituto della revisione della rendita per peggioramento o miglioramento, invece riferibile solo rendita di cui è titolare il lavoratore. La rendita ai superstiti, specifica la Suprema Corte, costituisce una prestazione previdenziale che spetta iure proprio e non iure successionis poiché il diritto non appartiene al patrimonio del defunto, nascendo invece alla morte dell’assicurato. Pertanto, dato che l’indennità non si confonde con il patrimonio del defunto, si prescinde dal fatto che per la malattia professionale sia già stata costituita la rendita ed essa compete nonostante la rendita sia stata liquidata in capitale all’infortunato. Inoltre, il diritto alla rendita ai superstiti non è condizionato neppure dal fatto che l’aggravamento della malattia causa del decesso sia avvenuto o meno nei termini previsti per l’istituto della revisione della rendita erogata al de cuius . Chiarito questo, la Cassazione rileva che la Corte d’Appello ha errato dove non ha valutato l’autonomia delle rendita ai superstiti rispetto alla rendita goduta in vita dal lavoratore defunto. Dunque, il ricorso viene accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 7 maggio – 26 novembre 2019, n. 30879 Presidente Doronzo – Relatore Riverso Rilevato che la Corte d’appello di Genova con la sentenza n. 518/2017 ha rigettato l’appello proposto da B.R. la quale chiedeva il riconoscimento della rendita ai superstiti e dell’assegno funerario per la morte di G.O. deceduto per complicanze legate alla pneumoconiosi, malattia professionale di cui soffriva in vita. A fondamento della pronuncia la Corte riteneva che l’evoluzione peggiorativa dell’originaria malattia professionale da cui era affetto il de cuius - ritenuta dal CTU principale causa del decesso - era comparsa ben oltre il termine di 15 anni stabilito per la revisionabilità della rendita ovvero solo a partire dal 2007 mentre la rendita era stata riconosciuta dal 1976 . Pertanto, secondo la stessa Corte, benché il diritto alla rendita ai superstiti sorga autonomamente e per legge in capo agli interessati, esso trovava necessariamente fondamento sui presupposti dettati dalla normativa del testo unico 1124/65 ed era soggetto ai principi fissati dalla stessa normativa, compreso quello per cui gli aggravamenti, per essere azionabili nei confronti di Inail, dovevano essersi verificati entro il quindicennio dalla costituzione della rendita, termine che operava sul piano sostanziale incidendo sull’esistenza stessa del diritto. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.P. con un motivo al quale ha resistito l’Inail. È stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio. L’Inail ha depositato memoria. Ritenuto che 1. - con l’unico motivo di ricorso viene lamentata la violazione del testo unico n. 1124 del 1965, artt. 85, 83 e 137, in quanto la sentenza ha affermato che non potesse essere tenuto in considerazione l’aggravamento della patologia professionale che aveva provocato il decesso in quanto verificatosi oltre il quindicesimo anno della costituzione della rendita riconosciuta in vita al de cuius, nonostante la stessa Corte avesse riconosciuto che il diritto alla rendita ai superstiti sorga autonomamente ope legis in capo agli interessati e nonostante che il testo unico n. 1124, art. 85, non preveda questa condizione e non richiami espressamente la disciplina di cui al testo unico, artt. 83 e 137 la Corte genovese aveva pertanto finito per porre dei limiti temporali all’applicazione dei parametri di cui all’art. 85 del testo unico che non si rinvenivano nella stessa norma. 2. - Preliminarmente vanno disattese le plurime eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa dell’Inail dal momento che come risulta dalle premesse, ed al contrario di quanto afferma l’Inail, il ricorso proposto da B.R. indica con precisione le affermazioni della sentenza che vengono impugnate, avendole persino trascritte al proprio interno. Esso indica pure le norme ed i principi violati ed esplicita le censure sollevate avverso la sentenza di secondo grado. Non ha invece rilievo il modo in cui le stesse censure vengono fatte valere dal punto di vista grafico ed in particolare l’omessa intestazione del motivo nè rileva che non sia stato indicato in quale delle 5 ipotesi previste dall’art. 360 va ricondotto il motivo fatto valere, dal momento che esso è riconducibile in maniera immediata ed inequivocabile alla violazione di legge prevista nel n. 3, senza che fosse necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi Sez. U. Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Sez. 5 Ordinanza n. 21819 del 20/09/2017 Sez. L, Sentenza n. 25386 del 17/12/2015 Sez. 3, Sentenza n. 4233 del 16/03/2012 Sez. 5 -, Ordinanza n. 21819 del 20/09/2017 . 