Bulimica, si rivolge a una clinica svizzera che è un bluff: niente rimborso delle spese

Respinta la richiesta di una donna. Negata anche la possibilità di un risarcimento per la mancanza di informazioni adeguate, da parte dell’Azienda sanitaria, sui centri specialistici presenti in Italia per la cura della sua patologia. Ciò che conta è che la richiedente abbia deciso liberamente di recarsi all’estero e abbia scelto liberamente la casa di cura in terra elvetica.

Ha deciso di andare all’estero, in Svizzera, per provare a sconfiggere l’incubo della bulimia. Ha scelto, però, una struttura rivelatasi assolutamente inadeguata, carente cioè sul fronte del personale, su quello delle competenze e, infine, su quelle delle procedure medico-sanitarie. E ora Cristina – nome di fantasia – deve subire non solo il danno del tempo perduto ma anche la beffa del mancato rimborso, da parte della Sanità italiana, delle spese sostenute durante il periodo in terra elvetica. Impossibile, infine, secondo i Giudici, anche la pretesa risarcitoria da lei avanzata verso l’Azienda sanitaria di riferimento per non averle fornito un elenco di ‘Centri’ italiani per la cura della bulimia decisiva la constatazione che Cristina ha scelto liberamente di recarsi in Svizzera e di rivolgersi a una struttura inidonea Cassazione, sentenza n. 17780, sez. Lavoro, depositata oggi . Struttura. Concordi i Giudici di merito nel ritenere priva di fondamento la richiesta della donna di vedersi rimborsate dall’Azienda sanitaria le spese sostenute all’estero, presso una casa di cura in Svizzera, per curare la bulimia accompagnata da disturbi psicopatologici da cui era affetta . In particolare, in secondo grado viene evidenziato che non solo non vi è prova che quello prescelto da Cristina fosse effettivamente un centro di altissima specializzazione ma anzi è certo che la struttura a cui ella si era rivolta costituiva lo strumento di commissione di gravi reati , e difatti è stata chiusa dalla magistratura. Per quanto concerne poi il presunto comportamento illecito dell’Azienda sanitaria che, accusa Cristina, aveva omesso ogni informazione in ordine ai centri di cura italiani per la patologia da cui era affetta , i giudici ribattono che ciò che conta è il fatto che ella abbia compiuto la scelta volontaria di recarsi in una casa di cura elvetica non qualificabile come di altissima specializzazione . Scelta. Inutile si rivela il ricorso proposto dall’avvocato di Cristina, ricorso finalizzato a porre in evidenza l’inadempimento dell’Azienda sanitaria. Su questo fronte viene evidenziato dal legale che se ci fosse stata l’indicazione dei centri presenti in Italia per la cura della bulimia , allora non si sarebbe concretizzato il danno corrispondente al valore economico del rimborso per le spese sanitarie sostenute – e documentate – all’estero da Cristina. Irrilevante, secondo i Giudici della Cassazione, anche il richiamo a precedenti autorizzazioni dell’Azienda sanitaria in riferimento alla casa di cura elvetica a cui si è rivolta la donna. Ciò che conta è che la paziente abbia deciso liberamente di recarsi all’estero per affrontare la propria patologia e abbia scelto in autonomia la struttura a cui affidarsi per risolvere il proprio problema. E proprio per questo non vi sono i presupposti, osservano i magistrati, per parlare di risarcimento del danno per l’omessa informazione, da parte dell’Azienda sanitaria, sui centri di specializzazione in Italia per la cura della bulimia .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 aprile – 3 luglio 2019, numero 17780 Presidente Manna – Relatore Mancino Fatti di causa 1. La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 16 settembre 2013, ha respinto l'appello proposto da Er. Si., nei confronti dell'AUSL Roma C, avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda per il rimborso delle spese sostenute all'estero, presso la Casa di Cura Sana Vita di Breganzona Lugano , per curare la bulimia accompagnata da disturbi psicopatologici da cui era affetta. 2. Per la Corte di merito non era stato assolto l'onere di dimostrare che quello prescelto all'estero fosse effettivamente un centro di altissima specializzazione ed era stata anzi raggiunta la prova contraria, ossia che la predetta struttura costituiva lo strumento di commissione di gravi reati quanto al danno patrimoniale, il nesso causale fra il comportamento illecito dell'azienda sanitaria che aveva omesso ogni informazione in ordine ai centri di cura italiani della patologia da cui era affetta era stato interrotto dalla scelta volontaria di recarsi nella casa di cura elvetica non qualificabile come di altissima specializzazione quanto al danno non patrimoniale, non vi era alcuna deduzione e prova del danno verificatosi nella sfera giuridica della Er 3. Avverso tale sentenza ricorre Er. Si., con ricorso affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, la AUSL Roma C. 4. In prossimità dell'udienza si è costituito il nuovo difensore per la ricorrente si è costituita, inoltre, l'AUSL Roma 2 successore della estinta AUSL Roma C. Ragioni della decisione 5. Con i motivi di ricorso la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e violazione degli artt. 3 e 7 legge numero 241 del 1990, dell'articolo 3, comma 5, legge numero 595 del 1985, del D.M. 3 novembre 1989, e degli artt. 3 e 27 Cost., 2697 cod.civ., 442, 420, 421,115 cod.proc.civ. 6. In sintesi, la ricorrente assume che la dimostrazione della sussistenza o meno del carattere di altissima specializzazione della Casa di Cura elevatica spettasse esclusivamente all'azienda sanitaria, limitatasi, invece, a fornire una mera presunzione di non sussistenza della predetta connotazione, e di avere assolto tutti gli oneri richiesti dal decreto ministeriale per il rimborso delle spese mediche. 