Gli effetti del fallimento sul rapporto di lavoro pendente alla data della relativa dichiarazione

Nell’ipotesi di dichiarato fallimento della società datrice di lavoro, l’interesse del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro ha ad oggetto non solo il concreto ripristino della prestazione lavorativa, ma anche le utilità connesse a tale ripristino, come la possibilità di ammissione ad una serie di benefici previdenziali.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 26671/18 depositata il 22 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale che aveva respinto la domanda proposta da una lavoratrice di ammissione al passivo del fallimento di una s.p.a. fondata sul fatto che, dopo tale fallimento, non aveva più percepito le retribuzioni ed era stata licenziata dalla curatela. Per la Cassazione della sentenza la lavoratrice propone ricorso per cassazione. Il fallimento e i rapporti di lavoro. L’art. 2119, comma 2, c.c. stabilisce che, in tema di fallimento e dei suoi effetti sui rapporti di lavoro pendenti alla data della dichiarazione di esso, lo stesso non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto. A ciò va coordinato l’art. 72 l. fall., il quale comporta che il rapporto di lavoro, in seguito a dichiarazione di fallimento, rimane sospeso in attesa della dichiarazione del curatore, il quale può scegliere di proseguire nel rapporto o di sciogliersi da esso. Invece, nel caso in cui sia disposto l’esercizio provvisorio d’impresa, vale la regola di prosecuzione automatica dei rapporti pendenti, salva la facoltà di scioglierli o sospenderli. Solo nel lasso temporale che va dalla dichiarazione di fallimento alla scelta del curatore, il rapporto di lavoro rimane sospeso e viene meno l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione e i contributi. Successivamente, ove il curatore decida di sciogliersi dal rapporto di lavoro, il lavoratore può reagire al recesso con gli ordinari mezzi di impugnazione e la Suprema Corte ha di recente ribadito che, nell’ipotesi di dichiarato fallimento della società datrice di lavoro, l’interesse del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro ha ad oggetto non solo il concreto ripristino della prestazione lavorativa, ma anche le utilità connesse a tale ripristino, ossia la possibilità di ammissione a benefici previdenziali, come l’indennità di cassa, di disoccupazione o di mobilità. Nel caso in esame, quindi, la Corte territoriale ha errato nel negare l’ammissione al passivo del fallimento della lavoratrice per i crediti relativi al periodo successivo al suo licenziamento. In conclusione, il ricorso va accolto e la lavoratrice deve essere ammessa al passivo del fallimento della società datrice di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 28 giugno – 22 ottobre 2018, n. 26671 Presidente Bronzini – Relatore Besso Amendola Rilevato in fatto che 1. con sentenza del 22 giugno 2016, la prima sezione civile bis della Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere che aveva respinto la domanda proposta da S.R. di ammissione al passivo del fallimento della Spa omissis fondata sul fatto che, in seguito alla dichiarazione di fallimento del 21 ottobre 1999, non aveva più percepito le retribuzioni ed era stata poi licenziata dalla curatela con lettera del 15 marzo 2002, recesso poi dichiarato inefficace per violazione della l. n. 223 del 1991 con sentenza passata in giudicato la lavoratrice aveva chiesto l’ammissione per complessivi Euro 221.177,98, di cui Euro 202.559,21 per retribuzioni non percepite dalla data del fallimento al settembre 2011 ed Euro 18.618,57 per trattamento di fine rapporto maturato nel periodo, oltre accessori la Corte - in estrema sintesi - ha ritenuto che la dichiarata illegittimità del licenziamento della S. , per violazione della procedura richiamata dall’art. 24, l. n. 223 del 1991 ha dato luogo al ripristino del rapporto, che era già sospeso ex art. 72 l.f. con conseguente impossibilità della prestazione e del maturarsi della retribuzione, collegata alla prestazione effettiva del lavoro 2. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.R. con un unico articolato motivo, cui ha resistito con controricorso il curatore del Fallimento omissis Spa entrambe le parti hanno poi comunicato memorie. Considerato in diritto che 1. l’unico motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma IV, legge n. 300/70 nella formulazione applicabile ratione temporis in riferimento all’art. 72 I. fall. art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. . Ciò in relazione alla violazione del principio di cui all’art. 111 Cost. ed in particolare del comma 7 in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU si lamenta che i giudici non abbiano ammesso il credito al passivo del fallimento nonostante la declaratoria di inefficacia del licenziamento, che sarebbe improduttivo di effetti giuridici con conseguente diritto al pagamento delle somme non percepite così come statuito dall’art. 18 della l. n. 300 del 1970 2. il ricorso è meritevole di accoglimento nei limiti indicati dalla motivazione che segue sulla scorta dei precedenti di questa Corte resi in analoga vicenda Cass. n. 522 e n. 7308 del 2018 e dai quali il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi, atteso che, una volta che l’interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice, essa ha anche vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto dalle novelle del 2006 art. 374 c.p.c. e 2009 art. 360 bis c.p.c., n. 1 Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011 conf. Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014 Cass. n. 17010 del 2014 , né gli argomenti pur diffusamente proposti da parte controricorrente rappresentano reali elementi di novità che inducano a mutare il precedente meditato orientamento, considerato altresì che pronunce difformi rispetto a lavoratori coinvolti nella medesima procedura in posizioni analoghe costituirebbe un grave, manifesto ed irragionevole vulnus al principio fondante dell’eguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge 2.1. l’art. 2119, co. 2, c.c., in tema di effetti del fallimento sui rapporti di lavoro pendenti alla data della relativa dichiarazione, stabilisce che esso non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto e secondo un risalente orientamento tale precetto, per il quale il fallimento non può determinare di per sé lo scioglimento del rapporto di lavoro, va coordinato con l’art. 72 l.f. che, nella formulazione originaria ratione temporis vigente per la presente fattispecie, prevede che, in caso di vendita non ancora eseguita da entrambi i contraenti , l’esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, dichiari di subentrare in luogo del fallito nel contratto, assumendone tutti gli obblighi relativi, ovvero di sciogliersi dal medesimo , con un meccanismo ritenuto applicabile per ogni ipotesi negoziale non munita di espressa disciplina e, quindi, anche nel caso di rapporti di lavoro pendenti cfr. Cass. n. 799 del 1980 Cass. n. 1832 del 2003 il principio per il quale, in seguito a dichiarazione di fallimento, il rapporto di lavoro rimane sospeso in attesa della dichiarazione del curatore ai sensi dell’art. 72 l.f., il quale può scegliere di proseguire nel rapporto medesimo ovvero di sciogliersi da esso, ha trovato conferma nella nuova formulazione dell’art. 72 l.f., introdotta dal d.lgs. n. 5 del 2006, che disciplina in generale il fenomeno degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti 2.2. diversamente, qualora sia disposto l’esercizio provvisorio di impresa, la regola valida per tutti i rapporti pendenti è nel senso che la prosecuzione è automatica, salva la facoltà del curatore di scioglierli o sospenderli art. 104, co. 7, l.f. pertanto, in assenza di un esercizio provvisorio della curatela, il rapporto di lavoro pendente resta sospeso nella sua esecuzione, in attesa delle decisioni del curatore sulla prosecuzione o sul definitivo scioglimento 2.3. in tale lasso temporale, che va dalla dichiarazione di fallimento sino alla scelta del curatore, il rapporto di lavoro, in assenza di prestazione, pur essendo formalmente in essere, rimane sospeso e, difettando l’esecuzione della prestazione lavorativa, viene meno l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione e i contributi Cass. n. 7473 del 2012 in detto tempo il curatore esercita una facoltà legittima, volta a verificare la possibilità e la convenienza alla prosecuzione dei rapporti di lavoro, in vista della conservazione della potenzialità produttiva dell’azienda, anche ai fini di una strategia liquidatoria lo stato di incertezza in cui versa il lavoratore è bilanciato dalla possibilità a questi riconosciuta dall’art. 72 l.f. in precedenza comma 3, attualmente comma 2 di mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine entro il quale deve determinarsi, decorso il quale il contratto si intende sciolto non può escludersi, infine, laddove il tempo sia oltremodo prolungato per inerzia