Il contributo integrativo è dovuto anche dall’avvocato iscritto a Cassa previdenziale estera

L’obbligo di versamento del contributo integrativo deriva non dalla iscrizione alla Cassa professionale, bensì dalla prestazione professionale resa ed il professionista può ripeterlo nei confronti del cliente. Da ciò consegue che dalla iscrizione all’Albo deriva l’obbligo di versare il contributo integrativo per tutti coloro che, anche non iscritti alla Cassa, abbiano svolto l’attività forense in Italia, indipendentemente dall’essere iscritto ad altri albi professionali e Casse previdenziali di diverso paese UE.

Principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5376, pubblicata il 22 febbraio 2019. La vicenda. Un avvocato iscritto ad Albo Avvocati in Germania, alla Cassa Previdenziale Forense tedesca ed all’Albo Avvocati di Milano, proponeva opposizione avverso la cartella esattoriale con cui la Cassa Forense Italiana gli richiedeva il pagamento di somme a titolo di conguaglio sul contributo integrativo anno 2005 e conseguenti sanzioni, nonché le sanzioni per mancato invio della comunicazione annuale dei redditi prodotti. Il Tribunale rigettava l’opposizione. Proposto appello da parte del professionista, la Corte d’Appello accoglieva il gravame, annullando la cartella opposta, dando atto che in analogo giudizio tra le medesime parti, la Corte di Cassazione aveva affermato che il professionista appellante non era tenuto all’invio della comunicazione reddituale ed i medesimi principi enunciati dal Supremo Collegio potevano estendersi anche alla questione della debenza del contributo integrativo, oggetto dell’appello proposto. Proponeva così ricorso in Cassazione la Cassa. Obbligo di comunicazione del reddito ed obbligo contributivo. La Cassa ricorrente si duole per avere la corte territoriale fatto discendere che l’esonero dall’obbligo di comunicazione dei dati di reddito potesse essere esteso anche all’obbligo di versamento del contributo integrativo. Evidenziando che quest’ultimo aveva la funzione di alimentare il flusso di contributi alla Cassa al fine di consentire l’erogazione delle prestazioni previdenziali, mediante l’obbligo di pagamento di contributi anche ai soggetti committenti le prestazioni professionali clienti . E che l’eventuale restituzione di tali contributi avrebbe potuto comportare un indebito arricchimento del professionista, ove questi non li avesse restituiti ai propri clienti. O, ancora, qualora il professionista esentato, iscritto a Cassa straniera che non richiedeva analogo contributo, non avesse richiesto al cliente la percentuale per cassa previdenziale, si sarebbe potuta configurare una ipotesi di violazione del principio di libera concorrenza. La Suprema Corte, pone innanzitutto una netta distinzione tra l’obbligo di comunicazione alla Cassa previdenziale dell’ammontare del reddito professionale e l’obbligo contributivo. Evidenzia altresì, con riguardo al caso di specie, che per l'iscrizione alla Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense, al tempo in cui si colloca la fattispecie, occorrevano due requisiti l'iscrizione all'albo professionale e l'esercizio della professione con carattere di continuità. Non potevano usufruire della previdenza forense coloro che esercitavano la libera professione in modo occasionale pur rimanendo iscritti all'albo professionale. La debenza del contributo integrativo. Va altresì distinto il contributo integrativo dal contributo soggettivo. Quest’ultimo è dovuto dagli avvocati iscritti alla Cassa ed è finalizzato alla creazione di una posizione previdenziale. Mentre il primo è dovuto per il solo fatto di essere iscritti all’Albo professionale anche non iscritti alla Cassa e di avere esercitato in Italia attività forense. Pertanto non viene ad assumere alcuna rilevanza il fatto che gli avvocati iscritti in altri albi professionali e relative casse previdenziali estere, che abbiano esercitato l’opzione per una di esse, siano esentati dall’obbligo di comunicare i dati reddituali trattandosi di fattispecie del tutto distinte. E