2. - Nel merito il ricorso è fondato dal momento che, tradendo la premessa sull’autonomia della rendita ai superstiti e sul diritto degli eredi a percepirla iure proprio, la Corte d’appello ha riferito alla stessa rendita ai superstiti l’istituto della revisione della rendita per miglioramento o peggioramento che è era riferibile invece esclusivamente alla diversa prestazione relativa alla rendita di cui è titolare lo stesso lavoratore assicurato ovvero alla rendita già costituita. Secondo l’art. 83 del T.U. l’oggetto della revisione è infatti il grado di riduzione dell’integrità psico-fisica del lavoratore ed il provvedimento di determinazione della misura della rendita già liquidata. Il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 4, ha poi esteso l’istituto della revisione anche ai postumi non indennizzabili, talché la revisione si riferisce oggi anche alle inabilità non in rendita e comprende anche l’indennizzo in capitale. 3. - La rendita ai superstiti costituisce quindi una prestazione previdenziale che spetta iure proprio e non iure successionis il diritto non appartiene al patrimonio del defunto perché nasce alla morte dell’assicurato i titolari sono previsti dalla legge e l’indennità non si confonde con il patrimonio del defunto di conseguenza si prescinde dalla circostanza che per l’infortunio sul lavoro o per la malattia professionale sia stata già costituita la rendita, ed essa compete nonostante che la rendita sia stata liquidata in capitale all’infortunato e da questa investita non è vincolata dal preesistente accertamento amministrativo dell’esistenza di postumi invalidanti, trattandosi di un diritto autonomo che prescinde del tutto dalla titolarità della rendita. 4. - Pertanto il diritto alla rendita ai superstiti non è condizionato nemmeno dal fatto che l’aggravamento della malattia che ha cagionato la morte della persona sia avvenuto dentro i termini previsti per l’istituto della revisione della rendita erogata al de cuius. Tale ultimo istituto è diretto invece all’adeguamento della rendita goduta in vita dal lavoratore e non si confonde con la rendita ai superstiti la quale, come già detto, prescinde dalla circostanza che per quello stesso evento fosse già stata costituita o meno la rendita in favore del lavoratore deceduto e pertanto prescinde pure dal fatto che la stessa rendita fosse stata adeguata o meno in relazione all’aggravamento che ha cagionato la morte. Nella rendita ai superstiti l’evento protetto dalla tutela previdenziale è perciò la morte del lavoratore che secondo una presunzione legislativa crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti ed i titolari del diritto. 5.- L’errore commesso dalla Corte di merito risiede quindi nella mancata valutazione dell’autonomia delle prestazioni e più precisamente nel non aver dato a tale principio corretta applicazione in quanto il diritto dell’interessato nasce non in funzione di quello riconosciuto al de cuius ma soltanto in forza di quanto previsto dall’art. 85 del testo unico il quale richiede unicamente che il decesso sia avvenuto in dipendenza causale con l’infortunio o la malattia di origine professionale, senza alcun limite temporale diverso da quello relativo ai termini di decadenza e di prescrizione stabiliti rispettivamente dagli artt. 122 e 112 del t.u 6. - Il principio si desume con chiarezza dalla giurisprudenza di questa Corte ed anche dalla sentenza di legittimità richiamata all’interno della pronuncia impugnata Cass. n. 20009/2010 la quale, a proposito della rilevanza in senso sostanziale del periodo massimo delle modificazioni psico-fisiche suscettibili di essere fatte valere e del diritto ad azionarle entro il successivo termine di prescrizione, si riferisce - evidentemente - soltanto al diritto alla rendita del titolare e non a quello degli eredi del lavoratore, cui la legge conferisce iure proprio lo stesso diritto svincolandolo dai suddetti termini e condizioni ai fini della decorrenza della prescrizione sentenza n. 1585 del 21/02/1997 ai fini dell’irrilevanza delle modalità delle prestazioni per infortunio attribuite in vita all’assicurato n. 5289 del 29/05/1999, cui adde Cass. 3069/2002 Cass. 11745/1997 Cass. 10533/1996 Cass. 5398/1994 . 8. - Per i motivi esposti la sentenza impugnata è incorsa nelle violazioni denunciate e deve essere quindi cassata. La causa va rinviata alla stessa Corte d’appello in diversa composizione la quale nella decisione della stessa si atterrà ai principi di diritto sopra individuati circa l’autonomia della prestazione in oggetto. 9. - La Corte d’appello provvederà inoltre sulle spese del giudizio di cassazione. 10. - Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 - quater. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.