La mera iscrizione all’albo forense è causa di incompatibilità con la funzione di pubblico dipendente

Posto che l’art. 53 d.lgs. n. 165/2001 estende a tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e seguenti del d.P.R. n. 3/1957, correttamente il Comune ha disposto il licenziamento disciplinare di un dipendente per il permanere dell’iscrizione all’albo degli avvocati, circostanza che lascia presumere l’esercizio abituale della professione.

Licenziamento a maggior ragione legittimo se il concreto esercizio della professione è dimostrato da ulteriori risultanze istruttorie. Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32156/18, depositata il 12 dicembre. Il fatto. La Corte d’Appello di Napoli confermava la decisione con cui il giudice di prime cure aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento disciplinare comminato ad un dipendente del Comune di Pompei per incompatibilità della funzione di pubblico dipendente con la professione forense. Il soccombente ricorre in Cassazione. Tempestività della contestazione. In merito alla doglianza relativa alla tempestività della contestazione disciplinare rispetto alla conoscenza del fatto legittimante il recesso, la Corte ricorda che, ai fini della decorrenza del termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione ex art. 55- bis , comma 4, d.lgs. n. 165/2001, deve riconoscersi rilevanza il momento in cui tale acquisizione da parte del compente ufficio riguardi una notizia di infrazione di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare . Dalla ricostruzione della vicenda e della sequenza dei fatti, risulta congrua e priva di vizi la motivazione offerta dal giudice territoriale in ordine al momento in cui veniva dissipato ogni dubbio da parte del Comune circa l’effettiva situazione di incompatibilità. L’Amministrazione ha infatti presentato diverse richieste di chiarimenti all’odierno ricorrente che dimostrano la sussistenza di una mera ipotesi circa l’incompatibilità, confermata solo successivamente dalle dichiarazioni dell’interessato, circostanza che non può dunque comportare l’arretramento cronologico del momento dell’acquisizione della notizia dell’infrazione al fine di invocare una tardività del licenziamento. Incompatibilità. Tra le altre censure inammissibili, il ricorrente lamenta l’insussistenza del fatto ascrittogli in quanto egli non esercitava concretamente la professione forense, pur continuando a rimanere iscritto all’albo del Consiglio dell’Ordine al quale doveva essere imputato il ritardo della cancellazione. La Corte partenopea ha invece correttamente affermato che il permanere dell’iscrizione all’albo degli avvocati lasciava presumere l’esercizio abituale della professione, come peraltro dimostrato da ulteriori risultanze istruttorie. In ogni caso, l’art. 53 d.lgs. n. 165/2001 dispone che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e seguenti del d.P.R. n. 3/1957, salvo le deroghe espressamente previste. In tal modo il legislatore ha sancito una vera e propria estensione a tutti i dipendenti pubblici, contrattualizzati e non, compresi quelli per i quali vigeva in precedenza una disciplina speciale quali i dipendenti degli enti del parastato l. n. 70/1975, ex art. 8 , della disciplina delle incompatibilità dettata dal testo unico degli impiegati civili dello Stato agli artt. 60 e seguenti. La stessa norma, poi, ha fatto salve le disposizioni speciali in materia di incompatibilità già vigenti per il personale docente, direttivo e ispettivo della scuola, per il personale docente dei conservatori di musica, per il personale degli enti lirici e del servizio sanitario nazionale, nonché per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale . In altre parole l’art. 53 cit. ha ribadito il generale principio dell’incompatibilità, sancito per i dipendenti statali e degli enti pubblici non economici , con riferimento a tutti i pubblici dipendenti . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 luglio – 12 dicembre 2018, numero 32156 Presidente Napoletano – Relatore Blasutto Fatti di causa 1. La Corte di appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto dall’odierno ricorrente avverso la sentenza numero 126/17 del Giudice del lavoro di Torre Annunziata, con cui era stata rigettata la domanda avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento disciplinare, comminato al ricorrente dal Comune di Pompei con nota del 1 settembre 2015 per l’incompatibilità della funzione di pubblico dipendente con l’esercizio della professione forense. 2. La Corte territoriale ha respinto le censure mosse dal reclamante, vertenti sulla tardività dell’azione disciplinare, sulla non corrispondenza tra contestazione e addebiti posti a base del licenziamento e sul difetto di prova dei fatti ascritti. 