per tale motivo non può trovare rilevanza la sentenza della Corte di Cassazione n. 24784/2009, resa tra le medesime odierne parti, poiché tale decisione aveva affrontato questioni diverse da quella attualmente portata all’esame del Supremo Collegio. L’obbligo di versamento del contributo integrativo deriva non dalla iscrizione alla Cassa, bensì dalla prestazione professionale resa ed il professionista può ripeterlo nei confronti del cliente. Con l’eccezione dello svolgimento di attività professionale autonoma in uno Stato membro Ue, con contestuale svolgimento di analoga attività saltuaria in altro Stato membro. Nel qual caso, occorrerà stabilire la parte sostanziale” dell’attività autonoma resa nello Stato membro, al fine di determinare in favore di quale Cassa previdenziale scatterà l’obbligo contributivo. L’onere della prova circa la parte sostanziale dell’attività professionale è a carico del professionista. E nel caso deciso, il professionista, oltre ad avere dato atto della iscrizione alla Cassa previdenziale tedesca ed alla contemporanea iscrizione all’Albo Avvocati tedesco ed italiano e di avere optato per l’iscrizione alla Cassa straniera, non ha fornito altro rilievo probatorio atto ad escludere l’obbligo di pagamento del contributo integrativo alla Cassa Forense italiana. La Corte di Cassazione ha così accolto il ricorso proposto dalla Cassa di Previdenza Forense, cassando la sentenza impugnata, con rinvio ad altra corte di merito.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 gennaio– 22 febbraio 2019, numero 5376 Presidente Manna - Relatore Fernandes Fatti di causa 1. B.M. - avvocato iscritto all’Albo degli Avvocati in Germania nonché alla Cassa di Previdenza degli Avvocati dello Stato Federato tedesco Bundesland Nordrhein-Westfalen ed all’Albo degli Avvocati di Milano - proponeva opposizione avverso la cartella esattoriale con la quale la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense d’ora in avanti Cassa gli aveva chiesto il pagamento di somme a titolo di conguaglio del contributo integrativo anno 2005 e relative sanzioni nonché le sanzioni per il mancato invio della comunicazione prevista dalla L. 20 settembre 1980, numero 576, art. 17 riguardo agli anni 2000 e 2001. Deduceva che, avendo optato per la Cassa di Previdenza tedesca, poteva essere assoggettato ad un’unica legge previdenziale ragion per cui la Cassa - dalla quale era stato cancellato sin dal 1997 non poteva chiedergli né l’invio delle comunicazioni L. numero 576 del 1980, ex art. 17 né il pagamento del contributo integrativo. 2. L’adito giudice rigettava l’opposizione ed avverso tale decisione proponeva appello il B. evidenziando che questa Corte, con sentenza numero 24784/2009 - decidendo sul ricorso proposto da esso appellante avverso la sentenza numero 344/2005 della Corte d’Appello di Milano emessa tra le stesse parti ed avente ad oggetto i medesimi titoli di cui alla cartella impugnata in questa sede - l’aveva cassata e, con decisione nel merito, aveva dichiarato esso ricorrente non tenuto alla dichiarazione di cui alla L. numero 576 del 1980, art. 17 che, dovendo trovare applicazione i principi affermati in quella pronuncia, l’impugnata sentenza era da riformare e l’opposizione da accogliere. La Cassa nel costituirsi, preso atto della sentenza numero 24784/2009 di questa Corte, dichiarava di insistere solo riguardo alla richiesta di pagamento del contributo integrativo. 3. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 16 maggio 2013, in riforma della decisione del Tribunale, accoglieva l’opposizione annullando l’opposta cartella in quanto riteneva che i principi espressi nella sentenza di questa Corte numero 24784/2009 con riferimento all’esclusione dell’obbligo di comunicazione di cui alla L. numero 576 del 1980, art. 17 ben potevano estendersi anche alla questione della debenza del contributo integrativo nel senso della sua esclusione e stante la non riferibilità al caso in esame della pronuncia delle sezioni unite di questa Corte numero 9184/2012 richiamata dalla difesa della Cassa. 4. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Cassa affidato ad un unico motivo cui resiste con controricorso il B. . La Cassa ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 5. Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. 20 settembre 1980, numero 576, artt. 11, 17 e 22 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, numero 3 per avere la Corte territoriale erroneamente fatto discendere dall’esonero del B. dalla dichiarazione di cui alla L. numero 576 del 1980, art. 17 anche l’esonero dall’obbligo di pagamento del contributo integrativo previsto dalla L. numero 576 del 1980, art. 11, nonostante la menzionata sentenza numero 24784/2009 si riferisse unicamente alla prima questione e benché fosse del tutto diversa la ratio delle due norme L. numero 576 del 1980, art. 17 ed art. 11 ed infatti quanto all’obbligo di comunicazione reddituale obbligatoria - peraltro affermato con riferimento a tutti gli iscritti all’Albo professionale dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza numero 9184/2012 - lo scopo era quello di rendere edotta la Cassa dei flussi di reddito dei professionisti riguardo all’obbligo di versamento del contributo integrativo la funzione era quella di alimentare il flusso di contributi alla Cassa alfine di consentirle l’erogazione delle prestazioni al verificarsi degli eventi previsti dalla legge in quanto il reperimento dei mezzi necessari alla realizzazione dei fini istituzionali avviene mediante l’imposizione dell’obbligo di pagamento dei contributivi previdenziali sia ai soggetti protetti contributo soggettivo che ai committenti delle prestazioni professionali contributo integrativo , quest’ultimo dovuto da tutti gli iscritti all’Albo professionale come chiaramente evincibile dalla lettera del citato art. 11 ed in considerazione del fatto che - essendo lo stesso pagato dai committenti - la sua eventuale restituzione da parte della Cassa avrebbe potuto comportare un indebito arricchimento del professionista, ove questi non avesse restituito ai clienti il contributo e, inoltre, la non debenza dello stesso da parte del professionista iscritto ad una cassa straniera non richiedente il pagamento di un’analoga forma di contribuzione avrebbe potuto anche, in astratto, configurare una violazione del principio di libera concorrenza potendo il professionista iscritto alla cassa estera offrire condizioni di pagamento della prestazione professionale più favorevoli al cliente non essendo tenuto a richiedergli il pagamento del contributo integrativo. 6. Preliminarmente, si rileva che non ricorre alcuna delle ragioni di inammissibilità del ricorso risultando correttamente inquadrata la censura mossa alla impugnata sentenza. 7. Ciò detto, si osserva che nella vicenda all’esame della Corte si controverte della debenza o meno del contributo integrativo da parte di un avvocato iscritto all’Albo professionale ed alla Cassa di Previdenza tedesca nonché all’Albo degli Avvocati in Italia Foro di Milano . Il ricorrente sollecita l’applicazione alla presente causa del principio affermato nel giudizio tra medesime parti conclusosi con la citata sentenza di questa Corte numero 24784/2009 secondo cui L’obbligo di comunicazione dell’ammontare del reddito professionale alla Cassa di previdenza è correlato all’iscrizione alla Cassa medesima, a prescindere dalla nazionalità, e non sussiste per gli avvocati iscritti in altri albi professionali e alle relative Casse di previdenza, a la stregua dell’art. 17 della legge numero 576 del 1980 e delle istruzioni della Cassa di Previdenza Forense con le quali, in sede di autoregolamentazione, la Cassa ha escluso, per tali avvocati, l’obbligo di comunicazione. Pertanto, l’avvocato cittadino di un paese dell’Unione Europea, iscritto all’Albo degli avvocati nel paese di provenienza e alla relativa Cassa di previdenza, non ha alcun obbligo di comunicazione alla Cassa di Previdenza italiana dell’ammontare del reddito professionale, conseguendone l’illegittimità della penalità comminata, dalla Cassa Nazionale Forense, per l’asserita violazione . 