Pensioni estere: quando si ha diritto all’aumento?

Il superamento del trattamento pensionistico minimo non dipende semplicemente dal riconoscimento dell’aumento previsto per i trattamenti pensionistici per le attività svolte all'estero e per i residenti all'estero, ma deve essere valutato in concreto. In quest’ottica, si deve avere riguardo alla pensione a calcolo, così come richiede la norma, a cui deve sommarsi il beneficio, salvo – se non viene raggiunto, pur con il riconoscimento di detto beneficio, il trattamento minimo in precedenza goduto - continuare ad applicare in tutto o in parte l'integrazione al minimo.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nell’ordinanza 16827/19, depositata il 24 giugno. La fattispecie. Un uomo, titolare di pensione estera, conveniva in giudizio l’INPS per aver – a suo dire – illegittimamente ridotto tale pensione. Chiedeva, pertanto, che l’istituto fosse condannato al ripristino dell’importo originario. La Corte d’Appello di Lecce rigettava la domanda. L’uomo ricorre in Cassazione. Pensioni estere come devono essere integrate? La questione che si pone è se la pensione goduta dal ricorrente sia o meno integrata al minimo a seguito dell'applicazione dei benefici di cui all'art 4 l. n. 140/1985 e conseguentemente se debba o mene trovare applicazione l'art. 7 l. n. 407/1990, relativo ai trattamenti pensionistici per le attività svolte all'estero e per i residenti all'estero. Secondo quest’ultima norma, gli aumenti si applicano sull’importo della pensione mensile non integrata al trattamento minimo . Essa mira a aumentare le prestazioni di quei lavoratori che, pur potendo far valere una consistente anzianità assicurativa, oltre 780 contributi settimanali, si trovavano tuttavia in godimento di una pensione di modesto ammontare, addirittura inferiore al minimo e, quindi, alla necessità della integrazione. Pensioni estere l’integrazione è effettiva? Va, altresì, precisato che, applicando gli aumenti sull'importo a calcolo come espressamente previsto dalla norma, parrebbe che la pensione rimanga sempre dello stesso ammontare in quanto l’aumento sarebbe assorbito” dalla integrazione al minimo. Così non è perché l'aumento effettivo della pensione disposto dalla norma in esame dipende da quale è la sua misura a calcolo e nei casi in cui la maggiorazione concessa dalla legge è superiore alla parte della integrazione al minimo applicata, la pensione che l'interessato riceve verrà realmente aumentata. Pensioni estere come devono essere considerate per l’integrazione? Nella fattispecie in esame non emerge dalla sentenza se la Corte d'Appello abbia accertato o meno il superamento del trattamento minimo in virtù dell'applicazione del beneficio in esame. Tale superamento, come spiegato, non dipende semplicemente dal riconoscimento del citato beneficio che, secondo il ricorrente, dovrebbe aggiungersi all'integrazione già percepita , ma deve essere valutato in concreto. In quest’ottica, si deve avere riguardo alla pensione a calcolo del ricorrente, così come richiede la norma, a cui deve sommarsi il beneficio, salvo – se non viene raggiunto, pur con il riconoscimento di detto beneficio, il trattamento minimo in precedenza goduto - continuare ad applicare in tutto o in parte l'integrazione al minimo. In sostanza qualora la somma del suddetto trattamento base e dell'importo spettante in base alla norma citata sia inferiore alla pensione integrata già in godimento, deve essere mantenuto tale trattamento senza operare alcun miglioramento, con ogni conseguenza circa l'applicazione dell'art. 7 l. n 407/1990. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 20 febbraio – 24 giugno 2019, n. 16827 Presidente Manna – Relatore D’Antonio Considerato in fatto 1. I.A. , titolare di pensione cat IOS con decorrenza 1/9/1975, ottenuta con il cumulo dei contributi esteri e con anzianità contributiva superiore a 781 settimana, esponeva che con l’applicazione dei benefici di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 4 la pensione doveva essere considerata superiore al minimo e che l’Inps l’aveva illegittimamente ridotta a L. 147.366 a decorrere dall’1/2/1991. Conveniva, pertanto, l’Inps davanti al Tribunale di Lecce al fine di ottenere la condanna dell’Istituto al ripristino della pensione a decorrere dall’1/2/1991 nell’importo originario di L. 570.791 in quanto prestazione superiore al trattamento minimo. 