Pensione integrativa degli avvocati dipendenti INPS: vale la media triennale degli onorari

In virtù della delibera dell’INPS n. 99 del 30 aprile 1982, la base di calcolo per la pensione integrativa spettante agli ex dipendenti dell’Istituto nel ruolo di avvocati viene determinata sulla base della media degli onorari percepiti nell’ultimo triennio essendo tali onorari assimilabili ai premi di produzione o alla partecipazione agli utili .

Così l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 28441/19, depositata il 5 novembre. Il caso. Alcuni ex dipendenti dell’INPS nel ruolo di avvocati chiedevano all’Istituto la riliquidazione della pensione integrativa loro spettante ai sensi delle previsioni del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dello stesso chiedendo la computazione degli onorari degli ultimi 12 mesi di attività e delle indennità di arricchimento professionale e di autoaggiornamento. Il Tribunale accoglieva la domanda ma la Corte d’Appello riformava parzialmente la decisione affermando che le indennità di arricchimento professionale e di autoaggiornamento costituiscono emolumenti fissi e continuativi rientranti nella nozione di retribuzione utile al computo della pensione integrativa. La computabilità della quota degli onorari dell’ultimo anno veniva invece esclusa a causa della modifica del suddetto Regolamento che, a partire dal 30.4.1982, la ammette solo con riferimento all’importo mensile ottenuto dalla media degli importi erogati nel triennio precedente la cessazione dal servizio o la data della domanda di riscatto. La decisione è stata impugnata con ricorso in cassazione. Base di calcolo della pensione integrativa. Il Collegio afferma che, in continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale ed in virtù della modifica della disciplina regolamentare di cui alla delibera INPS n. 99 del 30.4.1982, la quota onorari viene ammessa nella base di computo della pensione integrativa nel calcolo risultante dal criterio della media triennale. La giurisprudenza amministrativa, in precedenza competente, aveva infatti già riconosciuto la legittimità della soluzione adottata dall’INPS rilevandone la coerenza con la regola generale rinvenibile per analogia nell’art. 2121 c.c. essendo tali onorari assimilabili ai premi di produzione o alla partecipazione agli utili disciplinati dalla norma del codice . Precisa inoltre la pronuncia che la previsione degli artt. 27 e 34 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale dell’INPS, nella parte in cui fa riferimento all’ultima retribuzione spettante al dipendente quale case di calcolo, non esclude che essa possa essere variabile e quindi determinata con criterio logico in base alla media dell’ultimo triennio. Per questi motivi, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 12 settembre – 5 novembre 2019, n. 28441 Presidente Manna – Relatore De Marinis Rilevato - che, con sentenza del 2 maggio 2013, la Corte d’Appello di Roma nel pronunziarsi in sede di gravame avverso la decisione resa dal Tribunale di Roma di accoglimento della domanda proposta da C.P. , Co.Fa. e M.V. , nei confronti dell’INPS, avente ad oggetto la riliquidazione della pensione integrativa loro spettante quali dipendenti dell’Istituto nel ruolo di avvocati ai sensi dell’art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell’Istituto medesimo, adottato con Delib. 12 giugno 1970 e successivamente modificato con Delib. 30 aprile 1982, su una base di computo comprensiva della quota degli onorari maturati nel corso degli ultimi dodici mesi antecedenti al 30.9.1999 nonché delle indennità di arricchimento professionale e di autoaggiornamento, in parziale riforma della predetta decisione, rigettava la pretesa relativa alla computabilità della quota degli onorari - che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto la computabilità delle indennità di arricchimento professionale e di autoaggiornamento risultando queste qualificabili come emolumenti fissi e continuativi rientranti nella nozione di retribuzione utile ai fini del computo della pensione integrativa, in difetto di tempestiva eccezione sul punto e di contestazione dell’erogazione delle stesse in misura fissa da parte dell’INPS e, di contro, di dover escludere la computabilità della quota degli onorari stante la legittimità della modifica della disciplina regolamentare che, a far data dal 30.4.1982, che la ammette solo con riferimento all’importo mensile ottenuto rapportando a mese la media degli importi erogati nel triennio precedente la cessazione dal servizio o la data della domanda di riscatto - che per la cassazione di tale decisione ricorrono gli originari