Licenziamento ante tempus: la disciplina non si applica al contratto di apprendistato

L’apprendistato si configura come rapporto di lavoro a tempo indeterminato a struttura bifasica. In caso di licenziamento intervenuto nella prima fase, ossia durante il corso del periodo di formazione, non è applicabile la disciplina relativa al licenziamento ante tempus, propria del rapporto di lavoro a tempo determinato.

Lo chiarisce la Corte di Cassazione con ordinanza n. 3464/19 depositata il 6 febbraio. Rapporto di lavoro. La Corte d’Appello di Bari, nel rigettare il gravame proposto dalla ricorrente, confermava la decisione del Tribunale con cui si accertava la non esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la lavoratrice e la proprietaria della pizzeria. Secondo i Giudici, tale rapporto era inquadrabile, per un primo periodo, in un’ipotesi di partecipazione all’impresa familiare e, solo in un secondo momento, in apprendistato, conclusosi tra l’altro con recesso datoriale, rispetto al quale la datrice di lavoro era stata condannata a risarcire il danno conseguito ex art. 1226 c.c Contratto di apprendistato determinato o indeterminato? Con riferimento al primo motivo di ricorso, relativo all’inquadramento del rapporto di lavoro in un contratto di apprendistato assoggettato a scadenza anziché a tempo indeterminato, la Corte di Cassazione ritiene di dover far chiarezza richiamando i principi esistenti in materia. Il contratto di apprendistato, affermano gli Ermellini, anche in base alla l. n. 25/1995, si configura come rapporto di lavoro a tempo indeterminato a struttura bifasica la prima fase è contraddistinta da una causa mista, costituita dallo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale, la seconda fase invece continua con la causa tipica del lavoro subordinato. Partendo da tale assunto, continua la S.C., nel caso di licenziamento intervenuto nel corso del periodo di formazione , deve ritenersi inapplicabile la disciplina relativa al licenziamento ante tempus nel rapporto di lavoro a tempo determinato . Avendo, dunque, la Corte territoriale fatto buon uso nel caso di specie di tali principi, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 25 ottobre 2018 – 6 febbraio 2019, n. 3464 Presidente Bronzini – Relatore Leone Rilevato Che La Corte di appello di Bari con la sentenza n. 1730/2016 aveva rigettato gli appelli proposti da C.A. e V.R. avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Foggia aveva ritenuto non accertata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la V. e T.A. dante causa della C. dall’ottobre 2000 al gennaio 2006, che la prestazione fornita dalla V. era inquadrabile in una ipotesi di partecipazione a una impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c., e che pertanto nulla le spettava per il periodo sino al gennaio 2006. Per il periodo successivo era stato stipulato tra le parti un contratto di apprendistato decorrenza 1 febbraio 2006 conclusosi per recesso datoriale, rispetto al quale spettavano alla lavoratrice le differenze retributive non percepite dal recesso alla scadenza del detto contratto. La sentenza del Tribunale era stata impugnata da entrambe le parti. La Corte di appello ha sostanzialmente confermato la decisione del primo giudice peraltro rilevando come il rapporto di lavoro in questione fosse terminato in data 28 agosto 2006, a nulla rilevando la documentazione attestante la chiusura in tale data della pizzeria, e rilevando altresì come non fosse risultata provata la circostanza delle dimissioni della lavoratrice ma quella della iniziativa datoriale. Quest’ultima era quindi considerata quale illegittimo recesso ante tempus dal contratto di apprendistato stipulato tra le parti rispetto al quale correttamente il tribunale aveva liquidato il danno conseguito ex art. 1226 c.c Quanto all’appello incidentale della lavoratrice la corte territoriale rilevava la erronea qualificazione del rapporto in questione quale compartecipazione all’impresa familiare, e, a seguito delle risultanze istruttorie acquisite, escludeva la esistenza di un rapporto lavorativo tra le parti per il periodo antecedente al contratto di apprendistato. Avverso detta decisione proponeva ricorso C.A.A. affidandolo a due motivi cui resisteva con controricorso V.R. che provvedeva a depositare anche successiva memoria. Considerato Che 1 Con il primo motivo del ricorso è denunciata la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, L. n. 604 del 1966, art. 18 L. n. 300 del 1970 e art. 1226 c.c., per aver la corte territoriale errato nel qualificare il rapporto di lavoro in esame quale apprendistato, assoggettato a termine di scadenza anziché a tempo indeterminato e nel ritenere lo stesso cessato per licenziamento orale. Ritiene il ricorrente errata tale qualificazione e da ciò la applicazione dell’art. 1226 c.c La sentenza impugnata ha effettivamente fatto riferimento a contratto di apprendistato a tempo determinato, non confrontandosi con la qualificazione di tale tipo di rapporto secondo i principi in proposito enucleati dal giudice di legittimità. A riguardo è stato chiarito che Il contratto di apprendistato, anche nel regime normativo di cui alla L. n. 25 del 1955, si configura come rapporto di lavoro a tempo indeterminato a struttura bifasica, nel quale la prima fase è contraddistinta da una causa mista al normale scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione si aggiunge l’elemento specializzante costituito dallo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale , mentre, nella seconda, soltanto residuale, perché condizionata al mancato recesso ex art. 2118 c.c., il rapporto unico continua con la causa tipica del lavoro subordinato ne consegue che, nel caso di licenziamento intervenuto nel corso del periodo di formazione, è inapplicabile la disciplina relativa al licenziamento ante tempus nel rapporto di lavoro a tempo determinato Cass. 17373/2017 Cass. n. 5051/2016 Deve peraltro rilevarsi che se pur in rapporto fosse stato correttamente qualificato a tempo indeterminato, lo stesso sarebbe cessato per effetto del recesso datoriale come accertato dalla stessa corte con la conseguente evidente carenza di attuale interesse in capo al ricorrente rispetto al motivo di censura. Il motivo deve essere rigettato. 2 Con il secondo motivo è denunciato l’omesso e contraddittorio esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 . In particolare la ricorrente si duole della mancata valutazione della missiva 5.12.2006 con la quale il datore di lavoro si dichiarava disponibile alla ripresa del lavoro da parte della Vena nonché la circostanza della chiusura della pizzeria nel giorno in cui la lavoratrice sarebbe stata licenziata. Il motivo risulta inammissibile in quanto si è in presenza di una doppia conforme , ovvero di una eguale valutazione di entrambi i giudici di merito sul punto specifico. A riguardo questa Corte ha precisato che alla stregua dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., nella specie applicabile, il ricorrente in cassazione, per evitare la delibazione di inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità cfr., da ultimo, Cass. 14416/2015 inoltre, ex multis, Cass. 5528/2014 ciò, nel ricorso all’esame non è stato fatto, così come non è stato indicato il dove e come le missioni denunciate sono state trattate negli altri gradi, in tal modo costituendo ulteriore profilo di inammissibilità della censura. Il ricorso è infondato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Con distrazione al procuratore antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.