Bluff sulle ricevute taxi: i rimborsi ‘gonfiati’ costano il licenziamento

Respinto il ricorso di un ex dirigente di un istituto di credito. Legittimo il drastico provvedimento adottato dall’azienda. Evidente, secondo i Giudici, come il comportamento fraudolento dell’uomo abbia leso irrimediabilmente il vincolo fiduciario col datore di lavoro.

Bluffare sulle ricevute dei taxi, così da ottenere rimborsi superiori alla spesa sostenuta, è una condotta grave che può costare il posto di lavoro. Proprio applicando questa visione, difatti, i Giudici hanno reso definitivo il licenziamento di un dirigente – oramai ex – di un istituto bancario Cassazione, ordinanza n. 10566/19, sez. Lavoro, depositata oggi . Rimborsi. Chiarissima la contestazione mossa dall’azienda – una banca – a un dirigente uso di ‘ricevute taxi’ con importi contraffatti per ottenere rimborsi maggiorati, superiori al reale costo sostenuto dal lavoratore. Netta la reazione adottata dall’istituto di credito, che ritiene non più credibile il rapporto di lavoro e opta per il licenziamento. Provvedimento drastico ma legittimo, osservano i giudici che, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, respingono le obiezioni mosse dal dipendente della banca. Identica posizione assume anche la Cassazione. Inutile la linea difensiva proposta dal legale del lavoratore e centrata su un presunto raggiro da parte dell’azienda, finalizzato a liberarsi del dipendente senza un adeguato incentivo all’esodo . Alterazione. Per i Giudici del Palazzaccio è condivisibile la lettura della vicenda fornita in Appello, laddove si è accertata la concretezza della contestazione disciplinare , avente ad oggetto l’alterazione delle ‘ricevute taxi’ . Non vi sono dubbi, in sostanza, sul fatto che l’alterazione materiale in questione costituisce un fatto gravemente lesivo dell’elemento fiduciario e quindi idoneo a giustificare il recesso per giusta causa . A inchiodare il dirigente è stata anche la deposizione della sua assistente dell’epoca, che predisponeva le note di rimborso . Ma significativo è soprattutto il fatto che egli non abbia disconosciuto la firma in calce alle note spese prodotte dalla parte datoriale , mentre il parere tecnografico richiesto dalla società ha accertato che cinquantaquattro ricevute risultavano alterate nell’importo . Tirando le somme, a fronte dei comportamenti fraudolenti posti in essere da un ‘quadro direttivo’ con un ruolo di responsabilità , è evidente, concludono i giudici, la lesione irrimediabile del vincolo fiduciario .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 17 ottobre 2018 – 16 aprile 2019, n. 10566 Presidente Bronzini – Relatore De Fregorio Osserva in punto di fatto quanto segue La Corte d'Appello di Milano, previo espletamento della prova per testi, ammessa nei limiti all'uopo fissati, con sentenza n. 1084 del 13 settembre 18 ottobre 2016 rigettava il gravame interposto il 23 maggio 2013 dal sig. St. GI. avverso la pronuncia del locale giudice del lavoro n. 3994/12 , che aveva disatteso la domanda dello stesso contro la convenuta CREDIT SUISSE AG, volta ad invalidare il licenziamento intimatogli il 19 maggio 2011 previa contestazione relativa all'uso di ricevute taxi con importi contraffatti per ottenere rimborsi maggiorati, superiori al reale costo sostenuto , con ogni conseguente tutela ex art. 18 L. n. 300/1970, peraltro con espressa riserva di optare per l'indennità sostitutiva di cui al quinto comma dello stesso art. 18 secondo il testo ratione temporis applicabile nella specie . Il sig. GI. impugnava la sentenza d'appello come da ricorso per cassazione del 18 aprile 2017, affidato a due motivi, cui ha resistito CREDIT SUISSE A.G. mediante controricorso in data 26 / 29 maggio 2017. