Come si accerta il motivo ritorsivo di licenziamento

In ipotesi di domanda proposta dal lavoratore che deduca la nullità del licenziamento per il suo carattere ritorsivo, la verifica dei fatti allegati dal lavoratore stesso richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del recesso, che risulti solo allegata dal datore, ma non provata in giudizio, poiché la nullità per motivo illecito ex art. 1345 c.c. richiede che questo abbia carattere determinante e che il motivo addotto a sostegno del licenziamento sia solo formale e apparente.

Questo il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 9468/2019, depositata il 4.4.2019, che ha il merito di specificare esattamente quale sia l’iter logico – motivazionale necessario per decidere le controversie sul motivo ritorsivo e/o discriminatorio di licenziamento. Un posto di lavoro soppresso per ritorsione. Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte ha origine da un licenziamento pasticciato”. Il rapporto di lavoro veniva dapprima risolto per mancato superamento del periodo di prova, successivamente la risoluzione veniva revocata, senza però che il lavoratore forse per un malinteso riprendesse l’attività. A distanza di pochi giorni dalla revoca della risoluzione, il datore di lavoro comminava un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, motivato sulla necessaria soppressione del posto di lavoro, dovuta a risultati poco apprezzabili e quindi antieconomici. La Corte d’Appello escludeva la sussistenza del giustificato motivo oggettivo sostenendo che non fosse sufficiente che i compiti espletati dal lavoratore licenziato fossero ridistribuiti essendo invece necessario dimostrare che il riassetto dell’attività aziendale fosse rivolto a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti. Esclusa la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, la Corte d’Appello accertava il carattere ritorsivo del licenziamento verificando l’interesse datoriale di allontanare, in un modo o nell’altro, il lavoratore. La verifica preliminare del motivo lecito di licenziamento. La decisione della corte territoriale non è condivisa dalla Corte di Cassazione che sottolinea la priorità logica e giuridica dell’accertamento del motivo lecito di licenziamento, il quale, una volta accertato nella sua effettività rende irrilevante ogni altro aspetto della vicenda. Nel caso di specie, si trattava di verificare la sussistenza del giustificato motivo oggettivo e quindi di verificare a la soppressione del posto / reparto cui era addetto il lavoratore, senza che fosse necessaria la soppressione di tutte le mansioni ad egli attribuite possono essere ridistribuite b la riferibilità della soppressione a progetti imprenditoriali insindacabili ex art. 41 Cost. , purché effettivi e non simulati c l’impossibilità di reimpiego del lavoratore. Si ricorso inoltre che per la legittimità del recesso è sufficiente che le addotte ragioni determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo che passa anche dalla soppressione di una determinata posizione lavorativa non essendo invece necessario che il riassetto sia approntato per fronteggiare situazione sfavorevoli. La verifica dell’unico e determinante motivo ritorsivo di licenziamento. Venendo all’accertamento successivo ed eventuale del carattere ritorsivo, la Corte di Cassazione precisa che la nullità della risoluzione debba essere verificata alla luce della regola generale di cui all’art. 1345 c.c Pertanto, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione della giusta causa o del giustificato motivo. Non si deve quindi procedere ad una comparazione tra le ragioni lecite e ritorsive della risoluzione poiché il carattere determinante resta escluso dall’esistenza di un motivo lecito di licenziamento, solo ove quest’ultimo sia allegato e provato, malgrado il concorrente motivo illecito. Detto impianto rimane valido anche rispetto al regime introdotto con la l. 92/2012 la nullità del licenziamento deve esser esclusa se al motivo ritorsivo concorra un motivo lecito. Si consideri che il motivo illecito è determinante se, senza di esso, il licenziamento non sarebbe stato intimato ed è esclusivo quando sia stato solo formalmente addotto un motivo lecito di licenziamento rispetto a questo binomio l’onere della prova spetta al lavoratore che deve allegare e dimostrare gli elementi specifici della ritorsività non sembrerebbero quindi sufficienti le presunzioni. Nel caso di specie, la corte territoriale aveva affermato l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento sulla base di presupposti errati, con il conseguente vizio di motivazione dell’intera decisione. