L’aspettativa retribuita per chi frequenta un corso di dottorato di ricerca

L’art. 2 l. n. 476/1984, come modificato dall’art. 52, comma 57, l. n. 448/2001, in caso di ammissione ai corsi di dottorato di ricerca, riconosce il diritto soggettivo del dipendente pubblico ad essere collocato in aspettativa ed a conservare il trattamento economico previdenziale e di quiescenza in godimento presso l’amministrazione di appartenenza per il solo periodo di durata normale del corso, con esclusione della proroga, anche se autorizzata secondo il regolamento di ateneo.

Cosi la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 432/19, depositata il 10 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello di Torino ha accolto la domanda di un dipendente del Comune di Torino, ammesso a frequentare presso il Politecnico di Torino un dottorato di ricerca, volta a vedersi riconosciuto il diritto alla conservazione del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza non soltanto per l’intera durata del corso di dottorato, ma anche per il periodo di proroga concessogli dall’ateneo. Il Comune di Torino ha impugnato la sentenza di secondo grado, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2 l. n. 476/1984, come integrato dall’art. 52 l. n. 448/2001, che invece attribuisce il predetto diritto solo per il periodo di durata normale del corso e non anche alla proroga. La durata dell’aspettativa retribuita coincide con la durata legale del corso. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune di Torino, escludendo che il dipendente pubblico ammesso a un corso di dottorato senza borsa di studio possa pretendere, ex art. 2 l. n. 476/1984, di conservare il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza anche per il periodo di proroga ed ha evidenziato che il tenore letterale della disposizione consente di ritenere spettante il trattamento economico solo per il periodo di durata del corso. L’intenzione del Legislatore è quella del bilanciamento tra diritto di studio del dipendente e interesse dell’Amministrazione che trova un corretto contemperamento nella prevista prevedibilità in base ai diversi ordinamenti universitari della durata dell’assenza del dipendente stesso, a prescindere dalla ricorrenza di sue specifiche esigenze personali. Peraltro, proseguono gli Ermellini, tale interpretazione è avvalorata dalla disciplina dettata dal successivo d.m. n. 45/2013 che, sebbene non applicabile alla fattispecie ratione temporis , chiarisce il quadro normativo previgente nella parte in cui precisa, all’art. 12 comma 4, che i dipendenti pubblici ammessi ai corsi di dottorato godono dei benefici previsti dall’art. 2 l. n. 476/1984 per il periodo di durata normale del corso. Parità di trattamento con i borsisti. La Suprema Corte evidenzia poi che la modifica attuata con la l. n. 448/2001 aveva lo scopo di porre rimedio alla disparità di trattamento creata tra i dipendenti pubblici che godono della borsa di studio e quelli che, a seguito dell’emanazione del d.m. n. 224/1999 non ne usufruivano. Il predetto decreto ministeriale prevede infatti che la durata dell’erogazione della borsa di studio è pari all’intera durata del corso. Del resto, la proroga che ha carattere individuale e riguarda il termine entro il quale deve essere sostenuto l’esame finale non incide sulla durata legale del corso, che resta quella originariamente fissata, né dà titolo a pretendere la borsa di studio che, anche in considerazione delle modalità di formazione dei fondi sui quali la stessa grava, è necessariamente ancorata alla durata curriculare e non può risentire di proroghe individualmente concesse. E’ evidente, allora, che al dipendente che non fruisca della borsa di studio non può essere riconosciuto un diritto negato al borsista, perché, ove si aderisse ad una diversa tesi, si finirebbe per andare oltre le finalità che avevano ispirato l’intervento del Legislatore nel 2001 e si altererebbe quel bilanciamento di opposti interessi sul quale si fonda la normativa.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 ottobre 2018 – 10 gennaio 2019, n. 432 Presidente Napoletano – Relatore Di Paolantonio Fatti di causa 1. La Corte di Appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva annullato la sanzione disciplinare inflitta dal Comune di Torino a G.T.L. , rigettando per il resto il ricorso. In accoglimento dell’appello principale del G. , respinto l’appello incidentale, la Corte torinese ha ritenuto fondate tutte le domande proposte nei confronti dell’amministrazione municipale e ha condannato il Comune a riconoscere i benefici previsti dalla L. n. 476 del 1984, art. 2 anche in relazione all’anno di proroga del dottorato di ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte da settembre 2009 a gennaio 2010 al riconoscimento a fini economici, giuridici e previdenziali dell’intero anno 2009 alla restituzione degli importi che il Comune aveva decurtato dal trattamento stipendiale, sul presupposto che non fossero dovute le retribuzioni corrisposte da gennaio ad agosto 2009. 