Ancora una pronuncia sul termine di decadenza per l’impugnazione giudiziale dei recessi

In tema di impugnativa del licenziamento individuale ex art. 6 l. n. 604/1966, come modificato dall’art. 32, comma 1, l. n. 183/2010, ove alla richiesta, effettuata dal lavoratore, di tentativo di conciliazione o arbitrato nel termine di 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale consegua il mancato accordo necessario al relativo espletamento, in quanto la controparte non depositi presso la commissione di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento della copia della richiesta, la memoria prevista dall’art. 410, comma 7, c.p.c., dallo scadere di detto termine di 20 giorni decorre l’ulteriore termine di 60 giorni entro il quale il lavoratore medesimo è tenuto a presentare, ai sensi dell’ultima parte del comma 2 del citato art. 6, il ricorso al giudice a pena di decadenza.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 8026, depositata il 21 marzo. Il caso. Un lavoratore aveva adito il Tribunale di Napoli per sentire accertare l’invalidità dei reiterati contratti a termine stipulati con la Fondazione Teatro di San Carlo, chiedendo l’instaurazione di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dalla data del primo contratto. La Fondazione aveva eccepito preliminarmente la decadenza ex art. 32 l. n. 183/2010 in quanto il ricorso giudiziale era stato depositato oltre i 20 giorni successivi alla richiesta di tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c., cui la stessa aveva rifiutato di aderire. Nei primi due gradi di giudizio si era deciso per la tardività dell’impugnazione giudiziale. Per tale ragione il lavoratore è ricorso per la cassazione della sentenza sul punto. Come incide il tentativo di conciliazione sui termini di decadenza per l’impugnazione giudiziale dei recessi. Con la sentenza in commento la Suprema Corte coglie l’occasione per chiarire come opera il sistema delle decadenze per l’impugnazione giudiziale dei licenziamenti disciplinato dall’art. 6 l. n. 604/1966 come modificato dall’art. 32, comma 1, l. n. 183/2010, con particolare attenzione all’ipotesi del tentativo di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c. Come è noto, l’art. 32 ha sostanzialmente creato una nuova fattispecie decadenziale, costruita su una serie successiva di oneri di impugnazione concatenati tra loro. L’ipotesi ordinaria è quella del lavoratore che impugni stragiudizialmente il licenziamento entro 60 giorni e proponga direttamente ricorso al giudice entro 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale. Il lavoratore, però, può far seguire all’impugnazione stragiudiziale, sempre entro il termine di 180 giorni, la richiesta di tentativo di conciliazione ed in tal caso lo stesso soggiace ad un ulteriore incombente in caso di esito negativo di tale procedura, dovendo depositare il ricorso giudiziale entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato raggiungimento dell’accordo conciliativo. Nel caso di specie, secondo la Corte d’Appello di Napoli la richiesta di tentativo di conciliazione, cui il datore di lavoro non aderisce, sospenderebbe il termine per i soli 20 giorni successivi. La Suprema Corte è invece di diverso avviso, ritenendo che la sospensione abbia durata di 60 giorni. Gli effetti della mancata conciliazione sulla decadenza. Gli Ermellini ricordano che la richiesta del tentativo ex art. 410 c.p.c. può condurre ad un esito negativo secondo percorsi molteplici. Innanzitutto, vi è il caso in cui la procedura sia accettata dal datore di lavoro ma poi si concluda con un mancato accordo. In tal caso, il termine di 60 giorni non opera, mentre resta efficace l’originario termine di 180 giorni che viene sospeso per tutta la durata del tentativo di conciliazione e nei 20 giorni successivi. Analogamente, nel caso di mancata accettazione della procedura di conciliazione che si verifica mediante il comportamento concludente del mancato deposito della memoria difensiva entro 20 giorni dal ricevimento della richiesta di conciliazione , dallo spirare del ventesimo giorno decorre un nuovo ed autonomo termine di decadenza di 60 giorni per il deposito del ricorso giudiziale, come nel caso in commento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 29 gennaio – 21 marzo 2019, n. 8026 Presidente Bronzini – Relatore Amendola Fatti di causa 1. D.M.R. convenne innanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Napoli la Fondazione Teatro di San Carlo per sentir accertare l’invalidità dei reiterati contratti a termine stipulati con la Fondazione al fine di essere adibito a mansioni di tersicoreo addetto al corpo di ballo, con instaurazione di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dalla data del primo contratto ovvero dalla diversa data da accertarsi in corso di causa e conseguenti pronunce reintegratorie e risarcitorie. Instaurato il contraddittorio la convenuta eccepì preliminarmente la decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32, la prescrizione dei crediti retributivi e, nel merito, l’infondatezza delle pretese. Il Tribunale adito rigettò il ricorso, rilevando la decadenza sia per i contratti scaduti il 10 luglio 2011, sia per quelli intercorsi dal 26.11.2013 al 5.1.2014 prorogato fino al 30.1.2014 e dall’11.2.2014 al 27.3.2014 prorogato fino al 6.4.2014 . Per i due contratti successivi ritenne la piena conformità a legge. 2. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 2883 del 2017, ha confermato la pronuncia di primo grado. In ordine alla rilevata decadenza - per quanto ancora qui rileva - la Corte napoletana ha ritenuto che l’istante avesse impugnato stragiudizialmente il contratto prorogato al 30 gennaio 2014 e quello prorogato al 6 aprile 2014, per la prima volta, con nota inoltrata a mezzo PEC alla Fondazione in data 14 maggio 2014. Ha fatto decorrere più correttamente da tale data il termine di 180 giorni per l’impugnazione successiva, con scadenza il 10 novembre 2014. Ha considerato che la richiesta di tentativo di conciliazione presentata dal D.M. in tale data sospendesse il termine solo per i successivi 20 giorni, per cui, non essendo stata intrapresa dalla Fondazione alcuna iniziativa per aderire alla richiesta di conciliazione in detto termine, ha condiviso l’assunto del primo giudice secondo cui il lavoratore sarebbe incorso nella decadenza dal 30 novembre 2014, con conseguente tardività dell’impugnazione giudiziale depositata il 9 gennaio 2015. La Corte ha poi respinto anche il secondo motivo di appello con cui il D.M. lamentava che la stipula dei ripetuti contratti a termine dimostrasse l’improprio utilizzo di tale forma contrattuale, anche in violazione della disciplina comunitaria ha infatti limitato il sindacato agli altri due contratti a termine intercorsi tra le parti e non travolti dalla rilevata decadenza condividendo il giudizio del Tribunale in ordine alla loro conformità a legge. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D.M.R. con 3 motivi la Fondazione Teatro di San Carlo ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno comunicato memorie ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, in ordine alla decorrenza del terzo termine di decadenza ivi previsto a seguito della richiesta del tentativo facoltativo di conciliazione ex art. 31, della stessa legge e art. 410 c.p.c Posto che il D.M. aveva inoltrato tale richiesta alla Fondazione in data 10 novembre 2014 e nei venti giorni successivi la stessa non aveva aderito alla procedura, si deduce che solo dal 30 novembre 2014 decorreva l’ulteriore termine di 60 giorni che dunque non era spirato al momento del deposito del ricorso giudiziale il 9 gennaio 2015. 2. La censura è fondata alla stregua di quanto statuito da Cass. n. 27948 del 2018, precedente di questa Corte cui va data continuità. 2.1. Opportuno rammentare in diritto il testo pro tempore vigente della L. n. 604 del 1966, art. 6, come sostituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1, che commina la decadenza di cui si discute 1. Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. 2. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo . 2.2. Come è stato rilevato Cass. n. 22824 del 2015 , la norma, nel modificare la L. n. 604 del 1966, art. 6, ha sostanzialmente creato una nuova fattispecie decadenziale, costruita su una serie successiva di oneri di impugnazione strutturalmente concatenati tra loro e da adempiere entro tempi ristretti. L’ipotesi ordinaria - stante la facoltatività del tentativo di conciliazione - è quella del lavoratore che, dopo aver comunicato al datore di lavoro l’atto di impugnativa del licenziamento, proponga direttamente il ricorso al giudice in tal caso, deve rispettare il suddetto termine di 180 giorni. Ma il lavoratore può liberamente scegliere di percorrere un’altra strada per impedire l’inefficacia dell’impugnazione stragiudiziale, alternativa alla prima. Può far seguire detta impugnazione, sempre entro il termine di 180 giorni, dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato . In tal caso, però, il lavoratore soggiace ad un ulteriore incombente in caso di esito negativo del componimento stragiudiziale deve depositare il ricorso al giudice a pena di decadenza entra sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato raggiungimento dell’accordo necessario all’espletamento della conciliazione o dell’arbitrato. 2.3. Secondo la Corte territoriale la richiesta di tentativo di conciliazione presentata dal D.M. in data 10 novembre 2014 sospenderebbe il termine solo per i successivi 20 giorni, per cui, non essendo stata intrapresa dalla Fondazione alcuna iniziativa per aderire alla richiesta di conciliazione in detto termine, è stato condiviso l’assunto del primo giudice secondo cui il lavoratore sarebbe incorso nella decadenza dal 30 novembre 2014, con conseguente tardività della successiva impugnazione giudiziale depositata il 9 gennaio 2015. 