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso del datore e cassa con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 gennaio – 4 aprile 2019, n. 9468 Presidente Di Cerbo – Relatore Blasutto Fatti di causa 1. La Corte di appello di Bari ha rigettato il reclamo proposto dalla s.r.l. L2 avverso la sentenza del Giudice del lavoro del locale Tribunale che aveva accolto l’opposizione proposta da D.E. e dichiarato la nullità del licenziamento intimato dalla predetta società in data 6 dicembre 2013, ritenendo il recesso adottato per ritorsione. 2. Risulta dalla sentenza impugnata che, a sostegno del gravame, la società reclamante aveva lamentato l’omessa valutazione, da parte del primo giudice, del giustificato motivo oggettivo del licenziamento, insito nella scelta imprenditoriale di sopprimere una delle due figure di addetto al commercio con l’estero, non essendo stati raggiunti risultati apprezzabili in relazione all’area territoriale per il cui sviluppo il D. era stato assunto ed aveva altresì evidenziato l’impossibilità di una diversa collocazione del ricorrente, poiché - come risultante dal libro unico - le altre figure professionali esistenti nell’azienda svolgevano un’attività di tipo manuale. 3. La Corte territoriale ha riepilogato i tratti storici della vicenda, in sintesi, nei seguenti termini. Il ricorrente, assunto il 4 settembre 2013 con un periodo di prova di quattro settimane, venne licenziato una prima volta il 28 ottobre 2013 per mancato superamento della prova, a distanza di otto settimane dall’assunzione. A seguito della contestazione del lavoratore, la società, avvedutasi dell’errore, revocò il licenziamento invitando l’istante a rientrare in servizio il 3 dicembre 2013. Di fatto il ricorrente non riprese a lavorare per motivi non chiariti, in quanto i contorni del colloquio tenutosi quel giorno erano rimasti incerti. Era tuttavia emerso, dallo scambio di missive intervenuto tra il 3 e il 4 dicembre, che, in seguito alle rimostranze del D. circa la mancata ripresa del servizio effettivo, la società replicò rappresentando la possibilità di inserimento in cassa integrazione guadagni. Seguì una nota della società in data 5 dicembre con la quale il D. venne collocato in ferie per le giornate del 5 e del 6 dicembre 2013. Infine, intervenne il licenziamento del 6 dicembre 2013, motivato da una riorganizzazione aziendale con soppressione della figura di addetto alle relazioni commerciali con l’estero. 3.1. Da tale sequenza dei fatti la Corte territoriale ha argomentato il carattere ritorsivo del licenziamento, desumendolo in particolare dai seguenti elementi la contiguità temporale tra la lettera rivendicativa della reintegra del 4 dicembre e il licenziamento del 6 dicembre l’insussistenza della prospettata collocazione in cassa integrazione per tutti i dipendenti la solo teorica ripresa del servizio che, fissata per il 3 dicembre 2013, non era mai avvenuta, fino al licenziamento, intervenuto a distanza di soli tre giorni. Tutte circostanze indicative della intenzione della società di procedere solo fittiziamente alla riassunzione del D. , in quanto la stessa non intendeva in realtà coltivare il rapporto di lavoro, soprattutto dopo avere preso atto di avere a che fare con un dipendente particolarmente attento alla tutela e alla rivendicazione dei propri diritti e/o dell’insistenza di quest’ultimo di volere riprendere le iniziali funzioni, senza accettare soluzioni alternative . 3.2. La Corte di appello ha aggiunto che l’originaria causale, consistente nella prospettata soppressione della figura di addetto alle relazioni commerciali , era stata modificata in giudizio dalla società L2 nella diversa fattispecie della riduzione del personale addetto alle relazioni commerciali con l’estero, che da due unità era stato portato ad una sola unità nella sostanza, il D. era stato adibito ai rapporti commerciali con determinate realtà geografiche Russia e Siberia , sebbene tale specificazione non fosse presente nel contratto di assunzione e non fosse emersa in istruttoria una netta distinzione con la collega C. dalla documentazione prodotta dalle parti e dalle dichiarazioni rese nel corso dell’istruttoria era possibile evincere che la situazione economico-organizzativa della società, nel lasso temporale fra l’assunzione e il secondo recesso circa tre mesi , non aveva subito uno stravolgimento di tipo economico-finanziario, se si eccettuano alcune dichiarazioni, peraltro generiche, di testi che avevano riferito di risultati non apprezzabili nel segmento russo-siberiano del mercato. 