2. Il Tribunale ha accolto la domanda e la Corte d’appello di Lecce, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda. Ha rilevato, infatti, che l’I. , come risultante dalla CTU, solo nel 1993 era divenuto titolare anche di pensione estera, mentre fino al 1/1/1985 la sua pensione a calcolo risultava inferiore al trattamento minimo raggiungendo tale minimo solo in virtù degli aumenti L. n. 140 del 1985, ex art. 4. 3. Avverso la sentenza ricorre l’I. con due motivi. L’Inps ha rilasciato delega in calce al ricorso notificato. Ritenuto in diritto 4. Il ricorrente denuncia violazione dell’art. 4 L. n. 140 del 1985, dell’art. 6, commi 5 e 6, del D.L. n. 463 del 1983 conv in L. n. 638 del 1983 e della L. n. 407 del 1990, art. 7. Osserva che l’Inps a decorrere dal 1/1/85 aveva corrisposto i benefici L. n. 140 del 1985, ex art. 4 che in tal modo il trattamento pensionistico goduto era superiore al trattamento minimo e che l’Inps con l’entrata in vigore della L. n. 407 del 1990, art. 7 aveva applicato alla pensione le limitazioni previste da detta norma sebbene la pensione fosse superiore al minimo, in virtù degli aumenti L. n. 140 del 1985, ex art. 4. Con il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatte decisivo oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., n. 5 per non aver esaminato le specifiche critiche mosse alla CTU che non aveva valutato la legittimità del provvedimento dell’Inps di revoca dell’integrazione al minimo a partire dal gennaio 1993, data di decorrenza del pro rata svizzero. 5. Il primo motivo è fondato nei limiti di seguito precisati. La questione che si pone è se la pensione goduta dal ricorrente sia o meno integrata al minimo a seguito dell’applicazione dei benefici di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 4 e conseguentemente se debba o meno trovare applicazione la L. n. 407 del 1990, art. 7. La L. n. 140 del 1985, art. 4 Miglioramenti per le pensioni acquisite con più di 780 contributi settimanali stabilisce al comma 1 che Con effetto dal 1 gennaio 1985, le pensioni con decorrenza anteriore al 1 gennaio 1984, integrate al trattamento minimo ai sensi del D.L. n. 463 del 1983, art. 6, convertito, con modificazioni, nella L. n. 638 del 1983, aventi titolo alla maggiorazione di cui al D.L. n. 663 del 1979, art. 14-quater, commi 3 e 4, convertito, con modificazioni, nella L. n. 33 del 1980, e successive modificazioni ed integrazioni, sono aumentate mensilmente come segue Il comma 3 della norma citata stabilisce poi che 3. Gli aumenti di cui al comma 1 si applicano sull’importo della pensione mensile non integrata al trattamento minimo, spettante al 31 dicembre 1984, secondo i criteri di determinazione di cui al D.L. n. 463 del 1983, art. 6, comma 6, convertito, con modificazioni, nella L. n. 638 del 1983, e per le pensioni ai superstiti sono ridotti in proporzione alle aliquote di riversibilità. 6. Come già affermato da questa Corte cfr Cass. n. 12116/2009 ed anche 14681/1999 nonché Cass. n. 10375/2015 la L. n. 140 del 1985 art. 4, comma 3, prevede chiaramente che gli aumenti si applicano sull’importo della pensione mensile non integrata al trattamento minimo. La disposizione mirava all’aumento delle prestazioni di quei lavoratori che, pur potendo far valere una consistente anzianità assicurativa, oltre 780 contributi settimanali, si trovavano tuttavia in godimento di una pensione di modesto ammontare, addirittura inferiore al minimo e quindi nella necessità della integrazione. Si tratta di un beneficio che sostituisce l’altro, che era già stato introdotto dal D.L. n. 663 del 1979, art. 14, conv. in