Le richieste di pagamento inviate dall’INPS interrompono la prescrizione del credito previdenziale

Le comunicazioni contenenti richieste di pagamento eseguite dall’INPS esplicitano una pretesa di adempimento e dunque, a prescindere dalla formula verbale utilizzata, devono ritenersi atti interruttivi della prescrizione.

Così ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 10513/19, depositata il 15 aprile. Il fatto. La Corte d’Appello di Lecce, nel giudizio di opposizione proposto da R.V. avverso cinque avvisi di addebito, dichiarava non dovuto il pagamento delle somme risultanti da quattro di essi per intervenuta prescrizione del credito previdenziale relativo a lavoratori occupati in agricoltura. La Corte riteneva invece non prescritto uno dei cinque avvisi e dunque il relativo credito in esso portato, poiché l’Inps aveva tempestivamente inviato delle raccomandate che avevano interrotto la prescrizione. Per la cassazione della sentenza propone ricorso R.V. deducendo che la Cote d’Appello avrebbe dovuto escludere la natura interruttiva della prescrizione delle note spedite dall’Inps poiché consistevano in mere richiesta di pagamento dalle quale non poteva ricavarsi la volontà dell’Inps di agire in giudizio in caso di mancato pagamento. Interrotta la prescrizione. La Corte, ritenendo infondato il motivo del ricorrente, rileva che le comunicazioni eseguite dall’INPS, a prescindere dalla formula verbale utilizzata, contengono l’esplicitazione di una pretesa di adempimento, sia pure condizionatamente alla verifica dell’avvenuto versamento in base agli atti in possesso dello stesso datore di lavoro. Tali atti inviati dall’Istituto previdenziale, dunque, devono ritenersi atti interruttivi della prescrizione in conformità ai requisiti ritenuti allo scopo necessari dalla giurisprudenza Cass. civ., n. 1514/18 . Inoltre, precisano i Giudici, quanto sopra viene confermato dall’esplicita qualificazione contenuta nelle comunicazioni, ove l’INPS afferma che l’atto ha effetto interruttivo della prescrizione ai sensi di legge o costituisce atto interruttivo dei termini di prescrizione . Da ciò si evince che l’intenzione dell’Istituto previdenziale sia stato quello di ritenere gli atti in questione come diffide ad adempiere e non un bonario invito ad adempiere. Sulla base di tali argomentazioni la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 8 gennaio – 15 aprile 2019, n. 10513 Presidente Doronzo – Relatore Spena Rilevato che 1. Nel giudizio di opposizione a n. 5 avvisi di addebito proposto da R.V. , la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Brindisi, dichiarava non dovuto il pagamento delle somme di cui a quattro degli avvisi di addebito per intervenuta prescrizione del credito previdenziale relativo a lavoratori occupati in agricoltura. Riteneva, invece, che non fosse prescritto il credito portato nell’avviso di addebito n. omissis , in quanto l’Inps aveva tempestivamente prodotto gli atti interruttivi della prescrizione, consistenti nelle raccomandate del 20 maggio 197, 2 giugno 2000, 5 marzo 2002, 28 luglio 2005 e 14 maggio 2010. In ordine ai periodi indicati in tali comunicazioni, argomentava che, come puntualizzato dal CTU, la numerazione che indica l’anno e il trimestre di riscossione per la gestione dei datori di lavoro a volte non corrisponde al trimestre effettivo a causa di una particolare codifica che caratterizza l’archivio estratto conto, sicché era da rigettarsi la censura in ordine all’erroneità dell’indicazione di alcuni periodi quali il quinto e sesto trimestre per alcuni anni . 2. Per la cassazione della sentenza R.V. ha proposto ricorso, affidato a due motivi. L’Inps si è costituito con procura in calce alla copia notificata del ricorso. 3. È stata depositata proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria. Considerato che 1. a fondamento del ricorso il R. deduce come primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1219 e 2943 c.c. nonché della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9. Sostiene che dovrebbe escludersi la natura interruttiva della prescrizione delle note dell’Inps del 1997 e di quella successiva del 2 giugno 2000, consistenti in una generica richiesta di pagamento dal cui contenuto non si ricava la volontà dell’Inps di agire in giudizio in caso di mancato pagamento dell’obbligo. 2. Come secondo motivo, deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché l’omissione e/o apparente motivazione su circostanza decisiva. Sostiene che tra i periodi indicati nelle comunicazioni ritenute interruttive della prescrizione vi sarebbe discrasia di date, sicché alcuni periodi risulterebbero irrimediabilmente prescritti. 3. Il primo motivo non è fondato perché le comunicazioni di cui si tratta, a prescindere dalla formula verbale utilizzata, contengono l’esplicitazione di una pretesa di adempimento, sia pure condizionatamente alla verifica dell’avvenuto versamento in base agli atti in possesso dello stesso datore di lavoro pertanto, esse sono da ritenere veri e propri atti interruttivi della prescrizione in conformità ai requisiti ritenuti allo scopo necessari dalla giurisprudenza di questa Corte v. Cass. n. 15714 del 14/06/2018 ciò è confermato, del resto, dall’esplicita qualificazione contenuta nelle comunicazioni in discorso laddove l’Inps affermava pure che, nell’ipotesi in cui le somme richieste non fossero state già versate, lo stesso atto avesse effetto interruttivo della prescrizione ai sensi di legge o costituisce atto interruttivo dei termini di prescrizione pertanto è anche evidente che l’intenzione dell’INPS, sottesa alle stesse sollecitazioni, fosse quella di ritenere gli atti in questione come vere e proprie diffide ad adempiere e non già di rivolgere al debitore meri bonari inviti ad adempiere, secondo quanto si sostiene infondatamente in ricorso. 4. Il secondo motivo è inammissibile in quanto richiede una nuova valutazione delle medesime circostanze fattuali già esaminate dal giudice di merito Cass. S.U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054 . Il ricorso va dunque rigettato. Nulla spese non avendo l’INPS esercitato attività difensiva. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.