Il rapporto tra professionista ed ente previdenziale di categoria non è automatico

L’automatismo delle prestazioni previdenziali che caratterizza il rapporto tra lavoratore subordinato e datore di lavoro, da un alto, ed ente previdenziale, dall’altro, non opera nel rapporto tra lavoratore autonomo e ente previdenziale. Il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce dunque la costituzione del rapporto previdenziale e la maturazione del diritto alla prestazione.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9865/19, depositata il 9 aprile. Il caso. La Corte d’Appello di Salerno ha accolto il ricorso per revocazione della sentenza e, decidendo nel merito, ha confermato il rigetto della domanda di un ingegnere volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione di vecchiaia da parte di INARCASSA al compimento del 65esimo anno di età. Il soccombente ha dunque proposto ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza invocando l’applicabilità del regime transitorio di cui all’art. 25, comma 7, l. n. 6/1981 di salvaguardia dell’anzianità minima di 20 anni per il diritto alla pensione di vecchiaia per gli iscritti alla Cassa in data anteriore all’entrata in vigore della medesima legge che richiede 30 anni. Rapporto previdenziale. La Corte territoriale ha correttamente escluso l’applicabilità del regime transitorio invocato dal ricorrente tenendo contro dalla premessa di fatto circa la cancellazione dell’ingegnere dai ruoli degli iscritti e della restituzione dei contributi per alcune annualità. Conseguentemente, all’entrata in vigore della novella, egli non possedeva la condizione richiesta per beneficiare del regime transitorio. In riferimento alla censura relativa alla mancata dimostrazione della comunicazione obbligatoria della Cassa al professionista di iscrizione nei ruoli e sugli effetti della mancata comunicazione o pubblicazione degli elenchi annuali degli iscritti, la Corte precisa che si tratta di una censura di merito non deducibile in Cassazione. Infine il Collegio che la facoltà di versare la contribuzione necessaria per la maturazione dei trattamenti pensionistici non soggiace all’imprescrittibilità del diritto proprio dei trattamenti pensionistici, rimanendo soggetta al regime prescrizionale quinquennale fissato dall’art. 3, comma 9, l. n. 335/1995 . Di conseguenza, decorso il quinquennio la contribuzione non può essere versata anche nell’ipotesi in cui sia stata versata dal contribuente ma restituita dall’ente. La giurisprudenza afferma infatti che, in materia di previdenza, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti – ai sensi dell’art. 3, comma 9, l. n. 335/1995 – anche per le contribuzioni relative a periodo precedenti l’entrata in vigore della stessa legge e con riferimento a qualsiasi forma di previdenza obbligatoria . Infine, la Corte ribadisce il principio secondo cui l’automatismo delle prestazioni previdenziali vigente nel rapporto tra lavoratore subordinato e datore di lavoro, da un alto, e ente previdenziale, dall’altro, non opera nel rapporto tra lavoratore autonomo e ente previdenziale. Il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce dunque di regola la costituzione del rapporto previdenziale e la maturazione del diritto alla prestazione. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 gennaio – 9 aprile 2019, n. 9865 Presidente Manna – Relatore Mancino Fatti di causa 1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 22 maggio 2013, ha accolto il ricorso per revocazione avverso la sentenza pubblicata il 28 agosto 2011, tra G.V. e INARCASSA e, decidendo nel merito, ha rigettato il gravame, svolto dall’ingegnere G. , avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda volta al riconoscimento del diritto alla pensione di vecchiaia, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, tenuto conto dei periodi di iscrizione alla Cassa professionale antecedenti al 29 gennaio 1981, compresi tra il 1969 e il 1971 e a contribuzione ridotta in qualità di dipendente, anche nel caso in cui fossero divenuti inefficaci per l’eventuale restituzione della relativa contribuzione. 2. La Corte di merito, per quanto in questa sede rileva, escludeva l’applicabilità della L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 25, comma 7, norma transitoria di salvaguardia dell’anzianità minima di venti anni per il diritto alla pensione di vecchiaia per gli iscritti alla Cassa in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 6 del 1981, a fronte dei trenta necessari alla stregua della nuova disciplina - al professionista, attuale ricorrente, iscritto alla Cassa nel periodo tra il 16 settembre 1969 e il 31 dicembre 1971, con contribuzione ridotta in quanto lavoratore dipendente soggetto ad altra forma di previdenza obbligatoria. 