2.1. Quanto alla prima censura, incentrata sulla prospettata conoscenza dei fatti sin dal dicembre 2013, ha osservato che dalla sequenza degli accadimenti e dal tenore delle richieste avanzate dal Comune poteva evincersi che alla data anzidetta ancora non era chiara la posizione del V. che soltanto con la risposta fornita dall’interessato in data 11 maggio 2015 erano stati acquisiti dati sufficienti a fugare ogni dubbio che, pertanto, la contestazione dell’11 giugno 2015 era da ritenere tempestiva, avendo l’Amministrazione più volte compulsato - senza esito - il lavoratore a fornire chiarimenti che, una volta conosciuta l’infrazione, il Comune aveva provveduto alla contestazione dell’illecito, all’audizione del lavoratore, alla irrogazione provvedimento disciplinare, nel rispetto dei termini di legge. 2.2. Quanto al secondo motivo di doglianza, attinente al difetto di corrispondenza tra addebito contestato e quello individuato nella lettera di licenziamento, ha osservato che il contenuto della lettera di contestazione lasciava intendere che l’Amministrazione avesse addebitato al dipendente di non avere dichiarato la propria situazione di incompatibilità, ossia di essere rimasto iscritto all’albo degli avvocati e che ciò lasciasse anche presumere l’esercizio della professione forense che con tale missiva il Comune aveva provveduto a ricostruire tutta la normativa applicabile, richiamando non soltanto le norme che prevedono situazioni di incompatibilità con la qualifica di pubblico dipendente articolo 53 d.lgs. numero 165/2001, 60 e segg. t.u. numero 3/1957 e con l’esercizio della professionale forense l. 339/2003, l. numero 247/2012 , ma anche quelle in base alle quali è possibile presumere il concreto esercizio dell’attività professionale articolo 21 le. numero 247/2012 che, in altri termini, il Comune aveva messo in stretta correlazione iscrizione all’albo degli avvocati con l’esercizio della professione forense, con conseguente incompatibilità con la funzione di dirigente che con la lettera di licenziamento l’Ente aveva ribadito che, secondo la legge professionale forense, se si è iscritti all’albo, si esercita la professione di avvocato, che è incompatibile con il rapporto di impiego che nella stessa lettera di licenziamento il Comune aveva pure ribadito che la contestazione aveva ad oggetto la falsa dichiarazione avvenuta in sede di assunzione presso il Comune di Pompei, concernente l’inesistenza di cause di incompatibilità con lo status di dipendente e aveva altresì evidenziato come il permanere dell’iscrizione all’albo degli avvocati presupponesse l’esercizio della professione con connotazione di abitualità che il Comune aveva anche spiegato i motivi per cui le giustificazioni addotte dal dipendente cancellazione della partita IVA e dichiarazioni dei redditi non fossero idonee a dimostrare il mancato esercizio della professione forense, la quale viceversa era comprovata dalle risultanze istruttorie il V. aveva continuato a curare cause dinanzi all’autorità giudiziaria e queste si erano concluse con provvedimenti nei quali era indicato quale difensore di una delle parti che gli elementi contenuti nella lettera di licenziamento corrispondevano a quanto già contestato, sebbene fossero stati individuati con maggiore specificazione gli elementi confermativi dell’effettivo esercizio dell’attività legale che, pertanto, le singole attività indicate dall’Amministrazione, ossia i procedimenti conclusi dinanzi alle autorità giudiziarie, non costituivano una nuova contestazione, ma erano elementi rafforzativi di quanto già ritenuto sussistente sulla base della conclamata iscrizione all’albo. 3. Per la cassazione di tale sentenza V.V. propone ricorso affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria ex articolo 378 c.p.c Resiste con controricorso il Comune di Pompei. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente degli articoli 5,6 e 7 CCNL 2010, articolo 55-bis d.lgs. numero 165/01, articolo 2119 c.c., l. numero 604/66 e articolo 18 l. 300/70, per tardività della contestazione rispetto al momento di conoscenza dei fatti. Assume che la Corte territoriale aveva erroneamente interpretato e applicato alla fattispecie l’articolo 53 d.lgs. numero 165 del 2001, poiché l’Amministrazione comunale aveva conoscenza dell’iscrizione del dott. V. all’albo degli avvocati di Torre Annunziata quantomeno del 19 dicembre 2013 a tale data risaliva la prima acquisizione della notizia dell’infrazione rispetto a tale momento la contestazione disciplinare era tardiva, poiché avvenuta soltanto 11 giugno 2015. Deduce che il concetto di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, da cui dipende l’esatta identificazione del dies a quo per il valido esercizio dell’azione disciplinare, indica un comportamento puramente ricettizio di un fatto oggettivo, scevro da qualsiasi valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione, restando esclusa una fase procedimentale per avere la certezza della notizia come acquisita. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente degli articoli 5,6 e 7 CCNL 2010, articolo 55-bis d.lgs. numero 165/01, articolo 2119 c.c., l. numero 604/66 e articolo 18 l. numero 300/70, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti e nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine alla richiesta di cancellazione dall’albo degli avvocati avanzata dal ricorrente in data 19 dicembre 2012. Assume il ricorrente che la circostanza di avere avanzato tale richiesta, se valutata, avrebbe consentito di fare ritenere a lui non ascrivibile il ritardo, imputabile invece al Consiglio dell’Ordine, nel provvedere a tale cancellazione. 3. Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente degli articoli 5, 6 e 7 CCNL 2010, articolo 55-bis d.lgs. numero 165/01, articolo 2119 c.c., l. numero 604/66 e articolo 18 l. 300/70 e segnatamente violazione del principio di immutabilità tra la contestazione dell’addebito e l’irrogazione della sanzione disciplinare. Il motivo di ricorso reca da pag. 27 a pag.57 la trascrizione integrale del provvedimento di licenziamento e della lettera di contestazione disciplinare su tale base il ricorrente afferma che, mentre la contestazione atteneva al solo fatto materiale della perdurante iscrizione all’albo ordinario dell’ordine degli avvocati del foro di Torre Annunziata, di contro a base del licenziamento erano state poste ragioni e fatti materiali ulteriori e diversi, specifiche condotte concrete, non dedotte nella nota di avvio del procedimento e che, in ordine a tale nuova ragione di incolpazione, non gli era stato possibile esercitare i diritti di difesa. 4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente degli articoli 5,6 e 7 CCNL 2010, articolo 55-bis d.lgs. numero 165/01, articolo 2119 c.c., l. numero 604/66 e articolo 18 l. 300/70. In particolare, contesta la sussistenza del fatto ascritto e della incompatibilità posta a base del licenziamento. Assume che il fatto contestato non sussiste, in quanto la permanenza dell’iscrizione all’albo era dipesa dal ritardo imputabile al Consiglio dell’Ordine e che la sola iscrizione un albo professionale non è vietata, in quanto il divieto posto dall’articolo 53 d.lgs. numero 165 del 2001 e dall’articolo 60 testo unico numero 3/57 concerne il concreto esercizio della professione forense. 5. Il primo motivo è infondato. È stato precisato da questa Corte che, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione ex articolo 55-bis, comma 4, del d.lgs. numero 165 del 2001, in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte cost. con sentenza numero 310 del 5 novembre 2010, assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una notizia di infrazione di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare cfr. Cass. numero 7134 del 2017 e numero 6989 del 2018 . 5.1. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha evidenziato che, dalla sequenza dei fatti e dal tenore delle richieste avanzate dal Comune, alla data indicata dal ricorrente dicembre 2013 ancora non era chiara la posizione del V. , sussistendo dubbi circa l’effettiva situazione di incompatibilità, e che elementi sufficienti a consentire la formulazione della contestazione si ebbero solo con la risposta fornita dall’interessato in data 11 maggio 2015. Tale ricostruzione del momento di acquisizione della notizia qualificata dell’infrazione è stata condotta dal giudice di merito con motivazione congrua e immune da vizi. 5.2. In realtà, il ricorso sub specie violazione di legge censura l’esito cui è pervenuta la Corte territoriale nell’accertamento del momento dell’acquisizione della notizia qualificata dei fatti disciplinarmente rilevanti. Tale ricostruzione costituisce accertamento di fatto demandato al giudice di merito. Va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione Cass. numero 7394 del 2010, numero 8315 del 2013, numero 26110 del 2015, numero 195 del 2016 . È dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione - e dunque un errore interpretativo di diritto - su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa. 5.3. L’odierno ricorrente intende proporre una diversa ricostruzione dei fatti, onde pervenire ad un arretramento cronologico del momento dell’acquisizione della notizia dell’infrazione, proponendo un’alternativa ricostruzione delle risultanze di causa, inammissibile in questa sede. 5.4. È altresì erroneo l’assunto che l’Amministrazione non possa valutare la consistenza dei fatti acquisiti per stabilire se questi siano idonei ad integrare infrazione disciplinare. Tale tesi, se accolta, dovrebbe indurre la Pubblica Amministrazione a formulare contestazioni approssimative, sulla base di fatti di consistenza generica, e così destinate ad essere inficiate da vizi formali e sostanziali. È del pari giuridicamente infondata la tesi che l’Amministrazione non possa svolgere indagini pre-procedimentali per chiarire i termini della vicenda e valutare la consistenza disciplinare dei fatti emersi a carico del dipendente. A ciò va pure aggiunto che, dalla motivazione della sentenza impugnata, non emergono elementi per ipotizzare che la contestazione sia stata ingiustificatamente procrastinata oltre il momento dell’acquisizione di una notizia qualificata dei fatti. 