2.4. La tesi non può essere condivisa. La richiesta del tentativo di un componimento stragiudiziale può condurre ad un esito negativo secondo percorsi molteplici. Innanzi tutto può accadere che la procedura richiesta sia accettata dalla controparte e poi espletata ma poi si concluda con un mancato accordo. È l’ipotesi affrontata da Cass. n. 14108 del 2018 secondo cui, in tal caso, non opera il termine di sessanta giorni previsto testualmente dall’ultima parte della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, solo qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento per la richiamata sentenza resta invece efficace l’originario termine di 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale del licenziamento , precisandosi tuttavia che esso, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., comma 2, è sospeso per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi . Nella diversa ipotesi affrontata da Cass. n. 27948 del 2018 l’esito negativo del componimento stragiudiziale è determinato dall’immediato esplicito rifiuto della controparte di intraprendere la procedura conciliativa richiesta, equiparato, per espressa previsione legale, al caso del mancato accordo necessario al relativo espletamento. Da tale rifiuto decorre il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso giudiziale, insensibile alla disciplina generale della sospensione dei termini di decadenza prevista dall’art. 410 c.p.c., comma 2. Analogamente, nell’ipotesi all’attenzione di questo Collegio, nel caso del mancato accordo necessario all’espletamento della procedura di conciliazione, che matura allorquando la controparte non abbia accettato la procedura depositando, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente difese, eccezioni e domande riconvenzionali cfr. art. 410 c.p.c., comma 7 , solo dallo spirare di tale termine di venti giorni, evento significativo della non accettazione della procedura che pertanto abortisce in partenza e non viene svolta, decorre un nuovo ed autonomo termine di decadenza che l’ultima parte dell’art. 6, comma 2, più volte citato fissa, inequivocabilmente, in un lasso temporale di sessanta giorni. 2.5. Poiché la Corte territoriale non ha considerato il terzo termine di decadenza di sessanta giorni decorrente dal mancato accordo sull’esperimento del tentativo di conciliazione, con una non condivisibile interpretazione che commina la decadenza all’alba del ventunesimo giorno successivo al ricevimento della richiesta di conciliazione dalla controparte, la quale fino al giorno prima avrebbe invece potuto aderire depositando la propria memoria, la sentenza deve essere cassata. 2.6. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, viene pertanto enunciato il seguente principio di diritto In tema di impugnativa del licenziamento individuale L. n. 604 del 1966, ex art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1, ove alla richiesta, effettuata dal lavoratore, di tentativo di conciliazione o arbitrato nel termine di 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale consegua il mancato accordo necessario al relativo espletamento, in quanto la controparte non depositi presso la commissione di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento della copia della richiesta, la memoria prevista dall’art. 410 c.p.c., comma 7, dallo scadere di detto termine di 20 giorni decorre l’ulteriore termine di 60 giorni entro il quale il lavoratore medesimo è tenuto a presentare, ai sensi dell’ultima parte del citato art. 6, comma 2, il ricorso al giudice a pena di decadenza . 3. Ne consegue l’assorbimento sia del secondo motivo di ricorso, che denuncia lo stesso errore della Corte territoriale ma sotto forma di omessa pronuncia, sia del terzo motivo che riguarda la legittimità dei contratti a termine ritenuta dai giudici d’appello senza considerare quelli per i quali ha invece ritenuto operante la decadenza. Da tale assorbimento deriva anche che questa Corte non è tenuta a pronunciarsi sulla istanza ex art. 267 TFUE di rinvio pregiudiziale alla C.G.U.E. formulata dalla difesa del ricorrente, atteso che la stessa, allo stato, risulta priva di rilevanza in quanto la cassazione della sentenza impugnata lascia la questione ancora sub iudice, così come devoluta al giudice del rinvio. Conclusivamente il primo motivo di ricorso va accolto, dichiarando assorbiti gli altri due motivi, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di Appello indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, regolando anche le spese. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.