2. Il giudice d’appello ha premesso che il G. , ammesso a frequentare presso il omissis un dottorato di ricerca, per il quale non era prevista borsa di studio, aveva chiesto all’ente datore di lavoro l’aspettativa retribuita ai sensi della L. n. 476 del 1984, art. 2 e la domanda era stata accolta con nota del 20 febbraio 2006, nella quale era stato precisato che l’aspettativa doveva ritenersi riferita a tutto il periodo del dottorato . Il regolamento del Politecnico prevedeva che potesse essere concessa la proroga di un anno per il completamento dell’attività didattica e di formazione, proroga che nella specie era stata disposta fino al 31 dicembre 2009 dal competente Collegio dei Docenti. 3. La Corte territoriale ha evidenziato che la disciplina normativa prevede la conservazione del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza per l’intero periodo di durata del corso, che nella specie doveva essere ritenuto quadriennale e non triennale, in quanto, da un lato, la possibilità della proroga era contemplata fin dall’origine dal regolamento dell’ateneo, dall’altro l’aspettativa era stata riconosciuta fino al conseguimento del dottorato. Pertanto doveva ritenersi illegittima la condotta dell’amministrazione la quale aveva escluso che per l’anno di proroga potessero essere riconosciuti i benefici previsti dalla legge ed aveva anche sanzionato il G. , ritenendo ingiustificata l’assenza protrattasi dal 1 gennaio al 7 giugno 2009. 4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Torino sulla base di sei motivi, ai quali ha resistito con tempestivo controricorso G.T.L. . Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 476 del 1984, art. 2, come integrato dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, della L. n. 398 del 1989, art. 6, comma 7, dell’art. 12 del CCNL 14/9/2000 per i dipendenti del comparto regioni e autonomie locali. Ricostruito il quadro normativo e richiamata la circolare del MIUR n. 15/2011, il Comune sostiene, in sintesi, che la possibilità di concedere un anno di proroga non modifica la durata del corso di dottorato, che resta quella prevista dal regolamento di Ateneo, sicché il dipendente può legittimamente chiedere l’aspettativa retribuita solo per il periodo ordinario, al pari del borsista che può godere della proroga, ma non ha titolo a pretendere anche l’erogazione della borsa di studio. Correttamente, pertanto, decorso il triennio, si è ritenuto applicabile il diverso istituto dell’aspettativa non retribuita per motivi di studio, disciplinata dall’art. 11 del CCNL 14.9.2000, posto che la legge non consentiva la protrazione del beneficio e l’originaria autorizzazione si riferiva anch’essa alla sola durata legale del corso e non alla proroga che, a quella data, non era stata concessa né era stata manifestata in alcun modo dal dipendente la volontà di utilizzarla. 1.2. La seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, torna a denunciare, sotto altro profilo, la violazione delle norme di legge richiamate nel primo motivo. Il Comune ricorrente premette che l’art. 2 contiene un rinvio tecnico alle norme che fissano la durata del corso e, quindi, nella specie la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che il D.M. n. 224 del 1999, nel disciplinare i dottorati di ricerca, fa coincidere l’erogazione della borsa di studio con la durata del dottorato. In attuazione di detta norma regolamentare il omissis aveva espressamente escluso che l’eventuale proroga concessa potesse dare titolo ad ottenere la borsa di studio o altre agevolazioni. Aggiunge il ricorrente che il D.M. n. 94 del 2013 ha chiarito che i dipendenti pubblici ammessi ai corsi di dottorato godono per il periodo di durata normale del corso dell’aspettativa prevista dalla contrattazione collettiva , sgombrando il campo da qualunque fraintendimento in merito alla esatta interpretazione della locuzione periodo di durata del corso . 1.3. La terza critica addebita alla sentenza impugnata di avere erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie la L. n. 476 del 1984, art. 2, nel testo riformulato dalla L. n. 240 del 2010 che ha inserito nel corpo della disposizione l’inciso compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione . Muovendo da detta erronea premessa la Corte territoriale ha affermato che l’amministrazione poteva compiere una valutazione preliminare ed eventualmente rifiutare la concessione dell’aspettativa, vincolandosi, in caso contrario, a riconoscere il beneficio per l’intera durata del corso ivi compresa la proroga. In realtà all’epoca dei fatti la norma non lasciava spazio a valutazioni discrezionali del datore di lavoro, valutazioni che, tra l’altro, confermano la necessità di interpretare la normativa in modo da contemperare le esigenze del diritto allo studio con quelle di buon andamento dell’amministrazione pubblica. 