6. Il secondo motivo introduce un tema privo di decisività, poiché tanto la contestazione disciplinare quanto la lettera di licenziamento attenevano, come evidenziato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, alla falsa dichiarazione da parte del ricorrente, resa in sede di assunzione presso il Comune di Pompei, in merito alla inesistenza di cause di incompatibilità con lo status di dipendente e di tale falsa attestazione il V. non poteva non essere consapevole proprio in ragione della inesistenza, all’epoca dell’assunzione settembre 2012 , della cancellazione dall’albo degli avvocati e dall’effettivo esercizio dell’attività professionale pure ritenuta comprovata in giudizio . 7. Il terzo motivo è del pari inammissibile, poiché i fatti relativi allo svolgimento di attività difensiva in epoca successiva al 2012 assumevano nel contesto del provvedimento di licenziamento - secondo l’interpretazione del giudice di merito, non specificamente contestata sub specie violazione dei canoni di ermeneutica negoziale ex articolo 1362 e segg c.c. o per vizi motivazionali - solo un valore di comprova del fatto ascritto, quale indiretto riscontro dell’addebito consistito nella omessa denuncia, in sede di assunzione, dell’esistenza di una condizione di incompatibilità costituita dall’esercizio dell’attività forense. 8. Il quarto motivo presenta anch’esso profili di inammissibilità ex articolo 366 numero 4 c.p.c. per difetto di pertinenza al decisum la sentenza impugnata ha evidenziato come il permanere dell’iscrizione all’albo degli avvocati lasciasse presumere l’esercizio della professione forense con connotazione di abitualità e che dirimenti fossero anche le risultanze istruttorie, che avevano evidenziato come il V. avesse continuato a curare cause innanzi all’autorità giudiziaria negli anni successivi al 2012. 8.1. Comunque, il motivo è anche destituito di fondamento giuridico. Il d.lgs. 30 marzo 2001, numero 165, articolo 53 Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi dispone, al comma 1, che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e seguenti del testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, numero 3, salva la deroga prevista dall’articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dal D.P.C.M. 17 marzo 1989, numero 117, articolo 6, comma 2, e dalla L. 23 dicembre 1996, numero 662, articolo 1, commi 57 e seguenti. Restano ferme altresì le disposizioni di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, numero 297, articolo 267, comma 1, artt. 273, 274, 508 nonché articolo 676, alla L. 23 dicembre 1992, numero 498, articolo 9, commi 1 e 2, alla L. 30 dicembre 1991, numero 412, articolo 4, comma 7, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina. Gli altri commi dello stesso articolo si occupano, con norme dichiarate espressamente applicabili sia ai dipendenti a regime di diritto pubblico sia a quelli c.d. contrattualizzati, dello svolgimento di attività extraistituzionali incarichi , disciplinandone le condizioni di legittimità e prevedendo poteri di autorizzazione dell’amministrazione. 8.2. La norma dettata dal richiamato articolo 53, comma 1, ha sancito una vera e propria estensione a tutti i dipendenti pubblici, contrattualizzati e non, compresi quelli per i quali vigeva in precedenza una disciplina speciale quali i dipendenti degli enti del parastato L. numero 70 del 1975, ex articolo 8 , della disciplina delle incompatibilità dettata dal testo unico degli impiegati civili dello Stato agli artt. 60 e seguenti. La stessa norma, poi, ha fatto salve le disposizioni speciali in materia di incompatibilità già vigenti per il personale docente, direttivo e ispettivo della scuola, per il personale docente dei conservatori di musica, per il personale degli enti lirici e del servizio sanitario nazionale, nonché per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale. Dunque, l’articolo 53 cit. ha ribadito il generale principio dell’incompatibilità, sancito per i dipendenti statali e degli enti pubblici non economici , con riferimento a tutti i pubblici dipendenti. 9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’articolo 2 del D.M. 10 marzo 2014, numero 55. 10. Sussistono i presupposti processuali nella specie, rigetto del ricorso per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.