3. In particolare, la Corte di merito, richiamato il divieto d’iscrizione a INARCASSA per i professionisti, ingegneri o architetti anche lavoratori dipendenti, introdotto dalla L. n. 1046 del 1971, art. 2 e la disciplina contestualmente introdotta in riferimento alla contribuzione già versata dai predetti professionisti ammessi, nel regime precedente, all’iscrizione, con versamento di contribuzione ridotta, osservava che la sorte della contribuzione ridotta versata trovava puntuale disciplina nella previsione che, a decorrere dal 1 gennaio 1972, dovessero essere restituiti dalla Cassa tutti i contributi individuali versati in misura ridotta che tran avessero dato luogo a liquidazione di pensione, con la maggiorazione degli interessi maturati, e l’ulteriore previsione, in luogo della restituzione dei contributi, della corresponsione del trattamento pensionistico in misura proporzionalmente ridotta in relazione agli anni di contribuzione risultanti alla data del 31 dicembre 1971, con domanda da presentarsi entro il 1 gennaio 1973 art. 6 L. n. 1046 cit. . 4. Ritenevano, pertanto, i giudici del gravame, che il professionista non avesse fornito prova dell’eventuale proposizione della domanda al fine di ottenere la pensione in proporzione alla contribuzione versata e che, con tutta ragionevolezza, la Cassa, in ottemperanza alle predette disposizioni, avesse dato luogo alla restituzione dei contributi versati dal professionista in misura ridotta infine osservavano che, a fronte delle deduzioni di INARCASSA, incentrate sull’avvenuta restituzione dei contributi, comunicata fin dal mese di aprile del 1973, in conseguenza della mancata presentazione della domanda, il professionista, anziché formulare, in giudizio, una specifica e puntuale contestazione, si era limitato ad obiettare che la presunta eventuale restituzione avrebbe al più inciso sull’anzianità contributiva, e non certo sulla sola iscrizione, e che INARCASSA non aveva esibito, in giudizio, documentazione comprovante l’avvenuta restituzione della contribuzione in misura ridotta versata per gli anni in contestazione. 5. Avverso tale sentenza ricorre G.V. , con ricorso affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato con memoria, cui resiste, con controricorso, INARCASSA-Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti. Ragioni della decisione 6. Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza, ex art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso di scrutinare le questioni dedotte nei motivi di gravame avverso la sentenza di primo grado, quali l’illegittimità ed erronea iscrizione nel periodo tra il 16 settembre 1969 e il 31 dicembre 1971 a contribuzione ridotta, e in ordine all’inapplicabilità della L. n. 1046 del 1971, art. 6 assume che, benché lavoratore dipendente soggetto ad altra forma di previdenza obbligatoria, avrebbe dovuto essere iscritto a contribuzione ordinaria per il primo anno solare, e con le stesse modalità per i due anni successivi, per non avere esercitato la facoltà di beneficiare della riduzione del cinquanta per cento del contributo individuale, pur avendone la facoltà. 7. Con il secondo motivo, deducendo plurime violazioni di legge L. n. 179 del 1958, artt. 3, 4 e 23 D.P.R. n. 521 del 1961, artt. 1, 2 e 5 L. n. 1046 del 1971, art. 6 L. n. 6 del 1981, art. 25, comma 7, n. 1 censura la sentenza impugnata per violazione delle norme di diritto concernenti l’obbligatoria iscrizione alla Cassa, con conseguente illegittimità dell’ipotetica e inesistente prova della restituzione dei contributi infondatamente sostenuta da Inarcassa ed erroneamente ritenuta ragionevole dalla Corte. 8. Con il terzo motivo, deducendo violazione delle norme già poste a sostegno del mezzo che precede, assume di aver sollevato, con l’atto introduttivo e con il gravame, eccezione di imprescrittibilità del diritto azionato con la domanda giudiziale. 9. Preliminarmente deve ritenersi inammissibile la produzione da parte di INARCASSA, con la memoria difensiva ex art. 378 c.p.c., di molteplici atti, trattandosi di documenti non attinenti alla nullità della sentenza o all’ammissibilità del ricorso o del controricorso art. 372 c.p.c. . 10. Il primo motivo è infondato. 11. La Corte di merito ha esaminato le censure avverso la sentenza gravata e, quanto alla pretesa applicabilità del regime transitorio previsto dalla L. n. 6 del 1981, art. 25, comma 7, che ha conservato l’anzianità minima di venti anni per la pensione di vecchiaia per gli iscritti alla Cassa in data anteriore all’entrata in vigore della legge, ha tenuto conto della premessa fattuale della cancellazione dell’ingegnere G. dai ruoli degli iscritti, a seguito dell’avvenuta restituzione dei contributi per le annualità comprese tra il 1969 e il 1971, con la conseguenza che, all’entrata in vigore della novella, non sussisteva la condizione richiesta per beneficiare del regime transitorio. 