I documenti da assumere per provare la provvisorietà della liquidazione dell’indebito previdenziale

Il giudice, sin dal primo grado di giudizio e quindi anche in appello, deve esercitare il proprio potere/dovere di integrazione probatoria ex officio con l’acquisizione dei documenti offerti contestualmente con l’atto di impugnazione sulla base dell’allegazione già effettuata nella memoria di primo grado, qualora essa sia indispensabile per provare il carattere provvisorio della liquidazione del trattamento pensionistico ritenuto in parte indebito .

Questo è il principio affermato dalla Suprema Corte, nella sentenza n. 28439/19, depositata il 5 novembre. A seguito della domanda attorea di una ex lavoratrice circa l’accertamento sulla infondatezza della pretesa dell’INPS di restituzione di un indebito previdenziale, il Tribunale accoglieva la richiesta ritenendo che la pensione non poteva essere considerata liquidata in via provvisoria poiché l’Istituto aveva chiesto tardivamente di provare che la relativa comunicazione a mezzo raccomandata a.r. era stata ricevuta successivamente. La Corte d’Appello, adita dall’INPS, rigetta il suo gravame e avverso tale decisione l’Istituto ricorre in Cassazione, sostenendo che la Corte territoriale non abbia ammesso la prova documentale offerta attraverso il deposito della nota proveniente dall’INPS, con cui veniva comunicata alla pensionata la natura provvisoria della liquidazione della pensione. L’assunzione dei documenti. Come già affermato dai Giudici di legittimità, il deposito di documenti prove in un momento successivo al deposito della memoria di costituzione, come avvenuto nel caso in esame in cui la produzione della raccomandata è avvenuta solo in occasione dell’introduzione del giudizio di appello , è ammesso quando la produzione abbia ad oggetto circostanze decisive. Nel rito del lavoro, poi, qualora il convenuto intenda avvalersi di documenti come mezzi di prova, deve contestualmente depositarli nell’atto introduttivo del giudizio, poiché l’omesso deposito degli stessi in tale fase determina la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione. E con riferimento poi al potere del giudice di ammissione dei mezzi di prova, bisogna attenersi al principio enunciato dalla S.C. ai sensi dell’art. 384 c.p.c. secondo cui, il giudice, sin dal primo grado di giudizio e quindi anche in appello, deve esercitare il proprio potere/dovere di integrazione probatoria ex officio con l’acquisizione dei documenti offerti contestualmente con l’atto di impugnazione sulla base dell’allegazione già effettuata nella memoria di primo grado, qualora essa sia indispensabile per provare il carattere provvisorio della liquidazione della pensione ritenuta in parte indebita. Nel caso in esame, si considera dunque ammissibile la produzione documentale relativa all’invio e al ricevimento della raccomandata a.r e alla luce di ciò, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale che provvederà a nuovo esame, rifacendosi al prima menzionato principio di diritto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 settembre – 5 novembre 2019, n. 28439 Presidente Manna – Relatore Calafiore Fatti di causa 1. Con ricorso al Tribunale giudice del lavoro di Torino, G.L. ha esposto che il 18 marzo 2002 l’INPS le aveva comunicato l’accoglimento della domanda di pensione di anzianità, liquidata presso l’ex Fondo telefonici, con decorrenza dal 1.1.2002 il 27 agosto 2002 la prestazione le era stata confermata ed il successivo 12 aprile 2005 le era stata inviata una comunicazione di riliquidazione con ricalcolo dall’1.1.2002, con riconoscimento di un importo a credito della pensionata pari ad Euro 6950,58. Il successivo 26 marzo 2012, l’INPS aveva comunicato una ulteriore riliquidazione della pensione, per trasformazione da provvisoria a definitiva per il periodo compreso tra il 1.3.2002 ed il 30 aprile 2012, con importo a debito della pensionata pari ad Euro 71.409,77. Il trattamento liquidato, ad avviso della G. , non era stato in precedenza indicato come provvisorio, nonostante l’Inps avrebbe dovuto esplicitare tale natura, in applicazione della Circolare INPS 11/1990, precisando i motivi che avevano impedito la liquidazione definitiva pertanto, la pensione doveva considerarsi