Cessazione della materia del contendere, intervenuta conciliazione e pagamento degli onorari dell’avvocato

L’art. 68 della legge professionale forense, il quale implica l’esistenza di un accordo tra le parti diretto a sottrarre al giudice la pronuncia sulle spese, non si applica nelle ipotesi in cui la causa sia definita con una decisione di cessazione della materia del contendere per intervenuta conciliazione.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 2221/19, depositata il 25 gennaio. La vicenda. Il Tribunale di Roma rigettava la domanda di una lavoratrice volta ad ottenere la condanna della datrice di lavoro al pagamento di una somma di denaro a titolo di differenze retributive. Avverso tale decisione la lavoratrice, una collaboratrice domestica, proponeva appello sostenendo che, avendo il suo difensore richiesto la trasmissione degli atti del Presidente del Tribunale per la liquidazione del suo compenso, il giudice di primo grado avrebbe dovuto attivare il procedimento o dichiarare la cessazione della materia del contendere e liquidare le spese di lite. La Corte capitolina dichiarava cessata la materia del contendere compensando tra le parti le spese di lite. Così la lavoratrice propone ricorso per cassazione. La liquidazione dei compensi dell’avvocato. Al riguardo, la Suprema Corte osserva che correttamente la Corte territoriale ha confermato la decisione di prime cure relativa al rigetto della richiesta di attivazione della procedura di liquidazione dei compensi di cui agli artt. 28, 29 e 30 r.d.l. n. 794/1942, poiché tale procedura può essere richiesta e attivata dal difensore solo dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura al fine di ottenere la liquidazione del compenso dovuto dal cliente, mentre una volta che la lite sia stata incardinata con il deposito del ricorso, la controversia deve essere definita con sentenza che provveda anche sulle spese. Ebbene, nel caso in esame, la conciliazione avvenuta dopo il deposito del ricorso ha comportato la cessazione della materia del contendere. La legge professionale forense. Inoltre, sottolineano gli Ermellini che l’art. 68 della legge professionale forense non si applica nelle ipotesi in cui la causa sia conclusa con una decisione di cessazione della materia del contendere per intervenuta conciliazione, poiché tale norma, stabilendo che le parti che hanno conciliato la lite sono obbligate in solido al pagamento degli onorari degli avvocati, si riferisce agli accordi attraverso cui le parti stesse sono giunte alla cessazione della lite senza una effettiva pronuncia giudiziale al riguardo. Sulla base di quanto sopra detto, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 gennaio 2018 – 25 gennaio 2019, n. 2221 Presidente Nobile – Relatore Leo Fatti di causa Il Tribunale di Roma, con sentenza emessa in data 22.7.2010, rigettava il ricorso proposto da S.K. , nei confronti di C.W. - presso la cui abitazione la prima aveva prestato servizio, quale collaboratrice domestica, dal omissis -, diretto ad ottenere la condanna della datrice di lavoro al pagamento, a titolo di differenze retributive, della somma complessiva di Euro 49.018,25. Avverso tale pronunzia, la S. interponeva appello, sostenendo che, avendo le parti transatto la lite dopo il deposito del ricorso ed avendo il difensore della stessa richiesto la trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale per la liquidazione del suo compenso ai sensi del R.D.L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, il giudice di prime cure avrebbe dovuto attivare il predetto procedimento o, in subordine, dichiarare la cessazione della materia del contendere e liquidare le spese di lite in base al principio della soccombenza virtuale. La Corte territoriale di Roma, con sentenza depositata il 18.2.2013, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava la cessazione della materia del contendere, compensando integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado. Per la cassazione della sentenza ricorre la lavoratrice articolando un motivo contenente tre censure. C.W. resiste con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il ricorso si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29 e 30 L. professionale forense n. 1578 del 1933, art. 68, ed in particolare, si lamenta che la Corte distrettuale, nonostante l’accordo conciliativo con cui è stata implicitamente riconosciuta la fondatezza delle pretese della ricorrente fosse intervenuto in corso di causa e senza la partecipazione del legale della medesima - il quale era stato escluso dalla sottoscrizione del verbale di conciliazione e, pertanto, non aveva neppure rinunciato ai vincolo di solidarietà professionale ex art. 68 L.P. avrebbe arbitrariamente disposto la compensazione delle spese di lite sul presupposto che non fosse possibile ricorrere allo speciale procedimento previsto dal R.D.L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29 e 30, trattandosi di procedura attivabile dal difensore solo dopo la decisione della causa e non fosse possibile applicare l’art. 92 c.p.c. per assenza di previsione di liquidazione di spese, in favore dell’avvocato della ricorrente, nel verbale di conciliazione. 