7. La ricorrente rimarca l'estraneità delle vicende giudiziarie del titolare della Casa di cura in merito alla dimostrazione della qualificazione di clinica di alta specializzazione e rileva che l'obbligo informativo dell'azienda sanitaria, se assolto correttamente con indicazione dei centri presenti in Italia per la cura della patologia della quale era affetta, non avrebbe ingenerato il danno corrispondente al valore economico del rimborso per le spese sanitarie sostenute e documentate. 8. Il ricorso è da rigettare. 9. Il vizio contemplato dal nuovo testo del numero 5 dell'articolo 360 cod.proc.civ., rende censurabile in cassazione il solo omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia v. Cass. Sez.U. numero 8053 del 2014 . 10. Il fatto storico, allegato ed incluso nel thema decidendum o nel thema probandum, non va pertanto confuso con i singoli aspetti della complessiva ricostruzione fattuale, idonei a inclinare in un senso piuttosto che in un altro la valutazione del medesimo fatto controverso, ma ritenuti dal giudice recessivi rispetto ad altre emergenze. 11. In tal caso non si configura un omesso esame del tema storico, ma solo un apprezzamento di merito non conforme alle aspettative della parte ricorrente, apprezzamento che, del resto, era insindacabile anche a tenore del vecchio testo dell'articolo 360, numero 5 cod.proc.civ. 12. Risulta, pertanto, fermo e non scalfito l'accertamento di fatto contenuto nella sentenza impugnata, giacché gli elementi probanti evocati dalla ricorrente a giustificazione del diritto vantato sono stati valutati dalla Corte di merito e non già omessi. 13. Peraltro il rilievo di precedenti autorizzazioni dell'azienda sanitaria in riferimento alla Casa di cura elvetica non assume carattere decisivo posto che nella motivazione della sentenza impugnata non vi è alcun riferimento in proposito e, se mai, la predetta circostanza avrebbe potuto fondare una domanda risarcitoria non svolta nella specie. 14. Anche la censura per violazione di legge si risolve in una critica alla ricostruzione fattuale che esula, come tale, dal paradigma della violazione di legge che consiste, invero, nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa. 15. L'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è invece esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ex aliis Cass. 16 luglio 2010 numero 16698 Cass. 26 marzo 2010 numero 7394 . 16. Nella specie è evidente che la ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione dell'asserita carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un'erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge ossia un problema interpretativo riconducibile all'articolo 360, comma 1, numero 3, cod.proc.civ. bensì un vizio-motivo da valutare alla stregua del novellato articolo 360, comma 1, numero 5, cod.proc.civ. che, come già detto, nella versione ratione temporis applicabile - è circoscritto all'omesso esame di un fatto storico decisivo, riducendo al minimo costituzionale il sindacato di legittimità sulla motivazione Cass. Sez. U. numero 8053 del 2014 cit. . 17. Infine, quanto alla domanda di risarcimento del danno, asseritamente patito per omessa informazione, da parte dell'azienda sanitaria, dei centri di specializzazione in Italia per la cura della patologia da cui la ricorrente era affetta, non risulta in alcun modo allegato il fatto ingiusto a fondamento della tutela risarcitoria pretesa a fronte della libera scelta di recarsi all'estero presso un Centro di cura non qualificabile come centro di altissima specializzazione e costituente, anzi, vera e propria struttura organizzata dal titolare per la commissione e protrazione di gravi reati per i quali era stato accusato dall'autorità giudiziaria elvetica, come statuito in motivazione dalla Corte di merito che, peraltro, ha rimarcato che neanche era stata contestata l'affermazione dell'azienda sanitaria in ordine alla chiusura della Casa di cura elvetica per i gravi capi di imputazione a carico del proprietario. 18. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 19. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, D.P.R.numero 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex articolo 13,comma 1-bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13,comma 1-quater, D.P.R. numero 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex articolo 13,comma 1-bis.