Non si può abusare delle clausole elastiche nel lavoro part-time

Il superamento del monte ore annuo massimo previsto dalla contrattazione collettiva per il lavoro a tempo parziale, in difetto di previsione legale o contrattuale collettiva, non determina la trasformazione del rapporto in lavoro a tempo pieno, salva la possibilità che, a causa della continua prestazione di un orario pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, possa ritenersi che la trasformazione si sia verificata per fatti concludenti, trattandosi di una prestazione di un orario maggiore, tale da far venire meno la scelta contrattuale iniziale di un orario parziale, superabile solo in determinate circostanze.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con ordinanza n. 8658/19 depositata il 28 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Bologna ha riformato la sentenza con cui era stata accertata la natura a tempo indeterminato di un rapporto di lavoro in conseguenza dell’accertamento della nullità delle clausole temporale apposte a diversi contratti stipulati tra le parti, con riferimento sia al tempo parziale sia al termine apposto ai medesimi, condannando il datore di lavoro alla ricostruzione del rapporto di lavoro. In particolare, la Corte territoriale ha accolto il gravame della società, ritenendo che le predette clausole temporali non fossero affette da nullità bensì da illegittimità, con l’effetto che i contratti di lavoro non potevano essere considerati invalidi e il rapporto di lavoro non poteva essere ricostituito. Il lavoratore, dunque, avrebbe avuto solo diritto all’integrazione economica per il lavoro svolto in eccedenza rispetto all’orario di lavoro contrattualmente previsto. Differenza tra clausole elastiche e trasformazione di fatto in full-time. Il lavoratore ha impugnato la sentenza di secondo grado ribadendo la nullità delle clausole temporali apposte ai contratti di lavoro, ai sensi dell’art. 5 l. n. 863/1984, applicabile ratione temporis . Infatti, la Corte territoriale aveva errato nel concludere per l’illegittimità di tali clausole, posto che nel caso di specie, oltre a prevedere un orario variabile da 96 a 128 ore mensili, nei fatti la prestazione si era svolta a tempo pieno costantemente per l’intero periodo di lavoro, tant’è che successivamente l’azienda aveva trasformato il contratto in full-time. Ciò che la Corte territoriale aveva dunque omesso era l’accertamento del concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro come rapporto a tempo pieno. La Suprema Corte ha accolto la tesi del lavoratore, ricordando che nella disciplina del rapporto part-time ed in particolare, alla luce dell’art. 5 l. n. 863/1984 va distinta nettamente l’ipotesi in cui vengono previste delle cd clausole elastiche che consentono di richiedere a comando” e senza preavviso la prestazione lavorativa, statuendo in tal caso l’illegittimità della clausola con conseguente diritto alla sola integrazione del trattamento economico, dall’ipotesi in cui si verifica di fatto l’osservanza di un orario a tempo pieno con una automatica trasformazione del rapporto di lavoro per una sopraggiunta volontà delle parti in tal senso. In tale ultimo caso la clausola temporale è nulla ed il rapporto va trasformato in full-time ab origine. La trasformazione per fatti concludenti. Gli Ermellini concludono precisando che il vizio non risiede nel superamento del monte ore massimo di lavoro previsto dalla contrattazione collettiva, di tal che al predetto superamento, in difetto di previsione legale o contrattuale, non consegue la trasformazione del rapporto in lavoro a tempo pieno. Ciò che va sempre verificato è lo svolgimento in concreto del rapporto di lavoro, per come richiesto dal datore di lavoro. Se da tale verifica emerge una continuità della prestazione di un orario pari a quello previsto per il tempo pieno, allora si può correttamente ritenere che si sia già verificata per fatti concludenti la trasformazione in full-time, che annulla la precedente scelta contrattuale di un orario di lavoro parziale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 6 dicembre 2018 – 28 marzo 2019, n. 8658 Presidente Nobile – Relatore Curcio Rilevato 1 Che la corte d’appello di Bologna con sentenza del 18.3.2014 ha riformato la sentenza del tribunale di Bologna che aveva accertato la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro di S.F. e la società Autostrade per l’Italia con decorrenza dal 1.8.1987 e condannato la società alla ricostruzione del rapporto di lavoro, in conseguenza dell’accertamento della nullità delle clausole temporali apposte ai contratti stipulati tra le parti, con riferimento sia al tempo parziale che al termine apposto a detti contratti. 2 Che in particolare la corte d’appello ha accolto il gravame di Autostrade spa con riferimento al motivo di appello relativo alla lamentata erroneità della decisione del giudice di prime cure nell’affermare la nullità della clausola temporale apposta al contratto di lavoro a tempo parziale del S. , precisando che l’illegittimità di tali clausole non comportano l’invalidità del contratto part-time, nè la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma solo l’integrazione del trattamento economico per la corte di merito, tuttavia, il S. nessuna allegazione e prova aveva svolto e nessuna domanda di integrazione del trattamento economico. 3 Che la corte distrettuale ha poi ritenuto la legittimità del termine dei contratti stipulati nel 1987 e nel maggio 1988, poi nel febbraio 1989, ai sensi del D.Lgs. n. 876 del 1977, art. 1 conv. in L. n. 18 del 1978 e integrato dal D.L. n. 17 del 1983, art. 8 bis conv. nella L. n. 79 del 1983, sia del contratto stipulato si sensi della L. n. 56 del 1987, avendo la società prodotto documentazione atta dimostrare la sussistenza dei presupposti di legge per l’apposizione del termine. 