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Considerato che con il primo motivo è stata lamentata la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300/1970 e dell'art. 5 I. n. 604/1966, poiché erroneamente non era stata ravvisata l'intempestività della contestazione disciplinare in data 11/13 maggio 2011, concernente fatti analiticamente datati nel marzo 2011, nonché con riferimento a 48 ricevute risalenti al periodo gennaio 2010 febbraio 2011, peraltro asseritamente generica ed in relazione alla quale si era pure avuta una illegittima modificazione, laddove inoltre la prova di quanto asserito dalla resistente era a carico della medesima parte datoriale, sicché la stessa era tenuta pure a dimostrare la tempestività dell'addebito rispetto al momento in cui era venuta a conoscenza delle pretese inadempienze richiamandosi sul punto, in part., le dichiarazioni rese dal procuratore speciale della convenuta in sede di libero interrogatorio all'udienza del 5 luglio 2012 con il secondo motivo è stato dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo per la definizione del giudizio, non essendo stati valutati tutti gli indizi a sostegno della tesi di parte ricorrente, secondo cui era dimostrato tutto l'interesse del datore di lavoro ad inserire scontrini alterati in luogo di quelli originari, ottenendo così una somma esattamente pari a quella indicata nella nota spese, ciò al fine di estromettere il GI. da CREDIT SUISSE a costo zero. Dunque, non era stato considerato un fatto determinante, cioè il comportamento della Banca, che stava operando una riduzione del personale, ciò che non avrebbe potuto conseguire senza un adeguato incentivo all'esodo degli aventi diritto, come nel caso di esso GI., dipendente con contratto di diritto italiano, come risultava confermato in sede di interrogatorio libero, laddove il procuratore speciale di parte resistente aveva dichiarato che nel mese di marzo 2011 soltanto la posizione del GI. era stata esaminata e risultata irregolare per la prima volta dopo mesi che le pretese alterazioni, così marchiane e grossolane, avevano superato tutti i livelli del complesso sistema di controllo delle ricevute per i rimborsi spese. Se fosse stata in buona fede la Banca e se avesse realmente rilevato delle alterazioni nelle ricevute dei taxi consegnate dal dipendente, sarebbe stato sufficiente contestare soltanto quelle di febbraio e marzo 2011, mentre essa voleva assicurarsi un comportamento infamante e inficiante la fiducia, tale da non lasciar dubbi. La Corte d'Appello aveva, però, acriticamente e contraddittoriamente attribuito l'alterazione delle ricevute al dipendente, come se la Banca non potesse agire in modo fraudolento proprio al fine escogitare un modo vile e pretestuoso, per interrompere illegittimamente il rapporto di lavoro tutelato dal diritto italiano le anzidette censure risultano inammissibili, sotto vari profili, in base alle seguenti ragioni in primo luogo, sussistono notevoli lacune di allegazione ex art. 366 co. I nn. 3 e 4 c.p.c. non risultando, tra l'altro, in particolare ritualmente riprodotto in modo sufficiente ed organico il testo della contestazione disciplinare, delle conseguenti giustificazioni in data 13 maggio 2011 da cui poter desumere soprattutto il pregiudizio difensivo, adombrato, peraltro genericamente, dal lavoratore ricorrente e della lettera di licenziamento, nonché delle dichiarazioni in sede di libero interrogatorio del procuratore speciale comparso per la parte resistente e delle testimonianze raccolte, sulla cui base il GI. fonda le sue rimostranze ad ogni modo, con queste ultime il ricorrente tende, sostanzialmente, ad ottenere un riesame di quanto, invece, diversamente accertato ed apprezzato, con adeguato percorso argomentativo, dalla Corte di merito in ordine ai fatti di causa, ciò che non è consentito in questa sede di legittimità, alla stregua della sola cd. critica vincolata consentita nei rigorosi limiti fissati dall'art. 360 c.p.c. cfr. in part. Cass. V civ. n. 25332 del 28/11/2014, secondo cui il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione, che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti. V. parimenti Cass. III civ. n. 20322 del 20/10/2005 la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti salvo i casi tassativamente previsti dalla legge . Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte. Conformi Cass. nn. 2222 e 12467 del 2003, nonché Sezioni Unite n. 13045 del 1997, III civ. n. 1120 del 20/01/2006, n. 4001 del 23/02/2006, Sez. lav. n. 6264 del 21/03/2006, III civ. n. 7073 del 28/03/2006, sez. lav. n. 11039 del 12/05/2006, III civ. n. 12362 del 24/05/2006. Cfr. altresì Cass. lav. n. 15489 11/07/2007, secondo cui pure il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione -allora denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, in base al testo ratione temporis vigente si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione tali vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti. Conformi Cass. nn. 584 del 2004, III civ. n. 23929 del 19/11/2007, sez. lav. n. 18119 del 02/07/2008. Analogamente, Cass. Sez. 6 5, ordinanza n. 91 del 07/01/2014 il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., non equivale alla revisione del ragionamento decisorio , ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, né porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito. Conforme Cass. 5024 del 2012 rilevato, infatti, che nella specie la Corte distrettuale ha compiutamente esaminato tutti i rilevanti fatti di causa, concludendo per la piena legittimità della contestazione disciplinare elevata in data 11 maggio 2011, avente ad oggetto l'alterazione delle ricevute taxi, specificamente indicate, relative al mese di marzo 2011, nonché, all'esito di un controllo a ritroso, di quelle riferite al periodo da gennaio 2010 a febbraio 2011, per cui, trattandosi di falsi materiali, non poteva presumersi che parte datoriale ne avesse avuto conoscenza in epoca anteriore, laddove, peraltro, come già rilevato dal primo giudicante, il lasso di tempo appariva congruo anche in considerazione dei tempi necessari alla società per raccogliere i documenti ed effettuare i doverosi accertamenti del caso, tra cui anche una perizia grafica, dopo aver scoperto le prime alterazioni nell'aprile 2011. D'altro canto, essendo comunque l'alterazione materiale in questione un fatto gravemente lesivo dell'elemento fiduciario, nel caso in esame pure la sola condotta relativa ai mesi di febbraio e marzo 2011 risultava idonea in sé a giustificare il recesso per giusta causa. Inoltre, la Corte di merito ha rilevato che la lettera di contestazione di cui come si è detto il ricorrente non ha debitamente riprodotto il testo aveva indicato con precisione il giorno di emissione della singola ricevuta, con il numero di taxi, se leggibile, nonché l'apparente importo di cui il GI. aveva chiesto il rimborso, con l'ulteriore precisazione che tutte le ricevute ivi menzionate erano a disposizione del destinatario presso gli uffici aziendali. Dunque, anche sulla scorta anche di altra considerazione, la contestazione de qua era sufficientemente specifica e tale da consentire al suo destinatario la completa esplicazione del suo diritto di difesa, risultando chiaro l'addebito di aver chiesto il rimborso di spese per taxi mediante la consegna delle ricevute, specificamente elencate, alterate materialmente nell'importo del corrispettivo, peraltro poste a disposizione per qualsivoglia controllo da parte del dipendente quanto, poi, alla lamentata difformità tra contestazione disciplinare e motivazione del conseguente licenziamento, con l'introduzione di nuovi rilievi in violazione del principio di immodificabilità, la Corte d'Appello ha osservato, brevemente, che non si trattava di fatti nuovi, ma di risposte alle giustificazioni fornite dall'incolpato. Sul punto, d'altro canto, va rimarcata l'inammissibilità in part. ex art. 366 n. 6 del codice di rito del rilievo mosso dal ricorrente, il quale, come già detto all'inizio, ha omesso di riprodurre, compiutamente, la lettera di contestazione, le successive proprie giustificazioni e quindi l'atto di recesso, così ad ogni modo impedendo il controllo di legittimità in ordine all'asserita difformità la Corte milanese rilevava, altresì, l'infondatezza della questione relativa alla omessa pronuncia circa la mancata affissione del codice disciplinare, richiamando il noto e consolidato principio di diritto, secondo il quale detta pubblicità non occorre in relazione a condotte, come quella oggetto del caso in esame, illecite, siccome contrarie al comune minimo etico o di rilevanza penale, poiché il dipendente ben può rendersi conto del carattere illecito di tali comportamenti, di guisa che non occorrono avvertimenti di appositi divieti quanto, poi, alla ascrivibilità dei fatti al GI., la Corte ha giudicato pienamente attendibile la teste KA. IV., assistente all'epoca del Gi., che predisponeva le note di rimborso, della quale è stata ampiamente riportata in sentenza la deposizione, e sulla cui credibilità le parti non avevano sollevato specifiche censure. Peraltro, il Gi. non aveva disconosciuto la sua firma in calce alle