La rinuncia al ricorso per cassazione produce l’estinzione del processo senza la previa accettazione delle parti

La rinuncia al ricorso per cassazione, disciplinata dall’art. 390 c.p.c., produce l’estinzione del processo senza che occorra l’accettazione delle parti a tal fine, determinando il passaggio in giudicato della pronuncia impugnata ed il conseguente venir meno dell’interesse a contrastare il gravame.

Così si esprime la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18886/19, depositata il 15 luglio. I fatti. Pronunciandosi sui gravami proposti contro la decisione del Tribunale di Roma, la Corte d’Appello dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato alla lavoratrice dalla società presso cui era occupata, con conseguente reintegrazione della stessa nel posto di lavoro e riconoscimento del risarcimento del danno da lei subito. Contro tale pronuncia, la società propone ricorso per cassazione, a cui resiste, mediante la proposizione di ricorso incidentale, la dipendente. La rinuncia al ricorso. La Suprema Corte rileva in via preliminare l’incidenza delle reciproche rinunce al ricorso ai fini dell’esito del giudizio, ribadendo l’intenzione del legislatore di incentivare tale strumento assumendolo quale manifestazione di volontà prevalente rispetto ad altre forme decisionali. A tal proposito, la Corte afferma che nel giudizio di cassazione, la rinuncia al ricorso, da farsi mediante atto sottoscritto dalla parte e dal suo difensore ovvero solo da quest’ultimo se munito di procura speciale a tal fine e da notificarsi nelle forme previste dalla legge, produce effetti a prescindere dall’accettazione delle altre parti, che non è richiesta dall’art. 390 c.p.c Dunque, la rinuncia produce l’estinzione del processo senza alcuna accettazione, avendo essa natura di atto unilaterale recettizio, determinando il passaggio in giudicato del provvedimento impugnato ed il conseguente venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione. Ciò considerato, il giudizio de quo deve essere estinto, tenendo conto del fatto che le parti sono giunte ad una soluzione stragiudiziale della lite. Per questo motivo, gli Ermellini dichiarano estinto il processo e compensano le spese di giudizio tra le parti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 aprile – 15 luglio 2019, n. 18886 Presidente Nobile – Relatore Cinque Fatti di causa 1. Con la sentenza n. 3140 del 2017 la Corte di appello di Roma, pronunciando sui gravami hic et inde proposti avverso la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa città in data 3.3.2014, ha dichiarato la illegittimità del licenziamento disciplinare intimato il 25.1.2012 dalla Nova spa nei confronti di U.F. , con reintegra del dipendente nel posto di lavoro e con il riconoscimento del danno quantificato nella misura pari a tutte le retribuzioni globali di fatto dal recesso fino alla reintegra, oltre accessori e regolarizzazione contributiva ed assistenziale ha dichiarato, poi, che nessuna differenza a titolo di TFR era dovuta al lavoratore che veniva condannato a restituire alla società la somma di Euro 1.460,43 riconosciuta a tale titolo in primo grado. 2. Il licenziamento era stato adottato per la contestata illegittima appropriazione di Euro 39.450,00 circa dagli introiti del negozio Euronics di via omissis , ove l’U. prestava servizio nonché per essere stato denunciato dal dipendente un furto, per Euro 5.000,00, che la società assumeva non essere stato mai commesso. 3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la Nova spa affidato a tre motivi. 4. Ha resistito con controricorso, formulando a sua volta ricorso incidentale sulla base di tre motivi U.F. . 5. Le parti hanno rispettivamente depositato atti di rinunzia reciproci. Ragioni della decisione 1. I motivi possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo del ricorso principale la società denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, 420, 435 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c. e alla L. n. 300 del 1970, art. 18, nonché l’ultra petizione e la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essersi erroneamente la Corte territoriale pronunciata sull’accertamento della legittimità del recesso quando, invece, l’impugnazione giudiziale dello U. era stata circoscritta al solo profilo dell’illegittimità del recesso per essere stato intimato nel corso del periodo di malattia, tanto è che aveva concluso per il ripristino del preesistente rapporto di lavoro subordinato. 