Superato il tetto di reddito indicato dalla legge, spetta al giudice quantificare le spese di lite

Rientra nella discrezionalità del legislatore individuare un tetto di reddito al di sotto del quale opera l’esenzione dalle spese processuali. Ma superato tale tetto spetta al giudice la quantificazione delle spese di lite.

Sul punto la Corte di Cassazione con ordinanza n. 7712/19, depositata il 20 marzo, chiamata a decider su una questione relativa alla richiesta di assegno ordinario di invalidità da parte di un lavoratore all’INPS. In particolare, al riguardo, in assenza dei requisiti per l’esonero previsti dall’art. 152 disp. att. c.p.c., il giudice di secondo grado condannava la parte soccombente, ossia il lavoratore, al pagamento delle spese del giudizio. La liquidazione delle spese processuali. Il ricorrente ritiene che risulti illegittimo che la parte meno abbiente di un’altra, ma che comunque superi il limite reddituale previsto dalla legge, sia costretto a pagare lo stesso importo economico a titolo di spese di giudizio. Al riguardo la Suprema Corte ricorda che rientra nella discrezionalità del legislatore individuare un tetto di reddito al di sotto del quale opera l’esenzione dalle spese processuali e superato il quale spetta al giudice la quantificazione delle spese di lite con i criteri e le modalità previste dalla legge. Per tali motivi, gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 18 dicembre 2018 – 20 marzo 2019, n. 7712 Presidente D’oronzo - Relatore Ghinoy Rilevato che 1. il Tribunale di Rieti omologava l’accertamento negativo del requisito sanitario per l’assegno ordinario di invalidità L. n. 222 del 1984, ex art. 1, richiesto da C.L. e, in assenza dei requisiti per l’esonero previsti dall’art. 152 disp. att. c.p.c., condannava la parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 1.200,00, nonché delle spese di c.t.u 2. Per la cassazione del decreto in relazione al capo sulle spese C.L. ha proposto ricorso, affidato ad un motivo, cui l’Inps ha resistito con controricorso. Considerato che 3. a fondamento del ricorso il C. deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 152 disp. att. c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 38 Cost Ritiene che risulti illegittimo che il ricorrente meno abbiente di un altro, ma che comunque superi il limite reddituale previsto dalla norma richiamata, sia costretto a pagare lo stesso importo economico titolo di spese processuali. Riferisce di essere titolare di un reddito da pensione pari ad Euro 17.898,47, mentre il reddito da pensione del padre convivente, pari ad e 13.323,00, essendo destinato a scopi alimentari, non concorre effettivamente alla sua situazione economica. 4. Il ricorso non è fondato, e manifestamente infondata è la prospettata questione di legittimità costituzionale. Rientra infatti nella discrezionalità del legislatore individuare un tetto di reddito al di sotto del quale opera l’esenzione dalle spese e superato il quale compete giudice la quantificazione delle spese di lite, con i criteri e le modalità previste dalla legge. 5. L’individuazione di una soglia è determinata del resto dalla limitatezza delle risorse economiche disponibili limitatezza valorizzata dalla Corte costituzionale nella sentenza 19-11-2015, n. 237 nel giustificare la tutela differenziata dell’imputato non abbiente rispetto al ricorrente nel giudizio civile e amministrativo ai fini dell’accesso al gratuito patrocinio - ed il ricorrente non ne censura l’ammontare come manifestamente inadeguato. 6. Nè risulta irragionevole che il legislatore abbia attribuito rilievo alla convivenza, quando essa comporti un accrescimento delle capacità economiche del nucleo familiare, con il previsto computo, ai fini della determinazione della soglia per l’esonero, anche del reddito percepito dai componenti diversi dall’istante. 7. La questione proposta, dove suggerisce una graduazione nella liquidazione delle spese processuali in correlazione al reddito, determinerebbe poi una pronuncia additiva della Consulta, possibile solo allorché esista un’unica soluzione costituzionalmente obbligata v. Cass. n. 5287 del 6.3.2018 , il che non si verifica nel caso in esame, in considerazione della discrezionalità attribuita al legislatore e della soluzione non irragionevole nel caso adottata. 8. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore notificata ex art. 380 bis c.p.c., all’esito della quale le parti non hanno formulato memorie, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5. 9. Le spese seguono la soccombenza. 10. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.