definitiva con possibilità di soli ricalcoli annuali, in base ad eventuali variazioni di reddito e senza possibilità di considerare indebita l’erogazione. Peraltro, il provvedimento di riliquidazione era privo di reale e comprensibile motivazione e, dunque, viziato ai sensi della L. n. 241 del 1990 e comunque era ormai prescritto il diritto dell’Istituto a riliquidare il trattamento pensionistico decorrente dal 1.1.2002 da ultimo, l’affermato indebito non sarebbe stato ripetibile in considerazione della sanatoria prevista dalla L. n. 412 del 1991, art. 13. Ha chiesto quindi accertarsi l’infondatezza della pretesa dell’INPS di restituzione dell’indebito. 2. Il Tribunale ha accolto la domanda, ritenendo che la pensione non potesse considerarsi liquidata in via provvisoria in quanto l’Inps aveva chiesto tardivamente di provare che la relativa comunicazione a mezzo raccomandata a.r. era stata ricevuta il 16 maggio 2002 la sentenza è stata impugnata dall’INPS e la Corte d’appello di Torino ha rigettato l’appello confermando la motivazione del primo giudice. 3. Avverso tale sentenza ricorre l’Inps sulla base di un motivo. Resiste G.L. con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2 e dell’art. 421 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 2, comma 1 n. 4 in particolare, il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia ammesso la prova documentale offerta attraverso il deposito della nota datata 2 maggio 2002, proveniente dall’INPS, e con la quale veniva comunicata alla pensionata la natura provvisoria della liquidazione del trattamento pensionistico, con la conseguenza che su tale liquidazione non poteva sorgere alcun legittimo affidamento. Ciò pur trattandosi di accertamento centrale per l’esito del giudizio e nonostante che l’Istituto avesse chiesto al Tribunale di essere autorizzato alla produzione, poi effettuata unitamente al deposito del ricorso in appello. 2. Il motivo è fondato. È utile premettere che il trattamento pensionistico erogato a G.L. è stato liquidato dalli ex Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia che era stato istituito in applicazione della L. 30 settembre 1920, n. 1405, art. 7, poi trasformato in gestione presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale, ai sensi della L. 4 dicembre 1956, n. 1450, ed infine soppresso dal 1 gennaio 2000 in applicazione della L. 27 dicembre 1999, n. 488, art. 41, comma 1 i titolari di posizioni assicurative e di trattamenti pensionistici legati a tale fondo sono stati iscritti, a partire da quella data, al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti FPLD . Dal 1 gennaio 1997, le norme che regolano il calcolo della quota di pensione, la retribuzione pensionabile e l’accredito della contribuzione, sono state uniformate a quelle in vigore nel FPLD. 3. Peraltro, ai lavoratori che, come la odierna contro ricorrente, a quella data erano già iscritti al soppresso Fondo telefonici continuano ad applicarsi le regole previste dalla normativa vigente presso il predetto soppresso Fondo. 4. Da ciò discende che, nel caso di specie, trovando applicazione le regole comuni di liquidazione del trattamento pensionistico nelle gestioni private, assume rilievo centrale la qualificazione del trattamento erogato in modo erroneo in termini di trattamento pensionistico provvisorio e non già definitivo. 5. In particolare, come questa Corte di cassazione ha già chiarito Cass. n. 2494 del 1 febbraio 2013 , qualora il trattamento erogato sia stato espressamente indicato come provvisorio , si tratta di una prima liquidazione, cui deve seguire il provvedimento definitivo con a consequenziale inapplicabilità della L. n. 412 del 1991, art. 13, che, fornendo l’interpretazione autentica della L. n. 88 del 1989, art. 52, dispone che la sanatoria, ossia la irripetibilità dell’indebito, si applica solo per le somme corrisposte in base a formale e definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all’interessato . Detta disposizione non opera quindi per i provvedimenti di liquidazione espressamente indicati come provvisori . 6. Ne consegue che, in presenza di liquidazione provvisoria, non opera neppure il termine entro il quale l’Istituto è onerato della verifica e della correzione. 