3. Con il secondo motivo si censura l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel non avere erroneamente considerato la Corte di merito che la lesione del vincolo fiduciario, sfociata nel licenziamento, era conseguita espressamente anche per la violazione del dovere di diligenza in relazione a tutti gli altri fatti contestati e non solo, quindi, per l’ammanco di cassa. 4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4, per non avere valutato la Corte di appello che gli elementi, che avevano portato all’assoluzione per insufficienza di prove dell’U. dalla imputazione penale, comunque rappresentavano indizi gravi, precisi e concordanti per ritenere dimostrati i fatti contestati nell’ambito del giudizio civile. 5. Con il primo motivo del ricorso incidentale U.F. chiede la cassazione della sentenza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2103 c.c. e artt. 115, 116 e 229 c.p.c., per avere i giudici del merito, erroneamente valutando le risultanze probatorie, respinto la domanda di riconoscimento di mansioni superiori senza avere, altresì, considerato che la querela depositata dal legale rappresentante della società, con cui si riconosceva la qualifica di Direttore di Negozio - Responsabile del negozio stesso allo U. , costituiva confessione stragiudiziale sul punto. 6. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa valutazione della attribuzione di Direttore del Punto Vendita della società, espressamente riconosciutagli negli atti di natura penale, ritualmente acquisiti nel corso del giudizio civile. 7. Con il terzo motivo si duole l’U. della violazione e falsa applicazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3, degli artt. 1362, 1363 e 1365 c.c. e art. 36 Cost., per non avere erroneamente ritenuto la Corte di appello che l’originario ricorrente, sulla base delle declaratorie contrattuali di settore, avesse diritto al superiore inquadramento dal maggio 2008. 8. In via preliminare, con riguardo all’esito del presente giudizio, deve essere rilevata la incidenza delle reciproche rinunce, in quanto il legislatore di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, inequivocamente volto al rafforzamento della funzione nomofilattica della corte di legittimità, a sua volta agevolata da una definizione del giudizio di cassazione alternativa alla decisione, e dalla nuova formulazione dell’art. 391 c.p.c., comma 2, per il quale il ricorrente può e non più deve essere condannato alle spese, ha avallato l’ipotesi che si sia voluto dar luogo ad una sorta di incentivazione della rinuncia, che prevale quale manifestazione della volontà abdicativa rispetto ad altre forme decisionali in termini Cass. 26.7.2008 n. 19154 Cass. 7.11.2008 n. 26850 Cass. 28.12.2009 n. 27425 . 9. La fattispecie in esame, in relazione al suddetto profilo, è disciplinata dall’art. 390 c.p.c., nella formulazione vigente, applicabile, ai sensi del D.L. n. 69 del 2013, art. 75, comma 2, ai giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso decreto legge L. n. 9 agosto 2013, n. 98, entrata in vigore il 21.8.2013 . Ai sensi della citata disposizione, la rinuncia deve farsi con atto sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato o anche da questo solo se è munito di mandato speciale a tale effetto. L’atto di rinuncia è notificato alle parti costituite o comunicato agli avvocati delle stesse che vi appongono il visto. Nel giudizio di cassazione, diversamente da quanto previsto dall’art. 306 c.p.c., la rinuncia al ricorso è produttiva di effetti a prescindere dalla accettazione delle altre parti, che non è richiesta dall’art. 390 c.p.c La rinuncia al ricorso per cassazione, essendo atto unilaterale recettizio, produce quindi l’estinzione del processo, senza che occorra l’accettazione, perché determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata e comporta il conseguente venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione Cass. Sez. Un. 1923/1990 Cass. n. 4446/1986 Cass. n. 23840/2008 l’accettazione rileva solo ai fini delle spese Cass. n. 17187/2014 . 10. Nel caso de quo, pertanto, va dichiarata l’estinzione del giudizio. 11. Ricorrono le condizioni di cui all’art. 92 c.p.c., vigente ratione temporis, per compensare le spese processuali, in considerazione del comportamento delle parti che sono giunte ad una soluzione stragiudiziale della controversia e della richiesta in tali sensi formulata dalle stesse nei rispettivi atti di rinuncia. 12. In tema di impugnazioni, la declaratoria di estinzione del giudizio esclude la applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione Cass. 30.9.2015 n. 19560 . P.Q.M. La Corte dichiara estinto il processo e compensa tra le parti le spese di giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.