8. Orbene, tale principio non ha rilievo in questa sede essendo stato pronunciato in un giudizio in cui la questione concernente l’obbligazione contributiva qui dibattuta non era stata decisa perché ritenuta questione nuova, non proposta con il ricorso introduttivo del giudizio e, dunque, inammissibile cfr. Cass. numero 24784 del 2009 cit. . 9. Ciò precisato occorre rilevare a che, con riguardo al caso di specie, per l’iscrizione alla Cassa, al tempo in cui si colloca la fattispecie, occorrevano due requisiti l’iscrizione all’albo professionale e l’esercizio della professione con carattere di continuità secondo la regola esistente prima dell’introduzione dell’automaticità dell’iscrizione alla Cassa a seguito dell’iscrizione all’albo degli avvocati ex art. 5 del Regolamento di attuazione e L. 31 dicembre 2012, numero 247, art. 21 sicché non potevano usufruire della previdenza forense coloro che non esercitavano la libera professione in modo occasionale pur rimanendo iscritti all’albo professionale b che qui si discute del contributo integrativo e non di quello soggettivo, il primo dovuto per il fatto di essere iscritto Albo ma non anche alla Cassa e, quindi, sterile perché non produttivo di alcuna prestazione per il soggetto tenuto al pagamento e con finalità meramente solidaristiche, il secondo finalizzato alla creazione di una posizione previdenziale Cass. 32167 del 12 dicembre 2018 . 10. Tanto chiarito, vale ricordare come i caratteri di indisponibilità e di inderogabilità propri della materia previdenziale portino ad escludere che il soggetto interessato alla tutela previdenziale possa operare una scelta della legislazione di sicurezza sociale dello State in cui desidera sia attuata la sua protezione sociale o possa optare di conformarsi o meno alle prescrizioni dell’ente previdenziale deputato a presidiare le regole di sicurezza sociale e, in genere, delle istituzioni di sicurezza sociale dei singoli Stati membri dell’Unione Cass. numero 6776 del 19/03/2018 . 11. Orbene, dall’essere iscritto all’Albo derivava l’obbligo di versare il contributo integrativo per tutti coloro - anche non iscritti alla Cassa che avessero svolto l’attività forense in Italia, e ciò indipendentemente dall’essere cittadino italiano o di un diverso paese dell’UE come nel caso in esame . È, dunque, evidente che qui non ha alcuna rilevanza l’esercizio della facoltà di opzione che l’ordinamento nazionale italiano riconosceva al professionista, iscritto ad altri Albi professionali e Casse previdenziali D.M. 22 maggio 1997, recante regolamento di attuazione della L. numero 576 del 1980, artt. 17 e 18, all’art. 1, comma 4, secondo cui Gli avvocati ed i procuratori iscritti anche in altri albi professionali e alle relative casse previdenziali, che abbiano esercitato l’opzione a favore di una di tali casse, se prevista, non hanno l’obbligo di inviare le prescritte comunicazioni. Essi devono provare l’avvenuto esercizio dell’opzione per escludere gli obblighi contributivi e dichiarativi. che la pronuncia di questa Corte numero 24784/2009 cit. aveva riconosciuto al B. sul rilievo che, diversamente opinando, l’esclusione da detta facoltà di opzione avrebbe ritrovato la sua esclusiva giustificazione nella nazionalità estera del professionista, ancorché cittadino Europeo, sì da determinare una discriminazione sulla base della nazionalità, ed un pregiudizio per la libertà di stabilimento, in violazione dei principi del Trattato artt. 12, 43 . 12. L’obbligo di versamento del contributo integrativo, infatti, deriva non dalla iscrizione alla Cassa, bensì dalla prestazione professionale resa ed il professionista può ripeterlo nei confronti del cliente. 