1.1. Il motivo non è meritevole di accoglimento. Invero, la Corte di merito ha, innanzitutto, ricostruito la sequenza fattuale, sottolineando che, in data 19.10.2009, la S. ha inoltrato alla Commissione di Conciliazione istituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Roma la richiesta di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c. e che la Commissione ha convocato le parti per il giorno 13.1.2010, ma che, in quell’occasione, la discussione è stata rinviata al 29.4.2010, stante l’assenza della lavoratrice ha, altresì, dato atto del fatto che, a tale ultima data, in assenza del legale della ricorrente, le parti hanno conciliato la lite con la stipulazione di un accordo transattivo che prevedeva il contestuale pagamento, in favore della S. , della complessiva somma di Euro 2.700,00, a fronte della sua rinuncia ad ogni altra pretesa ricollegabile al rapporto di lavoro intercorso con la controparte . Successivamente, in data 4.6.2010, il ricorso è stato notificato alla datrice di lavoro la quale, costituendosi in giudizio, ne ha eccepito la inammissibilità, essendo intervenuta la predetta conciliazione. All’udienza fissata per la discussione della causa, il difensore della ricorrente ha chiesto che venisse applicata per la liquidazione delle spese, ai sensi dell’art. 68 della legge professionale forense, il rito camerale R.D.L. n. 794 del 1942, artt. 218, 29 e 30 con eventuale trasmissione del fascicolo al presidente della sezione . Tutto ciò premesso, questo Collegio osserva che, correttamente ed in adesione agli arresti giurisprudenziali di legittimità, i giudici di seconda istanza hanno confermato la sentenza di prime cure relativamente alla statuizione di rigetto della richiesta di attivazione della procedura di liquidazione dei compensi prevista dal R.D.L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29 e 30, in quanto tale procedura può essere attivata dal difensore solo dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura per ottenere la liquidazione del compenso dovuto dal proprio cliente, mentre, una volta incardinata la lite con il deposito del ricorso, la controversia deve essere definita con sentenza che provveda anche sulle spese, ai sensi degli artt. 91 c.p.c. e segg Sempre correttamente, la Corte distrettuale ha osservato riformando, sul punto, la decisione del primo giudice - che, nella fattispecie, con tale pronunzia doveva essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, poiché nelle cause soggette all’applicazione del rito del lavoro la litispendenza si determina con il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice competente e non con la notifica cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 4676/1992 per la qual cosa, l’avvenuta conciliazione dopo il deposito del ricorso ha determinato, nella pendenza della lite, la cessazione della materia del contendere. Peraltro, avuto riguardo al disposto dell’art. 92 c.p.c., comma 3, i giudici di secondo grado hanno condivisibilmente disposto la compensazione delle spese di lite, non avendo le parti disposto diversamente nel verbale di conciliazione. Va, infine, osservato che, conformemente ai principi costantemente enunciati da questa Corte cfr., ex multis, Cass. nn. 14193/2010 1899/1986 , l’art. 68 della legge professionale forense non può essere applicato quando la causa sia definita con una pronunzia di cessazione della materia del contendere per intervenuta conciliazione, in quanto la predetta disposizione, nello stabilire che tutte le parti che hanno conciliato la lite sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari ed al rimborso delle spese in favore degli avvocati che hanno partecipato al giudizio definito in quella sede, fa riferimento agli accordi attraverso i quali le parti siano pervenute alla cessazione della lite senza la pronunzia giudiziale e non già ad ipotesi, quale quella di cui si tratta, in cui vi sia stata una decisione del giudice, seppure soltanto finalizzata a provvedere sulle spese. In tali ipotesi, infatti, manca il presupposto stesso per l’applicazione dell’art. 68 citato, il quale implica l’esistenza di un accordo diretto, appunto, a sottrarre al giudice anche la pronunzia sulle spese . 2. Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato. 3. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 4. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00, di cui Euro 800,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.