3.3. Ha osservato la Corte di appello che, ai fini della legittimità del licenziamento per soppressione di un posto di lavoro, non è sufficiente che i compiti espletati dal lavoratore siano distribuiti ad altri, ma è necessario che il riassetto sia diretto a fronteggiare effettive situazioni sfavorevoli non contingenti e idonee a giustificare un piano di riorganizzazione aziendale siffatti presupposti non erano stati specificamente allegati né comprovati, stante la mancata produzione dei bilanci relativi agli anni 2012 e 2013. Non era dunque emersa alcuna concreta riorganizzazione aziendale, essendo stato dimostrato soltanto che le mansioni del ricorrente vennero ri trasferite alla collega C. , la quale era tornata a svolgerle singolarmente, come aveva sempre fatto, ad esclusione dei primi mesi di servizio del ricorrente. 4. Per la cassazione di tale sentenza la s.r.l. L2 propone ricorso affidato a due motivi. Resiste con controricorso il D. , che ha pure depositato memoria ex art. 378 c.p.c In tale occasione il controricorrente ha riferito che nelle more la società è stata dichiarata fallita. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966 art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 41 Cost., sulla base dei seguenti argomenti. La scelta di ridurre il personale impiegatizio aziendale addetto alle relazioni commerciali con l’estero attraverso la soppressione del posto di lavoro del ricorrente peraltro con assegnazione delle relative mansioni ad altra unità già addetta al medesimo settore, avente maggiore anzianità di servizio e superiore livello contrattuale - rientra nella scelta aziendale, insindacabile e garantita dall’art. 41 Cost., restando invece rimessa al controllo giudiziale la verifica dell’effettività del ridimensionamento e del nesso causale tra la ragione addotta a fondamento della soppressione del posto di lavoro e il dipendente licenziato e quindi sostanzialmente la non pretestuosità della scelta organizzativa. L’abbandono della precedente decisione di impiegare due unità di addetti per le relazioni con l’estero, sopprimendo il posto dell’ultimo arrivato rispetto alla lavoratrice C. , esperta ed in forza dal 2008 per tutti i mercati esteri con i quali la società intrattiene rapporti commerciali, aveva lo scopo di rendere più efficiente e funzionale la gestione dell’azienda ed ha errato la Corte territoriale nel ritenere che non si possa procedere ad una riduzione di personale per migliorare la redditività dell’impresa, ma solo a fronte di situazioni sfavorevoli non contingenti o in caso di uno stravolgimento di tipo economico finanziario . Conclude la ricorrente che non compete al giudice di surrogarsi nella scelta datoriale della migliore opzione per l’impresa e fa rilevare, incidentalmente, l’eccessività del costo della sentenza impugnata, considerata l’esecuzione avviata dal lavoratore per oltre 120 mila Euro a fronte di tre mesi di svolgimento del rapporto di lavoro e nei confronti di una società di piccole dimensioni, di poco superiore alla soglia della stabilità reale. 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1990, art. 3, in combinato disposto con gli artt. 1324 e 1345 c.c., e con la L. n. 300 del 1970, art. 18. La ricorrente si duole, innanzitutto, che la Corte territoriale abbia anteposto la trattazione del presunto carattere ritorsivo del licenziamento anziché verificare con priorità logica e giuridica l’obiettiva esistenza dei fatti necessari a radicare il giustificato motivo oggettivo, il quale, una volta accertato nella sua effettività, rende irrilevante ogni altro aspetto della vicenda. Deduce l’erroneità della sentenza per avere ritenuto ritorsivo il licenziamento espressamente basato sull’esigenza tecnica di effettivo mutamento del settore organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione di lavoro con redistribuzione dei compiti all’interno dell’azienda, senza assunzione di nuovo personale. Per ritenere ritorsivo il licenziamento occorre che questo abbia avuto efficacia determinativa esclusiva, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione del giustificato motivo di recesso. Rileva, infine, come gli argomenti di ordine presuntivo addotti dalla Corte territoriale a sostegno del decisum siano privi di consistenza, trattandosi di fatti del tutto generici e neanche compiutamente identificati, mentre per accreditare un ragionamento presuntivo occorre che gli elementi valorizzati siano idonei a fondare un serio convincimento in ordine alla concludenza e all’esclusività dell’intento illecito, avente efficacia determinativa della volontà di parte datoriale. 