Movimenti bancari incongruenti con le dichiarazioni dei redditi: niente assegno sociale

Respinta la richiesta presentata da un piccolo imprenditore. Vittoria per l’INPS, che ha motivato il proprio diniego sulla documentazione riguardante i movimenti registrati sul conto corrente intestato all’imprenditore medesimo.

Movimentazioni bancarie sospette e, soprattutto, non congruenti con le dichiarazioni dei redditi. Legittima, di conseguenza, la decisione dell’INPS di negare l’assegno sociale al piccolo imprenditore Cassazione, ordinanza n. 30580/18, sez. VI civile - L, depositata oggi . Redditi. Riflettori puntati sul titolare di una attività di autonoleggio di vettura con autista”. Meglio ancora, riflettori puntati sulla sua effettiva capacità economica. Questo elemento è decisivo per valutare la legittimità della decisione con cui l’Istituto nazionale di previdenza sociale gli ha negato il diritto all’ assegno sociale . Secondo i Giudici di merito, le considerazioni fatte dall’Inps sono corrette, poiché è emerso che il piccolo imprenditore ha percepito redditi superiori alla soglia fissata dalla legge , come testimoniato dalla documentazione bancaria riguardante le somme accreditate su uno dei due conti correnti a lui intestati e non coerente con le dichiarazioni dei redditi . E questa visione è condivisa e fatta propria anche dalla Cassazione, che dà anch’essa ragione all’INPS. Nessuna contestazione possibile, quindi, rispetto alla decisione di negare l’assegno sociale al piccolo imprenditore. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, vi sono elementi sufficienti per ritenerlo percettore di un reddito superiore ai limiti legali . E a questo proposito viene osservato che le dichiarazioni dei redditi non erano congrue , essendoci evidenti indizi gravi, precisi e concordanti sulla sicura disponibilità di redditi occulti incompatibili con l’assegno sociale .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 12 settembre – 26 novembre 2018, numero 30580 Presidente Esposito – Relatore Fernandes Rilevato che, con sentenza del 27 febbraio 2017, la Corte di Appello di Torino confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da Gi. Po. nei confronti dell'INPS ed intesa al riconoscimento del suo diritto all'assegno sociale che, ad avviso della Corte territoriale, correttamente il primo giudice aveva ritenuto insussistente il requisito reddituale per poter accedere alla prestazione invocata in quanto il Po. aveva percepito redditi superiori alla soglia fissata dalla legge avuto riguardo alla movimentazione bancaria relativamente alle somme accreditate nel periodo 2012 - 2013 su uno dei due conti correnti a lui intestati del tutto non coerente con le dichiarazioni dei redditi che per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Po. affidato a due motivi cui resiste l’INPS con controricorso che è stata depositata proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio che il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l'accoglimento del ricorso Considerato che con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. e dell'art. 3 L. 8 agosto 1995 numero 335 in relazione all'art. 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ. nella parte in cui l'impugnata sentenza ha ritenuto che il Po. avrebbe dovuto dimostrare la natura dei versamenti sul conto corrente non coerenti con le dichiarazioni fiscali, dovendo piuttosto gravare sull'INPS l'onere di dimostrare la non congruità delle dichiarazioni dei redditi nel caso in esame attestanti un reddito inferiore al limite stabilito dalla legge per accedere all'invocato beneficio con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 3 , sesto comma, della legge numero 335/1995 in relazione all'art. 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ. avendo la corte territoriale travisato il concetto di reddito equiparandolo al ricavo derivante dall'attività imprenditoriale di noleggio di autovettura con autista non depurato dei costi che il primo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile è infondato in quanto correttamente la Corte di appello ha ritenuto che l'onere della prova della ricorrenza del requisito reddituale è a carico di colui che chiede la prestazione e che alla formazione del reddito rilevante ai fini della concessione della provvidenza invocata concorrono i redditi di qualsiasi natura come previsto dall'art. 3, sesto comma, della legge numero 335/1995 è inammissibile laddove, nonostante il formale richiamo a violazione di legge contenuto nell'intestazione, finisce con il sollecitare una nuova valutazione del merito non consentita in questa sede che il secondo motivo è inammissibile in quanto chiede, al pari del primo, una rivisitazione del merito peraltro, la Corte territoriale ha anche evidenziato come, a prescindere dalla detrazione dei costi dai ricavi dell'attività imprenditoriale, vi erano ulteriori indicatori che, complessivamente considerati, inducevano a ritenere il Po. percettore di un reddito superiore ai limiti legali e che le dichiarazioni reddituali non erano congrue sussistendo indizi, gravi, precisi e tutti concordanti della sicura disponibilità da parte del predetto di redditi occulti incompatibili con l'assegno sociale che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 numero 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 legge di stabilità 2013 trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame Cass. numero 22035 del 17/10/2014 Cass. numero 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018

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