note spese prodotte da parte datoriale ed il parere tecnografico richiesto dalla società aveva accertato che 54 ricevute risultavano alterate nell'importo, secondo le precisazioni numeriche all'uopo indicate anche il diritto di difesa era stato ampiamente garantito laddove 13 delle ricevute esaminate dal perito grafologico si riferivano ai mesi di febbraio e marzo 2011, per cui il GI. ben avrebbe potuto chiedere la verifica degli originali degli scontrini in contraddittorio. Nel momento in cui, poi, aveva sottoscritto la nota spese ed aveva chiesto il rimborso per l'importo indicato si era assunto tutte le relative responsabilità in base alle ragioni in proposito indicate. La Corte di merito, inoltre, ha rilevato, tra l'altro, che l'argomento difensivo, sviluppato in sede di discussione orale, secondo cui sarebbe stato lo stesso datore di lavoro ad inserire, nel tempo, gli scontrini alterati in luogo di quelli originali, ottenendo così una somma esattamente pari a quella indicata nella nota spese, non aveva trovato alcun riscontro, anche indiziario, nell'istruttoria espletata in base alle argomentazioni sul punto svolte, sicché l'appellante non aveva introdotto alcun indizio oggettivo in tal senso, ad esempio analizzando e contestando specificamente i sette scontrini relativi al mese di marzo 2011, i più recenti e, quindi, con uno sforzo di memoria, non fossero quelli dallo stesso consegnati per il rimborso. Pertanto, la prova dell'addebito contestato assorbiva ogni altro profilo dell'appello, osservandosi per altro verso che i comportamenti fraudolenti, posti in essere da chi come l'appellante, quadro direttivo, rivestiva un ruolo di responsabilità, non potevano che ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario e costituire, quindi, giusta causa di recesso dunque, non sussistono nemmeno gli estremi del vizio di cui al secondo motivo di ricorso, evidentemente formulato ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. ad ogni modo nella specie inammissibile ai sensi dell'art. 348 ter, u. co., c.p.c. trattandosi di cd. doppia conforme, per effetto del rigetto dell'appello proposto con ricorso depositato il 23 maggio 2013 il ricorrente, peraltro, non ha dedotto alcuna specifica diversità tra le ragioni di fatto poste a fondamento della sentenza di primo grado e quelle a base della pronuncia d'appello , cosicché i fatti di causa devono ritenersi ormai definitivamente acclarati nei sensi ritenuti dagli aditi giudici di merito. Di conseguenza, ogni questione al riguardo è assolutamente inammissibile, poiché preclusa da tali sbarramenti processuali, in questa sede di legittimità per altro verso, la motivazione della sentenza impugnata risulta del tutto adeguata rispetto ai motivi dell'interposto gravame, quali emergenti dalla lettura della medesima pronuncia, di modo che la stessa nemmeno può dirsi svolta in violazione del cd. minimo costituzionale, per cui del resto neanche vi è stata alcuna rituale univoca denuncia di nullità ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. cfr. Cass. III civ. n. 23940 del 12/10/2017, secondo cui in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. disposta dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale , di motivazione apparente , di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile , al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico , che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia. In senso conforme, tra le altre, Cass. sez. un. civ. nn. 8053 e 8054 del 2014. V. analogamente pure Cass. Sez. 6 3, ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, secondo cui in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione -per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c pertanto, va dichiarata l'inammissibilità del ricorso con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al rimborso delle relative spese, sussistendo, quindi, anche gli estremi di cui all'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/02 per il raddoppio del contributo unificato, atteso l'esito del tutto negativo dell'impugnazione qui proposta. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della società controricorrente in Euro 4500,00 quattromilacinquecento/OO per compensi ed in Euro 200,00 duecento/00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.