Esclusa la reintegra nel posto di lavoro se nell’appalto è subentrata una nuova società

L’art. 2112 c.c. che assicura la continuità dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento di azienda, non è applicabile nell’ipotesi di successione tra imprenditori in un appalto di servizi nella quale si prevista la risoluzione del primo rapporto di lavoro e la ricostituzione di un secondo rapporto ex novo.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8922/19, depositata il 29 marzo. Il fatto. La Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello avverso la sentenza che aveva rigettato la domanda di un lavoratore che chiedeva di essere reintegrato nel posto di lavoro per illegittimità del licenziamento. La decisione della Corte era fondata sul fatto che la società era subentrata nell’appalto quanto il lavoratore non era più in forze alla precedente società, poiché licenziato, e non sussisteva dunque un obbligo di assunzione. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il lavoratore soccombente. Successione nell’appalto vs trasferimento di azienda. La Corte chiarisce in primo luogo che le ipotesi di successione tra imprenditori in un appalto di servizi e di trasferimento di azienda art. 2112 c.c. devono essere tenute distinte in quanto non automaticamente sovrapponibili. Si ha una coincidenza delle due fattispecie – o meglio, la prima integra la seconda – laddove sia accertato in concreto il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del know how o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti. Si tratta di un accertamento che nel caso di specie è stato omesso ma, dalla stessa ricostruzione del fatto, risulta che la società subentrante nell’appalto si era fatta carico dell’assunzione ex novo, senza patto di prova, del personale dipendente della precedente e in forza al momento del subentro. La risoluzione del primo rapporto di lavoro e la ricostituzione del secondo comportano l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c In conclusione la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 febbraio – 29 marzo 2019, n. 8922 Presidente Bronzini – Relatore Patti Fatti di causa Con sentenza in data 30 gennaio 2017, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da S.M. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato la domanda nei confronti di De Vizia Transfer s.p.a. di reintegrazione nel posto di lavoro e di pagamento delle retribuzioni e contributi maturati dal 18 agosto 2003, data di licenziamento dalla sua datrice C.I.C. s.p.a. per cessazione dell’appalto di igiene urbana con il Comune di Fondi, sul presupposto del suo annullamento dal Tribunale di Cassino con sentenza parziale. A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva che la società non fosse tenuta all’assunzione del lavoratore, essendo subentrata nell’appalto per la pulizia dell’arredo e per la raccolta dei rifiuti solidi urbani della città di Fondi il 24 dicembre 2003, quando il predetto non era più in forza alla precedente società, in quanto licenziato. Né la sentenza di annullamento del licenziamento poteva ritenersi ad essa opponibile, in quanto non era stata parte di quel giudizio, né potendosi applicare al caso di specie, non integrante una cessione d’azienda, il regime di continuità dell’art. 2112 c.c., ma dell’art. 6 CCNL di categoria. Avverso tale sentenza, con atto notificato il 17 luglio 2017, il lavoratore ricorreva per cassazione con tre motivi, mentre la società intimata non svolgeva difese. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c., e art. 2909 c.c., per l’erronea esclusione di opponibilità degli effetti della sentenza parziale di annullamento del licenziamento del lavoratore anche alla società subentrata nel contratto di appalto a C.I.C. s.p.a., in quanto sua avente causa a titolo particolare, a norma dell’art. 111 c.p.c., u.c 2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., per l’erronea distinzione tra subentro in un appalto di servizi e cessione di azienda, ben rientrando la prima fattispecie nell’accezione lata della seconda, individuabile in ogni operazione comportante il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, secondo le direttive 77/187/CEE e 98/50/CEE, come interpretate dalla giurisprudenza Eurounitaria, per la configurabilità di un trasferimento d’azienda anche nell’ipotesi di successione in un contratto d’appalto e tenuto infine conto anche del D.Lgs. n. 122 del 2016, art. 30, sostitutivo del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3, che esclude la configurabilità di un trasferimento di azienda nel subentro in un appalto, soltanto ove siano presenti elementi di discontinuità non ricorrenti nel caso di specie. 3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 6 CCNL Servizi Ambientali e Territoriali e L. n. 300 del 1970, art. 18, per erronea esclusione di applicabilità della norma collettiva denunciata, in conseguenza della ricostituzione del rapporto di lavoro di fatto e di diritto con C.I.C. s.p.a. per effetto della sentenza di annullamento del licenziamento illegittimo e dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro. 4. I tre motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati. 4.1. In via di premessa, giova distinguere la successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi e il trasferimento di azienda, in quanto fattispecie non automaticamente sovrapponibili. E ciò perché la prima integra la seconda, regolata dall’art. 2112 c.c., soltanto qualora sia accertato in concreto il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del know how o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti altrimenti ostandovi il disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza Eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla Direttiva n. 2001/23/CEE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda. Sicché non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante Cass. 13 gennaio 2005, n. 493 Cass. 16 maggio 2013, n. 11918 Cass. 6 dicembre 2016, n. 24972 . 4.2. Ora, nel caso di specie non è stato compiuto un tale accertamento, risultando anzi dalla stessa esposizione in fatto del lavoratore ricorrente, in ottemperanza della clausola di salvaguardia dell’art. 6 del CCNL Servizi Ambientali e Territoriali . l’assunzione ex novo, senza patto di prova da De Vizia Transfer s.p.a., subentrante nel medesimo appalto del servizio di smaltimento dei rifiuti del Comune di Fondi, del personale dipendente della C.I.C. s.p.a. ed in forza al momento del subentro così al primo capoverso di pg. 2 del ricorso . E ciò comporta la risoluzione del primo rapporto di lavoro e la ricostituzione di uno nuovo con l’impresa subentrante, così da elidere la continuità del rapporto stabilita dall’art. 2112 c.c 4.3. Inoltre, la sentenza del Tribunale di Cassino di annullamento per illegittimità del licenziamento intimato da C.I.C. s.p.a. al lavoratore è inopponibile a De Vizia Transfer s.p.a., che non ha partecipato al giudizio, né ha qualità di successore a titolo particolare nel medesimo rapporto che non sussiste per la ragione detta , al contrario del cessionario di azienda Cass. 9 ottobre 2013, n. 22918 Cass. 21 maggio 2018, n. 12436 . 4.4. Quanto, infine, alla norma collettiva denunciata, essa è inapplicabile in assenza del presupposto di essere stato il lavoratore in forza alla società precedente appaltatrice dello stesso servizio, in quanto licenziato, al momento del subentro della nuova impresa nell’appalto, pertanto non inserito nell’organico della prima. Ed è irrilevante, per la ragione di discontinuità illustrata, la pendenza in allora del giudizio di accertamento della il legittimità del licenziamento, non operando l’effetto retroattivo delle pronunce di annullamento per illegittimità e di ordine di reintegrazione, al contrario che nell’ipotesi di cessione d’azienda Cass. 21 febbraio 2014, n. 4130 , non ricorrente. 5. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo la società intimata svolto difese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.