Se l’avvocato non versa i contributi

Nessuna disposizione dell'ordinamento forense prescrive che non possa essere accreditata l'annualità nel caso gli importi siano inferiori ad una determinata soglia non c'è, dunque, la regola del cosiddetto minimale per la pensionabilità come per i lavoratori dipendenti.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nella sentenza 30421/19, depositata il 21 novembre. La fattispecie. La Corte d'Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda riconvenzionale con la quale la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense aveva chiesto di dichiarare l'inefficacia, ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia liquidata a un avvocato, degli anni 2000 e 2001, per i quali il pagamento dei contributi non era stato integrale, difettando, in particolare, il contributo minimo e una parte del contributo integrativo, che non potevano essere recuperati in quanto prescritti. Secondo la Corte territoriale, nessuna norma della legge professionale prevede, così come - invece - avviene per i lavoratori dipendenti, che l'annualità non possa essere accreditata ove i versamenti contributivi siano inferiori al dovuto. La Cassa Forense ricorre in Cassazione. Previdenza professionisti non funziona come quella dei dipendenti. La ricorrente fa notare che, dopo il 2005, è stata emanata una norma che prevede l'inefficacia, a fini pensionistici, dell'anno oggetto di omissione contributiva, anche parziale. Chiede, pertanto, alla Cassazione di sollevare questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 2, l. n. 576/1980. La Suprema Corte respinge il ricorso e sostiene che nessuna norma della previdenza forense prevede che la parziale omissione del versamento dei contributi determini la perdita o la riduzione dell'anzianità contributiva e dell'effettività di iscrizione alla Cassa, giacché la normativa prevede solo il pagamento di somme aggiuntive. La pensione si commisura sulla base della contribuzione effettivamente versata si esclude così ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige - invece - per il lavoro dipendente e che è ovviamente inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti, in cui l'iscritto e beneficiario delle prestazioni è anche l'unico soggetto tenuto al pagamento della contribuzione. Così come affermato dalla Corte territoriale, anche la Cassazione ribadisce che, nell'ambito della legge professionale manca una disposizione che ricolleghi alla parziale omissione contributiva, l'annullamento sia di quanto versato, sia dell’intera annualità. Alla luce di quanto detto, il ricorso deve intendersi rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 settembre – 21 novembre 2019, n. 30421 Presidente Manna – Relatore Ghinoy Ritenuto in fatto 1. La Corte d’Appello di Roma, per quello che qui ancora rileva, confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda riconvenzionale con la quale la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense aveva chiesto di dichiarare l’inefficacia ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia liquidata all’avv. D.N.A. degli anni 2000 e 2001, per i quali il pagamento dei contributi non era stato integrale, difettando, in particolare, il contributo minimo e una parte del contributo integrativo, che non potevano essere recuperati in quanto prescritti. 2. La Corte territoriale richiamava l’arresto di questa Corte n. 5672 del 2012, che aveva rilevato che nessuna norma della legge professionale prevede, così come invece avviene per i lavoratori dipendenti, che l’annualità non possa essere accreditata ove i versamenti contributivi siano inferiori al dovuto. 3. Per la cassazione della sentenza la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui D.N.A. non ha opposto attività difensiva. Considerato in diritto 4. A fondamento del ricorso la Cassa deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, 10 e 11. Sostiene che la soluzione sposata dalla Corte territoriale si porrebbe in contrasto con l’art. 2 richiamato, che,là ove prevede che la pensione debba essere corrisposta a coloro che abbiano almeno trent’anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa, farebbe riferimento alla contribuzione integrale, comprendente sia il contributo soggettivo L. n. 576 del 1980, ex art. 10 commisurato al reddito Irpef, sia il contributo integrativo ex art. 11, commisurato al volume d’affari ai fini IVA. 5. Sostiene che l’interpretazione adottata dal giudice di merito violerebbe gli artt. 2, 3 e 38 Cost. in quanto contrasta con i basilari canoni di ragionevolezza ed idoneità allo scopo che devono presiedere all’interpretazione della legge in materia di previdenza e assistenza, cioè nel caso la parità di trattamento tra i vari avvocati iscritti alla Cassa Forense, perché questa evenienza, nel momento in cui va a scapito della Cassa, va a scapito degli altri avvocati, così ledendo il principio di solidarietà. 6. Aggiunge che dopo il 2005 è stata emanata una norma che prevede l’inefficacia a fini pensionistici dell’anno oggetto di omissione contributiva, anche parziale, contenuta nel Regolamento per la costituzione della rendita vitalizia reversibile in caso di parziale omissione di contributi per i quali sia intervenuta la prescrizione deliberato dal Comitato dei delegati del 16.12.2005 e approvato con Delib. Interministeriale 24 luglio 2006, pubblicato in G.U. del 16.8.2006, successivamente modificato in Regolamento per il recupero di anni resi inefficaci a causa di parziale versamento di contributi per i quali sia intervenga la prescrizione deliberato da Comitato dei delegati del 23.9.2011 e approvato con Delib. Interministeriale 27 dicembre 2011. 