istanti, affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, l’INPS, che, a sua volta, propone ricorso incidentale articolato su un unico motivo, cui hanno resistito con controricorso l’ricorrenti principali. Considerato che, con l’unico motivo, i ricorrenti principali, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 2, dell’accordo collettivo approvato con D.P.R. n. 411 del 1976 e artt. 5 e 27 del Regolamento per il trattamento di previdenza integrativa del personale INPS, deducono l’erroneità dell’orientamento espresso dalla Corte territoriale per cui la pensionabilità degli onorari, conseguente al riconoscimento del carattere fisso e continuativo, è riconducibile alla Delibera modificativa della disciplina regolamentare, implicando l’applicabilità della stessa, che, ai fini del computo della pensione integrativa, considera, non la quota maturata con riguardo alla retribuzione dell’ultimo anno, bensì l’importo mensile risultante dalla parametrazione a mese della media degli importi erogati nel triennio precedente alla cessazione del rapporto, dovendo, al contrario, ritenersi la pensionabilità degli onorari ed il riconoscimento del carattere fisso e continuativo degli stessi derivante direttamente dalle pronunzie rese in epoca antecedente alla predetta modifica regolamentare dal Consiglio di Stato, a partire dalla sentenza n. 120/1980, discendendone l’applicabilità, ai fini della computabilità degli onorari nella base di calcolo della pensione integrativa, della disciplina originaria che attribuisce rilevanza all’importo maturato nell’ultimo anno di retribuzione che, dal canto suo, l’Istituto ricorrente incidentale, con l’unico motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del Regolamento di previdenza e quiescenza INPS, artt. 88, 89 e 90 del CCNL 1994/1997, parte economica biennio 1994/1995, per l’Area della dirigenza e delle specifiche categorie professionali appartenenti al comparto degli Enti pubblici non economici, censura la decisione resa dalla Corte territoriale sotto il profilo dell’erronea qualificazione delle indennità di arricchimento professionale e di autoaggiornamento come aventi carattere fisso e continuativo che l’unico motivo del ricorso principale si rivela infondato, ritenendo il Collegio di dover dare continuità all’orientamento accolto da questa Corte con la sentenza 3775/2012, che riconduce alla modifica della disciplina regolamentare di cui alla Delib. 30 aprile 1982, n. 99, l’ammissibilità dell’inclusione della quota onorari, come calcolata sulla base del criterio della media triennale adottato con la predetta Delibera, nella base di computo della pensione integrativa, allineandosi alla giurisprudenza amministrativa, in precedenza competente, che una volta imposta la regola della computabilità con la decisione n. 120/1980 con le altre che a quella hanno fatto seguito, si è poi espressa nel senso della legittimità della soluzione assunta con la modifica aziendale cfr. Consiglio di Stato, sez VI, 6.11.1997, n. 1607, 10.8.2000, n. 4406, 30.3.2004, n. 1700, e n. 2181/2006 rilevando, per un verso, che il riferimento alla media rapportata a mese delle quote di onorari erogate nell’ultimo triennio precedente la data di cessazione dal servizio risulta coerente con la regola generale rinvenibile per analogia nell’art. 2121 c.c., essendo tali onorari assimilabili ai premi di produzione o alla partecipazioni agli utili disciplinate dalla norma del codice, per altro verso, che il riferimento degli artt. 27 e 34 del Regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale dell’INPS alla ultima retribuzione spettante al dipendente, non esclude affatto che la base di calcolo possa essere variabile e quindi che la quota onorari spettante sia quella individuata, con criterio logico, in base alla media dell’ultimo triennio che, a sua volta, l’unico motivo del ricorso incidentale deve ritenersi inammissibile, risultando la censura mossa del tutto inconferente rispetto alla ratio decidendi su cui la Corte territoriale ha fondato la propria decisione, concernente, da un lato, la tardività dell’eccezione intesa ad escludere il carattere fisso e continuativo delle indennità in questione, per essere le stesse competenze accessorie la cui erogazione è subordinata alla ricorrenza di specifici requisiti, dall’altro, il difetto di contestazione della circostanza dedotta dagli originari istanti per cui quelle indennità erano state costantemente corrisposte in misura fissa che, pertanto, il ricorso principale va rigettato ed il ricorso incidentale dichiarato inammissibile, con conseguente compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali e incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.