7. Ciò premesso, è evidente che i parametri di corretta applicazione dei poteri officiosi di cui all’art. 421 c.p.c., a cui sostanzialmente si rifà il motivo di ricorso, posto che la sentenza impugnata ha condiviso la decisione del primo giudice di non consentire la produzione del documento sopra citato, vanno individuati considerando che i medesimi devono essere finalizzati a consentire l’accertamento di tale fatto, pacificamente allegato dall’Inps sin dalla costituzione nel primo grado del giudizio. L’effettivo invio della raccomandata del 2 maggio 2002, che si assume sia stata ricevuta dalla G. il successivo 16 maggio 2002, dunque, non è il fatto primario, che deve essere stato ritualmente allegato, ma una circostanza idonea a provare che il trattamento erogato era stato qualificato dall’Istituto espressamente come provvisorio. 8. Nello specifico, invece, come è incontroverso, la produzione della raccomandata in questione, solo indicata nella relazione interna depositata all’atto della costituzione in primo grado, è avvenuta in occasione della introduzione del giudizio di appello. 9. La circostanza che detta produzione sia intervenuta successivamente al deposito della memoria di costituzione in primo grado, non costituisce elemento ostativo alla sua ammissibilità da parte dei giudici del gravame. 10. Come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 20/4/2005 n. 8202 cui hanno fatto seguito numerose altre decisioni fra le quali, più di recente, Cass. 6/10/2016 n. 20055 e Cass. 16/05/2018, n. 11994 , il deposito di documenti in momento successivo al deposito della memoria di costituzione è ammesso quando la produzione abbia ad oggetto circostanze decisive. 11. Nel rito del lavoro, infatti, in base al combinato disposto dell’art. 416 c.p.c., comma 3 - che stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare onere probatorio gravante anche sull’attore per il principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 1977 -, e dell’art. 437 c.p.c., comma 2, consegue che l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione. Tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento - ispirato alla esigenza della ricerca della verità materiale , cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento - nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa. Poteri questi, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse. 12. Nell’ottica descritta va segnalato altresì l’orientamento espresso da questa Corte sulla questione della ammissibilità dei mezzi istruttori in appello e sulla definizione della nozione di indispensabilità della prova vedi Cass. S.U. 4/5/2017 n. 10790 che ampiamente riprende e conferma i principi già affermati nel noto arresto di Cass. S.U. n. 8202/05, pervenendo alla conclusione che il giudizio di indispensabilità implica una valutazione sull’idoneità del mezzo istruttorio a dissipare un perdurante stato di incertezza sui fatti controversi smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio. 13. Alla stregua delle superiori argomentazioni, l’attività processuale posta in essere dalla parte appellante nel giudizio di gravame, deve ritenersi esente da censure, ed ammissibile la produzione documentale concernente l’invio ed il ricevimento della raccomandata. 14. Per concludere dunque la Corte distrettuale, in applicazione delle argomentazioni sinora svolte, deve fare applicazione del principio di diritto, enunciato ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, nei seguenti termini il giudice, fin dal primo grado e dunque anche in appello, deve esercitare il proprio potere-dovere di integrazione probatoria ex officio con l’acquisizione della documentazione offerta contestualmente con l’atto di impugnazione sulla base di allegazione effettuata già nella memoria di primo grado, laddove tale documentazione sia indispensabile per provare il carattere provvisorio della liquidazione del trattamento pensionistico ritenuto in parte indebito . 15. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte d’Appello designata in dispositivo che provvederà allo scrutinio della fattispecie considerata, facendo applicazione del summenzionato principio e provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’appello di Torino in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.