L. n. 33 del 1980, e che era finalizzato ad aumentare la pensione a calcolo proprio a seguito della limitazione del diritto alla integrazione al minimo operata dalla L. n. 638 del 1983, art. 6, ossia della disposizione che, per la prima volta, ha condizionato il diritto alla integrazione al minimo possesso di redditi inferiori ad una certa soglia, e quindi determinando la riduzione a calcolo della pensione per tutto il periodo del superamento Si volle quindi aumentare l’importo a calcolo di dette pensioni, per metterle in qualche modo al riparo della perdita della integrazione, peraltro le disposizioni a favore di questo tipo di pensioni con oltre 780 contributi proseguì nel tempo ad opera della L. 29 dicembre 1988, n. 544, art. 3 e dal D.P.C.M. del 16 dicembre 1989” così la sentenza citata . Va, altresì, precisato che, applicando gli aumenti sull’importo a calcolo come espressamente previsto dalla norma parrebbe che la pensione rimanga sempre dello stesso ammontare in quanto l’aumento sarebbe assorbito” dalla integrazione al minimo. Così non è, perché l’aumento effettivo della pensione disposto dalla norma in esame, dipende da quale è la sua misura a calcolo e nei casi in cui la maggiorazione concessa dalla legge è superiore alla parte della integrazione al minimo applicata, la pensione che l’interessato riceve verrà realmente aumentata cfr sentenza citata . Appare utile a riguardo richiamare l’esempio contenuto nella citata sentenza del 2009 di questa Corte secondo cui si consideri 100 la misura minima della pensione che il pensionato effettivamente riceve che sia composta di 60 come pensione a calcolo e di 40 come integrazione. Se l’aumento previsto dalla legge sarà ad esempio 50 superiore a 40 che è la quota di integrazione il pensionato riceverà la nuova pensione pari a 110 somma della pensione a calcolo di 60 cui va sommato l’aumento di 50 e quindi riceverà un effettivo vantaggio rispetto alla precedente pensione di 100 . 7. Nella fattispecie in esame non emerge dalla sentenza se la Corte d’appello abbia accertato o meno il superamento del trattamento minimo in virtù dell’applicazione del beneficio in esame, superamento che,come si è prima spiegato, non dipende semplicemente dal riconoscimento del citato beneficio che, secondo il ricorrente, dovrebbe aggiungersi all’integrazione già percepita, ma deve essere valutato in concreto avuto riguardo alla pensione a calcolo del ricorrente, così come richiede la norma, a cui deve sommarsi il beneficio salvo, ove non sia raggiunto pur con il riconoscimento di detto beneficio il trattamento minimo in precedenza goduto, continuare ad applicare in tutto o in parte l’integrazione al minimo. In sostanza qualora la somma del suddetto trattamento base e dell’importo spettante in base alla norma citata sia inferiore alla pensione integrata già in godimento, deve essere mantenuto tale trattamento senza operare alcun miglioramento cfr Cass. n. 12116/2009 e n. 10375/2015 con ogni conseguenza circa l’applicazione della L. n. 407 del 1990, art. 7. 8. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e la causa rinviata affinché il giudice di rinvio proceda al suddetto accertamento. 9. Il secondo motivo è infondato. Il ricorrente denuncia un vizio di motivazione che non sussiste atteso che la Corte d’appello ha, invece motivato che, a decorrere dalla percezione della pensione estera, la pensione del ricorrente era divenuta superiore al trattamento minimo con conseguente fondatezza del provvedimento dell’Inps. Va, altresì, rilevato che dall’esposizione in fatto contenuta nel ricorso cfr pag 1 non risulta neppure che il ricorrente abbia sollevato questioni con riferimento alla decurtazione della pensione a seguito della percezione del trattamento previdenziale svizzero. 10. Per le considerazioni che precedono il primo motivo va accolto, la sentenza cassata ed il giudizio rinviato alla Cute d’appello di Lecce in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bari anche per le spese del presente giudizio.