4 Avverso la sentenza ha proposto appello il S. affidato a due motivi, ha resistito Autostrade con controricorso. Considerato 5 Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Non avrebbe considerato la corte di merito che sin dal primo grado il S. aveva chiesto che venisse accertata la sussistenza di un contratto a tempo pieno ed indeterminato a far tempo dal primo contratto a termine del 1987 o da data successiva da accertarsi, con riconoscimento dell’anzianità quanto meno dal 1.2.1989, ovvero dalla data della stabilizzazione avvenuta nel 2001. In particolare il ricorrente aveva dedotto, sia in primo grado, ma poi ribadito in appello, che dalla documentazione prodotta in particolare le buste paga si evinceva che l’orario svolto quotidianamente era pari a quello pieno e non part time, come indicato nei contratti di lavoro, che pertanto aveva omesso la corte di valutare la domanda svolta dal lavoratore, erroneamente affermando che non vi erano state allegazioni sul punto. 6 Con il secondo motivo di gravame il ricorrente deduce la violazione dell’art. 5 della L. n. 863 del 1984 e gli artt. 1418 e 1419, 2126, 1414, 1230 e 2094 c.c. la corte di merito, avrebbe erroneamente ritenuto che la clausola prevista dai contratti che indica come durata della prestazione mensile minima 96/128 ore, fosse illegittima e non nulla, mentre si tratterebbe di clausole nulle, perché poste in violazione dell’art. 5 L. n. 863 citata, nella parte in cui non solo stabiliscono un orario variabile da 96/ 128 ore mensili, ma perché nei fatti la prestazione si era svolta a tempo pieno costantemente per l’intero periodo e fino al riconoscimento successivo da parte dell’azienda. Ciò che la corte di merito aveva quindi omesso era l’accertamento del concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro in particolare fra il febbraio 1989 ed il 2001 come di rapporto a tempo pieno. Questione tempestivamente posta dal lavoratore sin dal primo grado. 7 I motivi che possono esaminarsi congiuntamente perché connessi, sono fondati e meritano pertanto accoglimento. 8 Va premesso che ai contratti stipulati a tempo parziale oggetto di esame va applicata, ratione temporis, la disciplina di cui alla L. n. 863 del 1984, art. 5, norma che impone sia la forma scritta che l’esatta distribuzione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno. 9 Il ricorrente, sin dal ricorso di primo grado, come può evincersi sia nella parte trascritta nel ricorso di legittimità, ma soprattutto esaminando detto atto che, unitamente alla memoria difensiva di appello, è stato ritualmente depositato in questa sede allegati n. 4 e n. 6 , ha dedotto di aver di fatto lavorato a tempo pieno sin dal novembre 1988, avendo l’obbligo di reperibilità costante, con una programmazione stabile e con un preavviso variabile da poche ore a 36748, con una prestazione che di fatto diveniva a tempo pieno e che ciò era dimostrato anche dalla documentazione allegata, ossia i CUD del listini paga del periodo controverso. 10 Nella disciplina del rapporto part time, in particolare disciplinato dalla L. n. 863 del 1984 art. 5 questa corte ha distino nettamente l’ipotesi in cui vengono previste delle cd clausole elastiche che consentono di richiedere a comando e senza preavviso la prestazione lavorativa, statuendo in tal caso l’illegittimità della clausola con conseguente diritto alla sola integrazione del trattamento economico cfr Cass. n. 13107/, Cass. n. 1721/2009 , dall’ipotesi in cui si verifica di fatto l’osservanza di un orario a tempo pieno con una automatica trasformazione del rapporto di lavoro per una sopraggiunta volontà delle parti in tal senso Cfr cass. n. 25981/2008 Cass. n. 15774/2011 . In sostanza il superamento del monte ore massimo previsto dalla contrattazione collettiva per il lavoro a tempo parziale, in difetto di previsione legale o contrattuale collettiva, non determina la trasformazione del rapporto in lavoro a tempo pieno, salva la possibilità che, a causa della continua prestazione di un orario pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, possa ritenersi che la trasformazione si sia verificata per fatti concludenti, trattandosi di una prestazione di un orario maggiore, tale da far venir meno la scelta contrattuale iniziale di un orario parziale, superabile solo in determinate circostanze. 11 Nel caso in esame il ricorrente non ha dedotto esclusivamente una illegittimità delle clausole cd. elastiche, ma una continuità di lavoro prestato, indicando elementi da cui dovrebbe evincersi tale diverso atteggiarsi dell’orario di lavoro anche con riferimento alla programmazione degli orari supplementari elevati e anche in ragione di carenze di strutturali organico, indagine istruttoria a cui la corte bolognese non ha dato seguito, essendosi limitata ad un’affermazione in diritto, trascurando di esaminare la rilevanza del concreto svolgimento del rapporto in termini di orario pieno o meno. 12 11 ricorso va pertanto accolto, con rinvio della causa alla corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, che dovrà svolgere la citata indagine istruttoria, attenendosi a quanto statuito in particolare ai punti 10 ed 11. Alla corte bolognese si demanda altresì di provvedere anche in ordine alle spese legali del presente giudizio. P.Q.M. La corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla corte d’appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.