Riduzione del personale, salvi solo i dipendenti disponibili alla turnazione: licenziamento illegittimo

Vittoria per una cassiera di un supermercato. Riconosciuto l’abuso compiuto col suo licenziamento dall’azienda. In particolare, i Giudici parlano di discriminazione, poiché il criterio prevalente per salvare il posto di lavoro era la disponibilità alla turnazione.

Centro commerciale in crisi. A risentirne è anche il supermercato. A rischio, perciò, molti posti di lavoro, a cominciare da quelli degli addetti alle casse. Inevitabile, quindi, la scelta dell’azienda di optare per la riduzione del personale. Va censurata, però, l’ottica applicata nella selezione dei dipendenti ‘da salvare’, ottica centrata quasi esclusivamente sulla loro disponibilità ad accettare una turnazione per fasce orarie. Di conseguenza, si può parlare, come sostenuto da una cassiera, di licenziamento discriminatorio e, quindi, assolutamente illegittimo Cassazione, sentenza n. 32876/18, sez. Lavoro, depositata il 19 dicembre . Criteri. Riflettori puntati sulla procedura di riduzione del personale del supermercato. A contestare il modus operandi della società è una cassiera che ha perso il posto di lavoro. A suo dire, ci si trova di fronte a un licenziamento discriminatorio . E questa visione viene ritenuta corretta dai giudici che, prima in Tribunale e poi in Appello, censurano la linea seguita dall’azienda. In sostanza, viene rilevato che la società, in mancanza di accordo con i sindacati, aveva formato una graduatoria dei lavoratori ai fini della individuazione dei destinatari del provvedimento di recesso e aveva attribuito punteggi diversi ai criteri di scelta legali . Ancora più in dettaglio, viene sottolineato che la notevole differenza di punteggio attribuita ai diversi criteri aveva determinato una rilevanza decisiva di quello organizzativo, fondato sulla disponibilità dei lavoratori ad accettare una turnazione per fasce orarie . Tirando le somme, il criterio adottato dall’azienda, concordano i Giudici della Cassazione, rispondeva ad un intento discriminatorio nei confronti dei lavoratori che per gravi motivi, personali o familiari, non potevano aderire alla turnazione . A certificarlo gli effetti del sistema di selezione che aveva condotto al mantenimento in servizio di coloro che avevano aderito alla turnazione e all’esclusione di quanti, invece, l’avevano rifiutata .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 settembre – 19 dicembre 2018, n. 32876 Presidente Di Cerbo – Relatore Marchese Fatti di causa Con ricorso al Tribunale di Cagliari del 22.9.2011 Da. Sa., già dipendente della società SSC-SOCIETA' SVILUPPO COMMERCIALE in prosieguo SSC srl con qualifica di cassiere, impugnava il licenziamento intimatole in data 20.11.2008 nell'ambito di una procedura di riduzione del personale ex lege nr. 223 del 1991. Il giudice del lavoro, con sentenza del 26.1.2016, accoglieva la domanda. Con sentenza del 12.10.2016-25.10.2016 nr. 368/2016 la Corte d'Appello di Cagliari rigettava l'appello della società SSC. Per quanto solo rileva in questa sede, la Corte territoriale osservava che, in mancanza di accordo con i sindacati, la società aveva formato una graduatoria dei lavoratori ai fini della individuazione dei destinatari del provvedimento di recesso ed attribuito punteggi diversi ai criteri di scelta legali. La notevole diversità di punteggio attribuita ai diversi criteri aveva determinato una rilevanza decisiva di quello organizzativo, fondato sulla disponibilità dei lavoratori ad accettare una turnazione per fasce orarie la prevalenza di un unico criterio, pur in principio compatibile con la previsione della legge nr. 223 del 1991, art. 5, comma 1, non doveva sottendere intenti elusivi e discriminatori. Nella fattispecie di causa il criterio adottato rispondeva ad un intento discriminatorio recte ritorsivo nei confronti dei lavoratori che per gravi motivi, personali o familiari, non potevano aderire alla turnazione, come confermato dagli effetti del sistema di selezione che aveva condotto al mantenimento in servizio di coloro che avevano aderito alla turnazione ed all'esclusione di quanti, invece, l'avevano rifiutata. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società SSC, affidato ad un unico ed articolato motivo, cui ha resistito, con controricorso, la lavoratrice. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con un unico motivo la società ricorrente ha denunziato - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 nonché degli artt. 1175 e 1375 cod.civ Oggetto di censura è la statuizione della Corte di merito nella parte in cui, invece che limitare il controllo alla effettiva applicazione dei criteri di scelta legali, avrebbe pronunciato nel merito del calcolo applicativo, invadendo la sfera riservata al datore di lavoro, ed affermato che la società avrebbe attribuito un peso eccessivo al criterio delle esigenze tecnico organizzative ed, in particolare, al lavoro in turni 10 punti , rispetto ai criteri della anzianità di servizio massimo 4 punti e dei carichi di famiglia 1 punto per ogni familiare a carico , così da disvelare un intento discriminatorio. La società ha assunto che la prevalenza accordata alle esigenze organizzative era conforme a legge legge nr. 223 del 1991, art. 5 ed ai precetti di correttezza e buona fede, giacché la questione degli esuberi dei cassieri nei turni di mattina rispondeva ad una situazione obiettiva, ben nota ai sindacati -con i quali era stata discussa sin dall'anno 2006-, indicata nella comunicazione di avvio della procedura e peraltro accertata nella stessa sentenza. Pertanto la conclusione della sussistenza di un intento discriminatorio era infondata. Il motivo va respinto. Il medesimo licenziamento collettivo è già stato valutato da questa Corte che, in relazione ad analoga controversia, nel rigettare il ricorso proposto dalla società SSC, ha osservato come il giudizio espresso in ordine alla sussistenza nella fattispecie concreta di un intento discriminatorio del datore di lavoro rectius ritorsivo nella adozione delle modalità applicative dei criteri di scelta rappresentasse un giudizio di fatto, basato sulla valutazione delle risultanze di causa Cass. nn. 6038 e 6987 del 2018, in motivazione . La Corte ha affermato, in particolare, che la contestazione di tale giudizio id est di sussistenza di un intento discriminatorio articolata in termini di errore di diritto non coglie [ .] nel segno giacché l'anzidetto accertamento avrebbe potuto essere censurato in questa sede unicamente con la deduzione di un vizio della motivazione, ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. . A tali conclusioni il Collegio intende uniformarsi, non sussistendo valide ragioni per discostarsene. Tuttavia, seppure riqualificato, il vizio non supera il rilievo di inammissibilità. Trova applicazione ratione temporis il giudizio di appello è stato introdotto successivamente all'11 settembre 2012 l'art. 348 ter, commi 4 e 5, cod.proc.civ., a tenore del quale quando la sentenza d'appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni inerenti a questioni di fatto il ricorso per Cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all'art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 cod.proc.civ. In altri termini, il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia cd. doppia conforme , come intervenuta nella fattispecie di causa il Tribunale di Cagliari aveva parimenti ravvisato l'intento ritorsivo . In ogni caso, il motivo neppure illustra il fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti di cui risulta omesso l'esame. La pronunzia circa la ricorrenza di un intento ritorsivo del datore di lavoro non è dunque più censurabile in questa sede di legittimità, con tutto quanto consegue in termini di rigetto delle proposte censure. Le spese seguono la soccombenza. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 - della sussistenza dell'obbligo di versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con attribuzione. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.