13. Peraltro, nel caso in esame non risultano allegati o provati da parte del D. quegli elementi sulla cui scorta la normativa comunitaria applicabile ratione temporis costituita dal Regolamento CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, numero 883, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale delle legislazioni dell’Unione Europea per le attività professionali per quanto ne occupa in questo giudizio individua la legge previdenziale applicabile. In particolare, l’art. 12 del regolamento in esame disciplina l’ipotesi, non ricorrente nella specie ma significativa per le diverse implicazioni, dell’esercizio solo in via temporanea e per una durata, prevedibile, non eccedente il biennio, dell’attività lavorativa autonoma in uno Stato membro con lo svolgimento di attività affine in altro Stato membro, nel quale caso la prevalenza è accordata alla legislazione del primo Stato membro. Nel caso in esame l’abitualità dell’esercizio dell’attività in due o più Stati membri, al di fuori della rigida temporaneità disegnata nell’art. 12, è regolata dall’art. 13 che pone i criteri di collegamento ai quali l’interprete deve raccordare l’individuazione della legislazione applicabile, dando prevalenza alla legislazione dello Stato membro di residenza, se una parte sostanziale dell’attività è esercitata in tale Stato membro, oppure alla legislazione dello Stato membro in cui si trova il centro di interessi delle attività, se la persona non risiede in uno degli Stati membri nel quale esercita una parte sostanziale della sua attività. 14. Ad attribuire un contenuto inequivoco ai criteri di collegamento appena accennati soccorre l’interprete il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio, 16 settembre 2009, numero 987, all’uopo adottato per indicare le modalità di applicazione del citato regolamento numero 883, ed esplicativo degli elementi connotanti la residenza, quali durata e continuità della presenza nel territorio degli Stati membri e luogo in cui l’attività è esercitata abitualmente, con stabilità dell’attività lavorativa art. 11 regolamento numero 897 cit. l’esercizio abituale dell’attività lavorativa autonoma in uno o più Stati membri, integrato dall’esercizio contemporaneo o a fasi alterne, di una o più attività autonome distinte, a prescindere dalla loro natura, in uno o più Stati membri art. 14, comma 3, regolamento cit. la parte sostanziale di un’attività autonoma esercitata in uno Stato membro, intendendo per tale l’esercizio di una parte quantitativamente sostanziale dell’insieme delle attività del lavoratore autonomo, non rilevando che si tratti necessariamente della parte principale dell’attività art. 14, comma 4 regolamento cit. . 15. Per definire la parte sostanziale dell’attività svolta in uno Stato membro, il regolamento di attuazione è entrato ancor di più in dettaglio, introducendo, per l’attività autonoma, i seguenti criteri indicativi fatturato, orario di lavoro, numero di servizi prestati e/o reddito art. 14, comma 8, lett. b, regolamento cit. , con l’ulteriore rilievo per cui nel quadro di una valutazione globale, una quota inferiore al 25% di detti criteri è un indicatore del fatto che una parte sostanziale delle attività non è svolta nello Stato membro in questione art. 14 cit., ultimo periodo così come è stato precisato che per determinare il centro di interessi delle attività di un lavoratore autonomo occorre considerare tutti gli elementi che compongono le attività professionali, in particolare il luogo in cui si trova la sede fissa e permanente delle attività dell’interessato, il carattere abituale o la durata delle attività esercitate, il numero di servizi prestati e la volontà dell’interessato quale risulta da tutte le circostanze art. 14, comma 9 regolamento cit. . 16. Orbene, nel caso in esame il D. oltre al dato - pacifico tra le parti - di essere iscritto all’albo degli Avvocati in Germania nonché alla Cassa di Previdenza degli Avvocati dello Stato Federato tedesco Bundesland Nordrhein-Westfalen ed all’Albo degli Avvocati di Milano non risulta aver allegato la ricorrenza di alcuno dei criteri di collegamento previsti dai menzionati regolamenti ma fonda la sua pretesa solo sul fatto di avere optato per l’iscrizione nell’Albo e nella cassa tedeschi, opzione che, per quanto sopra esposto non è rilevante. 17. Pertanto, il ricorso va accolto, l’impugnata sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.