12. Inoltre, alla stregua delle opzioni introdotte dall’art. 6 della L. n. 1046 del 1971 per i professionisti già iscritti a INARCASSA con contribuzione ridotta perché anche lavoratori dipendenti, una volta introdotto, dall’art. 2 della citata L. n. 1046 il divieto di iscrizione a INARCASSA dei professionisti che fossero anche lavoratori dipendenti, vale a dire ottenere la restituzione della contribuzione ridotta versata, con conseguente perdita di ogni utilità previdenziale della stessa e totale cancellazione dei corrispondenti anni di iscrizione ovvero optare, entro un termine perentorio, per la conservazione di una limitata utilità previdenziale della contribuzione ridotta versata che avrebbe, poi, dato luogo, al verificarsi dei presupposti di legge, all’erogazione di trattamenti pensionistici proporzionalmente ridotti, la Corte di merito riteneva non contestata, specificamente e puntualmente dal professionista, l’avvenuta restituzione comunicata nel 1973 dei contributi e non provata l’eventuale proposizione della domanda volta ad ottenere la pensione in proporzione alla contribuzione versata. 13. Dunque non vi è stato alcun omesso scrutinio dei motivi di gravame svolti dall’attuale ricorrente. 14. Il secondo mezzo d’impugnazione, incentrato sul mancato assolvimento della prova in ordine alla comunicazione obbligatoria della Cassa, al professionista, di iscrizione nei ruoli pubblicati per gli anni 1970 e seguenti e sugli effetti, ai fini del decorso del termine di opposizione, della mancata comunicazione o pubblicazione degli elenchi annuali degli iscritti, si risolve nella richiesta di un riesame nel merito e di un accertamento in fatto inammissibili in sede di legittimità. 15. Quanto al precedente di legittimità richiamato a sostegno delle argomentazioni difensive svolte dalla parte ricorrente, trattasi di decisione non pertinente perché nella vicenda già scrutinata da questa Corte, e decisa con la sentenza n. 18532 del 2006, il professionista, pur ricorrendo la condizione della contemporanea iscrizione ad altra forma di previdenza, aveva provveduto a pagare il contributo personale in misura intera, diversamente dall’attuale ricorrente che, negli anni contestati, non aveva contribuito in misura intera. 16. Va rigettato anche il terzo motivo la facoltà di versare la contribuzione necessaria per la maturazione dei trattamenti pensionistici non soggiace all’imprescrittibilità del diritto propria dei trattamenti pensionistici, rimanendo soggetta al regime prescrizionale quinquennale fissato dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, con la conseguenza che decorso il quinquennio la contribuzione non può essere versata, anche nell’ipotesi in cui sia stata versata dal contribuente e restituita dall’ente previdenziale. 17. Questa Corte di cassazione v., fra le altre, Cass. 15 ottobre 2014, n. 21830 ha affermato che nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti - ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, - anche per le contribuzioni relative a periodi precedenti l’entrata in vigore della stessa legge art. 3, comma 10, L. n. 335 cit. e con riferimento a qualsiasi forma di previdenza obbligatoria. 18. Una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva non già preclusiva - poiché l’ente previdenziale creditore non può rinunziarvi - opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio. 19. Va escluso, pertanto, il diritto dell’assicurato a versare contributi previdenziali prescritti e ad ottenere la retrodatazione dell’iscrizione alla Cassa per il periodo coperto da prescrizione, senza che possa rilevare l’eventuale inerzia della Cassa stessa nel provvedere al recupero delle somme corrispondenti alle contribuzioni il credito contributivo ha una sua esistenza autonoma, che prescinde dalla richiesta di adempimento fattane dall’ente previdenziale, ed insorge nello stesso momento in cui si perfeziona il rapporto o, comunque, l’attività di lavoro, che ne costituisce il presupposto, momento dal quale decorre il relativo termine prescrizionale cfr. Cass. 15 ottobre 2014, n. 21830 e i precedenti ivi richiamati . 20. Infine l’interpretazione patrocinata dal ricorrente, che rivendica l’applicabilità della disposizione transitoria sulla scorta del dato meramente formale del periodo di iscrizione alla Cassa in epoca precedente al 1981, indipendentemente dall’effettiva sottostante posizione previdenziale, non ha fondamento perché ciò che rileva è la sussistenza dell’effettiva posizione assicurativa alla quale ancorare l’anzianità assicurativa, anzianità decorrente, nella specie, solo dal 1984. 21. Come più volte statuito da questa Corte, il principio generale dell'automatismo delle prestazioni previdenziali vigente, ai sensi dell'art. 2116 c.c. nel rapporto fra lavoratore subordinato e datore di lavoro, da un lato, ed ente previdenziale, dall'altro, non trova applicazione nel rapporto fra lavoratore autonomo e, segnatamente, libero professionista, come nella specie ed ente previdenziale - nel difetto di norme di legge e fonte secondaria che eccezionalmente dispongano in senso contrario - con la conseguenza che il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce, di regola, la costituzione del rapporto previdenziale e, comunque, la maturazione del diritto alle prestazioni cfr., da ultimo, Cass. 14 giugno 2018, n. 15643 e i precedenti ivi richiamati . 22. In conclusione, il ricorso va rigettato. 23. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 24. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.