Il riferimento a fatti minori nella lettera di licenziamento non vizia il recesso

Il mero e generico riferimento, nella lettera di licenziamento, ad altri minori fatti, pur disciplinarmente rilevanti, in presenza della chiara intenzione di recedere a causa di un grave episodio correttamente individuato nella lettera di contestazione disciplinare, non può viziare il recesso, trattandosi di argomenti evidentemente di contorno, sicché una volta accertata l’esistenza del fatto principale chiaramente contestato e posto alla base del licenziamento, la discrasia o l’aggiunta di altri comportamenti disciplinarmente rilevanti, tra la contestazione e le ragioni poste alla base del recesso, non possono viziare quest’ultimo, rilevando che dipendente sia stato licenziato in base al fatto contestato e chiaramente individuato, ripetuto nella lettera di licenziamento e giudizialmente accertato.

Così la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 31993/18 depositata l’11 dicembre. Il caso. Un lavoratore ha proposto reclamo avverso la sentenza con la quale, nella cd. fase cognitiva di un procedimento instaurato ai sensi dell’art. 1 commi 48 e ss. l. n. 92/2012, il Tribunale di Avellino aveva respinto la domanda diretta ad ottenere la nullità, per la sua natura ritorsiva, del licenziamento disciplinare intimatogli, con conseguente richiesta di reintegra nel posto di lavoro e pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate ai sensi dell’art. 18 commi 1-3 stat. lav. o, in subordine, delle conseguenze economiche di cui al novellato art. 18 commi 4 e 5 stat. lav. sul presupposto dell’assenza della giusta causa di licenziamento. La Corte d’Appello di Napoli, preso atto che la soggezione della società resistente al regime della tutela meramente obbligatoria, accertata dal primo giudice, ha respinto il reclamo, ritenendo provata l’esistenza dell’addebito e non provato, di conto, l’intento ritorsivo. Con ricorso per cassazione il lavoratore ha impugnato la sentenza della Corte territoriale lamentando, in primo luogo, l’errore in cui la stessa sarebbe incorsa nel ritenere precluso l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento in considerazione della mancata impugnazione sul capo relativo all’applicabilità della sola tutela obbligatoria e, in secondo luogo, l’errata valutazione del contrasto tra gli addebiti indicati nella lettera di contestazione disciplinare ed il contenuto, più ampio, della lettera di licenziamento. Nel rito Fornero è ammissibile domandare in via subordinata il risarcimento danni. Prima di esaminare la correttezza del procedimento disciplinare, la Suprema Corte ha preso posizione sul primo motivo di ricorso con il quale il lavoratore aveva lamentato che la pur ammessa mancata impugnazione in appello della statuizione circa l’applicabilità della sola tutela obbligatoria non avrebbe precluso alla Corte territoriale di accertare l’illegittimità del licenziamento. Gli Ermellini colgono l’occasione per ribadire l’ormai consolidato principio secondo cui nel caso di impugnazione di un licenziamento discriminatorio, secondo il Rito Fornero, è ammissibile la proposizione in via subordinata nel medesimo ricorso, da parte del lavoratore, delle domande volte alla declaratoria di difetto di giusta causa ovvero ingiustificatezza del recesso datoriale, in quanto fondate sul comune presupposto della vicenda estintiva del rapporto. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte di merito aveva comunque accertato la legittimità del licenziamento per la provata grave inadempienza agli obblighi contrattuali correttamente contestata al lavoratore, sicché la Suprema Corte, pur ritenendo astrattamente fondato il motivo di ricorso, non ha cassato la sentenza sul punto. E’ ammissibile indicare nella lettera di licenziamento fatti minori ulteriori rispetto all’addebito principale. La Corte di Cassazione ha poi stabilito che non è contraria al principio di specificità della contestazione disciplinare e, dunque, non vizia il recesso l’indicazione nella lettera di licenziamento di altri fatti minori, purché rilevanti disciplinarmente, in presenza della chiara intenzione del datore di lavoro di procedere al recesso in considerazione della gravità del fatto principale correttamente contestato. Si tratterebbe, infatti, di argomenti a corollario che non minerebbero affatto la legittimità del licenziamento, evidentemente fondato sul fatto principale, la cui gravità, ovviamente deve essere esaminata ed accertata dal giudice di merito. In altre parole, quando la contestazione disciplinare contiene le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto addebitato, l’eventuale aggiunta di altri fatti nella lettera di recesso diventa irrilevante.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 settembre – 11 dicembre 2018, numero 31993 Presidente Di Cerbo – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo S.T. proponeva reclamo avverso la sentenza numero 712/16 del Tribunale di Avellino, con cui era stata respinta la sua domanda diretta ad ottenere la declaratoria di nullità, per la sua natura ritorsiva, del licenziamento disciplinare intimatogli il 2.4.14 dalla ACLI SERVICE s.r.l. di Avellino, con richiesta di reintegra nel suo posto di lavoro e risarcimento del danno pari alle retribuzioni medio tempore maturate o in subordine delle conseguenze economiche di cui al novellato art. 18 commi 4 e 5 della L. numero 300/70 per l’ipotesi di accertamento della illegittimità del recesso per assenza di giusta causa. Resisteva la ACLI SERVICE s.r.l. di Avellino. Con sentenza depositata il 1.3.2017, la Corte d’appello di Napoli, preso atto che la soggezione della ACLI SERVICE s.r.l. al regime della tutela meramente obbligatoria, accertata dal primo giudice, non era stata contestata dal S. , respingeva il reclamo, ritenendo provata l’esistenza dell’addebito e non provato alcun intento ritorsivo. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il S. , affidato a tre motivi. Resiste la ACLI SERVICE s.r.l. di Avellino con controricorso. Motivi della decisione 1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, commi 47, 48, 51,58, 59, 60 e 61 L. numero 92/12 8 L. numero 604/66 18 L. numero 300/70 99, 346 e 112 c.p.c., in relazione agli artt. 2119 e 2697 c.c., nonché agli artt. 1 e 5 della legge numero 604 del 1966 art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta che la pur ammessa mancata impugnazione della statuizione circa l’applicabilità nella specie della sola tutela obbligatoria, ritenuta dalla sentenza impugnata, non precludeva l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, per tale motivo omessa dalla Corte partenopea. Il motivo è astrattamente fondato, ma non conduce alla cassazione della sentenza impugnata. È infatti pur vero che cfr, ex aliis, Cass. numero 17107/16, Cass. numero 12094/16 nel caso di impugnativa di licenziamento discriminatorio, secondo il rito di cui all’art. 1, commi 48 e seguenti, della L. numero 92 del 2012, è ammissibile la proposizione in via subordinata nel medesimo ricorso, da parte del lavoratore, delle domande volte alla declaratoria di difetto di giusta causa ovvero ingiustificatezza del recesso datoriale, in quanto fondate sul comune presupposto della vicenda estintiva del rapporto, né tale trattazione congiunta determina aggravi istruttori, evitando, semmai, un’inutile rinnovazione dell’attività processuale oltre al frazionamento dei processi cui accede il rischio di giudicati contrastanti. Nella specie, tuttavia, sebbene la sentenza impugnata mostri di ritenere che una volta richiesta, in base al rito di cui alla L. numero 92/12, la tutela reale non possa ammettersi la richiesta subordinata di tutela obbligatoria, fondata sulla illegittimità del medesimo recesso, deve osservarsi che la Corte di merito ha comunque accertato la legittimità del licenziamento per la provata grave inadempienza correttamente contestata al S. rispetto ai suoi obblighi contrattuali inerente la omissione e/o decisivo ritardo circa la dichiarazione ed inoltro della dichiarazione dei redditi della Sig.ra Se. , che al riguardo propose alla società apposito reclamo, presa in carico dal S. . La sentenza impugnata dunque, pur movendo da una premessa erronea, perviene ad un risultato corretto, dovendo dunque questa Corte limitarsi a correggerne la motivazione ex art. 384, comma 4, c.p.c 2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 L. numero 300/70, 2106 c.c., 99, 100 e 112 c.p.comma oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, oltre a vizio di motivazione. Lamenta che la sentenza impugnata, sulla base dell’erroneo convincimento sub 1 , non esaminò adeguatamente il contrasto tra la lettera di contestazione e quella di licenziamento, nonché la proporzionalità del recesso in relazione al fatto contestato. Il motivo è infondato avendo la sentenza impugnata, sia pure per mera completezza pag. 3 , comunque accertato, come visto, la sussistenza del fatto contestato e sopra menzionato, ritenendo in sostanza irrilevante il generico ampliamento delle ragioni del recesso laddove faceva riferimento ad altri minori comportamenti inadempienti rilevando piuttosto che l’addebito rettamente contestato e di cui sopra come evincibile dalla lettera di contestazione riprodotta in ricorso dal S. unitamente alla lettera di licenziamento era stato ampiamente provato ed idoneo a giustificare il licenziamento la sentenza impugnata ha peraltro anche accertato e valutato precedenti comportamenti disciplinarmente rilevanti inefficienza gestoria del S. , docomma 4 in atti, non contestata dal dipendente , accertando dunque, ad abundantiam, anche l’esistenza di altri fatti disciplinarmente rilevanti e dunque, sia pur implicitamente, la correttezza della lettera di licenziamento rispetto alla contestazione , cui a ben vedere il S. imputa semplicemente di aver inserito, oltre al fatto principale e decisivo contestato, anche altri comportamenti inadempienti, evidentemente secondari. A tal riguardo deve evidenziarsi che quel che rileva nel procedimento disciplinare è essenzialmente la specificità della contestazione, che deve contenere le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto addebitato, mentre il mero e generico riferimento, nella lettera di licenziamento, ad altri minori fatti, pur disciplinarmente rilevanti, in presenza della chiara intenzione di recedere a causa del grave episodio correttamente contestato, non può viziare il recesso, trattandosi di argomenti evidentemente di contorno, sicché una volta accertata l’esistenza del fatto principale chiaramente contestato e posto a base del licenziamento, la discrasia, o l’aggiunta di altri comportamenti disciplinarmente rilevanti, tra la contestazione e le ragioni poste a base del recesso non possono viziare quest’ultimo, rilevando che il dipendente sia stato licenziato in base al fatto contestato e chiaramente individuato, ripetuto nella lettera di licenziamento e giudizialmente accertato. La sentenza impugnata ha poi valutato, con apprezzamento di fatto non censurabile in questa sede se adeguatamente motivato cfr. da ultimo Cass. numero 13667 del 2018 , la gravità del fatto contestato e dunque implicitamente la proporzionalità della sanzione rispetto ad esso. Le diverse ricostruzioni del fatto contestato, proposte dal S. , non possono poi ritenersi ammissibili in base al novellato numero 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c 3.- Lo stesso dicasi quanto al terzo motivo di ricorso, con cui il ricorrente lamenta l’erroneo esame della natura ritorsiva del licenziamento, già esclusa sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello. Il motivo, infatti, si basa essenzialmente su una diversa ricostruzione ed apprezzamento dei fatti di causa, ampliati con la deduzione di ulteriori elementi fattuali es. emails , evidentemente in contrasto col più volte citato nuovo numero 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c 4.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. numero 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 numero 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.