7. Chiede a questa Corte, nel caso in cui ritenga corretta l’opzione interpretativa adottata dal giudice di merito, di sollevare la questione di legittimità costituzionale della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 2 per violazione dell’art. 2 Cost., art. 3, comma 1 e art. 38 Cost 8. Il ricorso non è fondato. Questa Corte, nella sentenza n. 5672 del 10/04/2012, ha chiarito che nessuna norma della previdenza forense prevede che la parziale omissione del versamento dei contributi determini la perdita o la riduzione dell’anzianità contributiva e dell’effettività di iscrizione alla Cassa, giacché la normativa prevede solo il pagamento di somme aggiuntive. L’unico aggancio normativo reperibile è quello di cui al citato L. 576 del 1980, art. 2 come sostituito dalla L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 1 che prevede che la pensione di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali . . Tuttavia il termine effettivo non può interpretarsi come precettivo del fatto che la contribuzione debba essere integrale , in quanto la comune accezione del termine non fa alcun riferimento ad una misura . L’aggettivazione usata sta invece ad indicare che la pensione si commisura sulla base della contribuzione effettivamente versata, escludendo così ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige invece per il lavoro dipendente e che è ovviamente inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti, in cui l’iscritto e beneficiario delle prestazioni è anche l’unico soggetto tenuto al pagamento della contribuzione. L’obbligo contributivo gravante sul professionista si compone di un contributo soggettivo L. n. 576 del 1980, art. 10 commisurato al reddito Irpef e determinato sulla base di scaglioni di reddito, con una misura minima predeterminata ed un contributo integrativo art. 11 ossia una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA nessuna disposizione della legge professionale prescrive che l’annualità non possa essere accreditata, ove i versamenti siano inferiori ad una determinata soglia, non vi è quindi la regola del c.d. minimale per la pensionabilità, come invece previsto per i lavoratori dipendenti cfr. L. n. 638 del 1983, art. 7 . È pur vero che con questo meccanismo si finisce con il computare sia ai fini della anzianità contributiva prescritta, sia ai fini della misura della pensione, anche gli anni in cui si è versato meno del dovuto e che detto minore versamento potrebbe anche non influire sull’ammontare della prestazione, andando così a scapito della Cassa, dal momento che allo scopo, come si è detto rileva la media dei 10 redditi professionali più elevati di cui alle dichiarazioni dei redditi del quindicennio anteriore alla pensione. Tuttavia sembra questo un effetto ineliminabile della mancanza, nell’ambito della legge professionale, di una disposizione che ricolleghi alla parziale omissione contributiva, l’annullamento sia di quanto versato, sia dell’intera annualità. Tale soluzione, cui occorre dare continuità, è stata poi ribadita da Cass. n. 26962 del 02/12/2013 e da Cass. n. 7621 del 15/04/2015. 9. Non induce a diversa considerazione l’argomento della Cassa per il quale, a seguire la soluzione indicata dalle pronunce richiamate, basterebbe il versamento di un minimo contributo, perché il professionista si veda conteggiato l’intero anno di contribuzione, con conseguenti riflessi negativi sull’intera categoria dei professionisti iscritti, e ciò in aperta contraddizione con la logica della previdenza professionale, improntata a principi solidaristici. Si rileva però in primo luogo che per quanto sopra si è detto sulle modalità di calcolo della pensione, la minore contribuzione versata potrebbe influire sull’ammontare della prestazione. Inoltre, si tratta di un inconveniente dovuto, come già sottolineato nelle predette sentenze, alla mancanza, nell’ambito della legge professionale, di una disposizione che preveda espressamente l’annullamento della contribuzione versata e della relativa annualità in caso di parziale omissione. Esso è comunque frutto di una patologia del sistema, superabile attraverso l’adozione di più rigorosi controlli sulle comunicazioni e sulle dichiarazioni inviate dagli iscritti, al fine di procedere tempestivamente a recupero di quanto dovuto e non versato, in un’ottica di prevalenza dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto a quella dell’esatta corrispondenza, senza limiti di tempo, delle annualità oggetto di contribuzione rispetto a quelle computabili ai fini pensionistici, che pertanto non appare collidere con il principio di uguaglianza, nè ledere il principio di solidarietà che impronta il sistema previdenziale. 10. Non vi è luogo ad esaminare gli effetti del Regolamento per la costituzione della rendita vitalizia reversibile in caso di parziale omissione di contributi per i quali sia intervenuta la prescrizione deliberato dal Comitato dei delegati 16.12.2005 e approvato con Delib. Interministeriale 24 luglio 2006, non risultandone l’applicabilità alla fattispecie ratione temporis, considerato che le previsioni di detto Regolamento non possono che applicarsi alle pensioni liquidate successivamente alla sua entrata in vigore e, nel caso, si legge a pg. 5 del ricorso che la pensione di vecchiaia è stata erogata al ricorrente dal 1.4.2004. 11. Segue coerente il rigetto del ricorso. 12. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata. 13. L’esito del giudizio determina la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ove dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.