3. Preliminarmente, è infondata l’eccezione di tardività del ricorso, formulata da parte resistente per decorrenza del termine breve L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 62, secondo cui il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello a definizione del reclamo deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa o dalla notificazione se anteriore . Il successivo comma 64 aggiunge che in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l’art. 327 c.p.c. . 3.1. A prescindere da ogni altro rilievo in punto di diritto, è assorbente rilevare che il ricorso è stato notificato il 9 novembre 2017, che - come si dà atto anche nel controricorso - corrisponde al 61 giorno dalla data di pubblicazione della sentenza data che, secondo l’assunto del resistente, sarebbe coincisa con quella di comunicazione del provvedimento . Poiché il 9 novembre 2017 è un lunedì, la scadenza - anche a volere seguire la tesi prospettata dal D. - sarebbe avvenuta in un giorno coincidente con la domenica, con conseguente automatico differimento ex lege al primo giorno successivo non festivo ex art. 155 c.p.c., comma 3. 4. Tanto premesso, il ricorso merita accoglimento nei termini che seguono. 5. In via generale, ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, giova ribadire che la L. n. 604 del 1966, art. 3, richiede a la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso b la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali - insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati - diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività c l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili v., da ultimo, in tali termini, Cass. n. 24882 del 2018 . 6. Occorre pure ribadire che la più recente e ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost. ove, però, il giudice accerti in concreto l’inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta Cass. n. 10699 del 2017 . È sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa Cass. n. 25201 del 2017 . 7. Quanto all’eventuale allegazione del lavoratore riguardo al carattere ritorsivo del licenziamento - e quindi alla domanda di accertamento della nullità del provvedimento espulsivo, in quanto fondato su un motivo illecito -, si è precisato che, per accordare la tutela che l’ordinamento riconosce a fronte di tale violazione, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso Cass. n. 14816 del 2005 , dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento Cass. n. 5555 del 2011 . L’onere della prova del carattere ritorsivo nel provvedimento adottato dal datore di lavoro grava sul lavoratore e può essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l’intento di rappresaglia, dovendo tale intento aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro cfr. Cass. nn. 10047 del 2004, 18283 del 2010 . 7.1. Il principio è stato anche di recente ribadito con riferimento al nuovo testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, che ha previsto, ai fini della nullità del licenziamento, la rilevanza del motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., anche non necessariamente unico, il cui carattere determinante può restare escluso dall’esistenza di un giustificato motivo oggettivo solo ove quest’ultimo risulti non solo allegato dal datore di lavoro, ma anche comprovato e, quindi, tale da poter da solo sorreggere il licenziamento, malgrado il concorrente motivo illecito Cass. n. 30429 del 2018 . Affinché resti escluso il carattere determinante del motivo illecito ex art. 1345 c.c. non è sufficiente che il datore di lavoro alleghi l’esistenza d’un giustificato motivo oggettivo, ma è necessario che quest’ultimo risulti comprovato e che, quindi, possa da solo sorreggere il licenziamento, malgrado il concorrente motivo illecito parimenti emerso all’esito di causa v. Cass. sent. 30429 del 2018 cit. nella vicenda ivi esaminata era stato positivamente dimostrato soltanto il motivo illecito, mentre non era emersa la prova di quello lecito, ossia del giustificato motivo oggettivo allegato dalla società . 8. Occorre dunque procedere alla verifica della corretta applicazione alla fattispecie in esame dei principi riepilogati ai precedenti punti 5, 6 e 7. 