1.4. Con il quarto motivo il ricorrente, riprendendo argomenti già sviluppati nei precedenti motivi, insiste nel denunciare la violazione della L. n. 476 del 1984, art. 2 ed evidenzia che la norma di favore per la sua specialità non può essere applicata se non nei limiti previsti dal legislatore che, appunto, ha fatto riferimento alla sola durata del corso, nella quale non può essere ricompresa la proroga, che richiede un provvedimento individuale rimesso alla discrezionalità del collegio dei docenti. Aggiunge il Comune che il ritardo nel quale incorre il dottorando non può essere accollato all’ente datore di lavoro, perché ciò determina una distrazione di risorse che vengono destinate non più ad un fine pubblico bensì a soddisfare esigenze meramente individuali, senza che l’erogazione trovi giustificazione nel diritto allo studio. 1.5. La quinta critica addebita alla sentenza impugnata di avere riconosciuto la progressione economica disciplinata dal contratto integrativo aziendale, che era stata richiesta inammissibilmente solo in grado di appello. Aggiunge il ricorrente che il contratto integrativo esclude espressamente dal beneficio i dipendenti che siano incorsi nelle tipologie di assenza previste dall’art. 5, comma 1 lett. b del CIA del 2005 e, quindi, non consente di tener conto ai fini della progressione del periodo di aspettativa per dottorato. Ravvisa in ciò un omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 5. 1.6. Infine con il sesto motivo il Comune di Torino denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 e dell’art. 3, comma 5, lett. b , c e k del C.C.N.L. 11/4/2008 per i dipendenti del comparto regioni ed autonomie locali. Ribadito che l’aspettativa retribuita si riferiva solo al triennio 2006/2008, il ricorrente sostiene, in sintesi, che lo spirare del termine finale aveva fatto sorgere in capo al dipendente l’obbligo di riprendere tempestivamente servizio e, pertanto, l’assenza protrattasi dal 1 gennaio 2009 alla data di concessione dell’aspettativa non retribuita doveva essere ritenuta ingiustificata. 2. È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dal controricorrente ex art. 360 bis c.p.c., perché la norma invocata trova applicazione solo qualora la sentenza impugnata sia conforme alla giurisprudenza di legittimità ed il ricorso non prospetti argomenti per superarla Cass. S.U. n. 7155/2017 oppure allorquando il caso concreto non sia stato deciso e tuttavia si presti facilmente ad essere ricondotto a casi assolutamente consimili sui quali la Corte ha già statuito Cass. n. 7450/2013 . Nessuna di dette ipotesi ricorre nella fattispecie, perché il precedente invocato dalla difesa del G. non affronta, neppure marginalmente, la questione che qui viene in rilievo ed afferma principi di carattere generale che, lungi dal rendere inammissibile il ricorso, offrono spunti per aderire all’interpretazione della norma di legge prospettata dal ricorrente. 3. Questa Corte ha già escluso che il dipendente pubblico, ammesso a corso di dottorato senza borsa di studio, possa pretendere, L. n. 476 del 1984, ex art. 2, come modificato dalla L. n. 448 del 2001, art. 1, comma 57, di conservare il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza anche per il periodo di proroga del dottorato ed ha evidenziato che l’applicazione del canone esegetico del tenore testuale della disposizione art. 12 preleggi consente di ritenere spettante il trattamento economico solo per il periodo di durata del corso . Ha aggiunto che la chiara intenzione perseguita dal legislatore è quella del bilanciamento tra diritto di studio del dipendente e interesse dell’Amministrazione che eroga la retribuzione pur non fruendo della prestazione lavorativa che trova un corretto contemperamento nella prevista prevedibilità in base ai diversi ordinamenti universitari della durata dell’assenza del dipendente stesso, a prescindere dalla ricorrenza di sue specifiche esigenze personali Cass. 3 maggio 2017 n. 10695 . A detto principio di diritto il Collegio intende dare continuità, perché la diversa soluzione prospettata dalla Corte territoriale muove da una ricostruzione e da un’esegesi non corretta del quadro normativo. 