8.1. Ad avviso della Corte territoriale a l’intento ritorsivo poteva desumersi dall’evolversi della vicenda facente seguito alle rivendicazioni del lavoratore, che aveva subito un primo licenziamento, poi revocato ma non seguito da un’effettiva riammissione in servizio b dalla prova testimoniale e documentale, da cui era emerso che la L2 s.r.l., nel lasso temporale tra l’assunzione e il secondo recesso tre mesi circa , non subì alcuno stravolgimento di tipo economico-finanziario , avendo registrato soltanto risultati non apprezzabili nel segmento russo-siberiano del mercato pertanto, la soppressione del posto di lavoro occupata dal D. non poteva ritenersi correlata ad una crisi aziendale e, dunque, non poteva ricorrere il giustificato motivo oggettivo. 9. È innanzitutto errata in punto di diritto in quanto in contrasto con i principi affermati ai precedenti punti 5 e 6 l’affermazione, su cui la sentenza si fonda, secondo la quale la soppressione di un posto di lavoro motivata da ragione economiche, anche eventualmente giustificate dall’esigenza di una riduzione dei costi o comunque di una migliore redditività dell’impresa, non potrebbe integrare il giustificato motivo oggettivo del licenziamento ove non sia dimostrata, a sostegno di tale soppressione, l’esistenza di una crisi aziendale. Al contrario, come si è detto in precedenza, il giustificato motivo oggettivo ben può ricorrere anche in caso di soppressione di una determinata postazione di lavoro in difetto di crisi aziendale, ove ricorrano i presupposti sopra indicati di effettività, in relazione alla motivazione economica addotta a suo fondamento, e di nesso causale tra tale ragione economica e la scelta del lavoratore interessato. 10. Il riscontro della insussistenza del giustificato motivo oggettivo comporta, nel regime introdotto dalla L. n. 92 del 2012, l’applicazione delle tutele correlate al difetto della causale giustificativa del licenziamento, mentre per accordare la tutela prevista per il licenziamento nullo L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, come novellato dalla L. n. 92 del 2012 , perché adottato per motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., occorre che il provvedimento espulsivo sia stato determinato esclusivamente da esso, per cui la nullità deve essere esclusa se con lo stesso concorra un motivo lecito, come una giusta causa art. 2119 c.c. o un giustificato motivo L. n. 604 del 1966, ex art. 3 . Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, e quindi deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L’esclusività sta a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale. Il giudice, una volta riscontrato che il datore di lavoro non abbia assolto gli oneri su di lui gravanti e riguardanti la dimostrazione del giustificato motivo oggettivo, procede alla verifica delle allegazioni poste a fondamento della domanda del lavoratore di accertamento della nullità per motivo ritorsivo, il cui positivo riscontro giudiziale dà luogo all’applicazione della più ampia e massima tutela prevista dal L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1. 11. Nel caso in esame, innanzitutto, l’affermata insussistenza del giustificato motivo oggettivo è stata tratta da una premessa errata v. precedente punto 9 , che ne inficia l’intero accertamento di merito. Inoltre, la Corte territoriale sembra avere operato un indebito giudizio di comparazione o di bilanciamento, tra le circostanze allegate dal lavoratore a sostegno del motivo illecito e i fattori prospettati dal datore a giustificazione del licenziamento, anziché applicare le regole sul riparto dell’onere probatorio e seguire l’ordine logico degli accertamenti. 12. Per tali assorbenti motivi, la sentenza va cassata per un nuovo accertamento di merito alla stregua dei principi di diritto richiamati ai punti 5, 6 e 7 che precedono, cui va aggiunto l’ulteriore principio che segue In ipotesi di domanda proposta dal lavoratore che deduca la nullità del licenziamento per il suo carattere ritorsivo, la verifica di fatti allegati dal lavoratore richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del recesso, che risulti solo allegata dal datore, ma non provata in giudizio, poiché la nullità per motivo illecito ex art. 1345 c.c., richiede che questo abbia carattere determinante e che il motivo addotto a sostegno del licenziamento sia solo formale e apparente . 13. Si designa quale giudice di rinvio la Corte di appello di Bari in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio. 14. Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.