3.1. La L. n. 476 del 1984, art. 2, nel testo originario, si limitava a prevedere che Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. Il periodo di congedo straordinario è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza. . La norma è stata modificata dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 57, che ha inserito, nel comma 1 del citato art. 2, due nuovi periodi, prevedendo che In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo . Sulla disposizione il legislatore è nuovamente intervenuto con la L. n. 240 del 2010, art. 19, comma 3, che ha inserito al primo periodo, dopo le parole è collocato a domanda l’inciso compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione . Solo a partire dal 2 gennaio 2011, data di entrata in vigore della L. n. 240/2010, è stato consentito alle amministrazioni di valutare la domanda di congedo inoltrata dal dipendente ammesso alla frequenza di corsi di dottorato ed eventualmente di respingerla, valorizzando le esigenze organizzative proprie dell’ente. Prima di detta data, invece, la norma attribuiva al dipendente un diritto soggettivo alla fruizione del congedo, sicché la Pubblica Amministrazione non poteva che prendere atto della richiesta, essendo tenuta per legge ad assicurare il trattamento economico, giuridico e previdenziale che il legislatore aveva inteso riconoscere all’ammesso alla frequenza di corsi di dottorato. La modifica normativa non è applicabile alla fattispecie, nella quale pacificamente la domanda è stata inoltrata nell’anno 2006, sicché la Corte territoriale ha errato nell’affermare che l’amministrazione avrebbe potuto respingere la richiesta e che, non avendolo fatto, aveva acconsentito a riconoscere il trattamento economico per l’intero periodo del corso, ivi compreso l’anno di proroga, previsto dal regolamento di ateneo. 3.2. Parimenti errata è la pronuncia nella parte in cui, per estendere l’obbligo retributivo anche all’anno di proroga, valorizza la previsione regolamentare senza interrogarsi sul significato da attribuire alla norma di legge, assolutamente chiara nel limitare il diritto alla durata del corso e nel porre una stretta correlazione fra il beneficio in parola ed il godimento della borsa di studio, rispetto al quale lo stesso è configurato come alternativo. Detta correlazione, invece, è stata valorizzata da questa Corte la quale ha evidenziato che la modifica attuata con la L. n. 448 del 2001 assume il significato di porre rimedio alla disparità di trattamento creata tra i dipendenti pubblici che godono della borsa di studio e quelli che, a seguito dell’emanazione del D.M. n. 224 del 1999 non ne usufruivano Cass. n. 10127/2014 . Il decreto ministeriale in parola, di natura regolamentare, da un lato prevede, all’art. 6, intitolato durata dei corsi e conseguimento del titolo , che per comprovati motivi che non consentano la presentazione della tesi nei tempi previsti, il rettore, su proposta del collegio dei docenti, può ammettere il candidato all’esame finale in deroga ai termini fissati dall’altro stabilisce, all’art. 7, che la durata dell’erogazione della borsa di studio è pari all’intera durata del corso . La proroga, pertanto, che ha carattere individuale e riguarda il termine entro il quale deve essere sostenuto l’esame finale, non incide sulla durata legale del corso, che resta quella originariamente fissata, né dà titolo a pretendere la borsa di studio, che, anche in considerazione delle modalità di formazione dei fondi sui quali la stessa grava, è necessariamente ancorata alla durata curriculare e non può risentire di proroghe individualmente concesse. È evidente, allora, che al dipendente che non fruisca della borsa di studio non può essere riconosciuto un diritto negato al borsista, perché, ove si aderisse alla tesi fatta propria dalla Corte territoriale, si finirebbe per andare oltre le finalità che avevano ispirato l’intervento del 2001 e per alterare quel bilanciamento di opposti interessi sul quale la normativa si fonda, già posto in rilievo dalla richiamata sentenza n. 10695/2017. Avvalora l’esegesi fatta propria dal Collegio la disciplina dettata dal successivo D.M. n. 45 del 2013 che, sebbene non applicabile alla fattispecie ratione temporis, assume anche una valenza chiarificatrice del quadro normativo previgente nella parte in cui precisa, all’art. 12, comma 4, che i dipendenti pubblici ammessi ai corsi di dottorato godono dei benefici previsti dalla L. n. 476 del 1984, art. 2 per il periodo di durata normale del corso . 4. Sulla base delle considerazioni che precedono vanno accolti i primi quattro motivi di ricorso, che si incentrano tutti sull’errata interpretazione della L. n. 476 del 1984, art. 2, con conseguente assorbimento della quinta e della sesta censura. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi al principio di diritto di seguito enunciato la L. n. 476 del 1984, art. 2, come modificato dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 57, in caso di ammissione ai corsi di dottorato di ricerca, riconosce il diritto soggettivo del dipendente pubblico ad essere collocato in aspettativa ed a conservare il trattamento economico previdenziale e di quiescenza in godimento presso l’amministrazione di appartenenza per il solo periodo di durata normale del corso, con esclusione della proroga, anche se autorizzata secondo il regolamento di ateneo . Alla Corte territoriale è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità. La fondatezza del ricorso rende inapplicabile il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.