o negligenza della curatela, o comunque per un uso distorto o colpevole della facoltà riconosciuta, che possa essere fatta valere una responsabilità risarcitoria di diritto comune da parte dei danneggiati, ove ne ricorrano i presupposti 2.4. nel caso in cui il curatore deliberi di subentrare nel rapporto di lavoro esso prosegue con l’obbligo di adempimento per entrambe le parti delle prestazioni corrispettive 2.5. ove, invece, il curatore intenda sciogliersi dal rapporto di lavoro dovrà farlo nel rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi, non essendo in alcun modo sottratto ai vincoli propri dell’ordinamento lavoristico perché la necessità di tutelare gli interessi della procedura fallimentare non esclude l’obbligo del curatore di rispettare le norme in generale previste per la risoluzione dei rapporti di lavoro cfr., tra le altre, Cass. n. 5033 del 2009 poi, sulla stessa vicenda, Cass. nn. 23665, 19406 e 19405 del 2011 il lavoratore può reagire al recesso intimato dal curatore con gli ordinari rimedi impugnatori e, ove venga giudizialmente accertato che il licenziamento è stato intimato in difformità dal modello legale, la curatela è esposta alle conseguenze derivanti dall’illegittimo esercizio del potere unilaterale, nei limiti in cui le stesse siano compatibili con io stato di fatto determinato dal fallimento 2.6. così nel caso di disgregazione definitiva dell’azienda l’eventuale illegittimità del recesso non potrebbe condurre alla ripresa effettiva del rapporto di lavoro il principio opera anche nel caso di imprenditore in bonis Cass. n. 29936 del 2008 Cass. n. 13297 del 2007 peraltro questa Corte ha, ancora di recente Cass. n. 2975 del 2017 , ribadito che, in caso di fallimento dell’impresa datrice di lavoro, l’interesse del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro, previa dichiarazione giudiziale dell’illegittimità del licenziamento, non ha ad oggetto solo il concreto ripristino della prestazione lavorativa - che presuppone la ripresa dell’attività aziendale -, ma anche le utilità connesse al ripristino del rapporto in uno stato di quiescenza attiva dalla quale possono scaturire una serie di utilità, quali sia la ripresa del lavoro in relazione all’eventualità di un esercizio provvisorio, di una cessione in blocco dell’azienda, o della ripresa della sua amministrazione da parte del fallito a seguito di concordato fallimentare , sia la possibilità di ammissione ad una serie di benefici previdenziali indennità di cassa integrazione, di disoccupazione, di mobilità Cass. n. 11010 del 1998 Cass. n. 6612 del 2003 Cass. n. 7129 del 2011 2.7. in ogni caso la curatela che ha proceduto ad intimare un licenziamento illegittimo è esposta alle conseguenze risarcitorie previste dall’ordinamento, secondo la disciplina applicabile tempo per tempo, a tutela della posizione del lavoratore 3. tanto premesso in diritto, può essere risolta la questione sottoposta all’attenzione del Collegio nel senso che la Corte territoriale ha errato nel negare l’ammissione al passivo del fallimento di S.R. per crediti relativi al periodo successivo al licenziamento della medesima 3.1. per quanto innanzi detto, sino a quando il curatore non effettua la scelta tra subentrare nel rapporto di lavoro pendente ovvero sciogliersi da esso, detto rapporto, in assenza di prestazione, pur essendo formalmente in essere, rimane sospeso e, difettando l’esecuzione della prestazione lavorativa, viene meno l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione 3.2. una volta però attuata la scelta dal curatore del Fallimento omissis Spa, realizzata mediante il licenziamento della S. il 15 marzo 2002, la curatela resta esposta alle conseguenze patrimoniali derivanti dalla declaratoria di inefficacia del recesso per violazione della l. n. 223 del 1991, statuita con sentenza passata in giudicato 3.3. la diversità di regime nei due periodi, pur accomunati dalla mancanza di prestazione lavorativa da parte della S. , è giustificata fino al compimento della scelta prevista dall’art. 72 l.f. il rapporto pendente, privo di bilaterale esecuzione, è in una fase di sospensione ed il curatore esercita una facoltà espressamente prevista dalla legge, per cui alcun inadempimento è a lui imputabile, fatta salva l’actio interrogatoria del lavoratore o eventuali azioni di questi per il risarcimento del danno causato dall’inerzia colpevole del curatore, sempre che ne ricorrano i presupposti di diritto comune fatti valere con adeguata domanda evenienze non verificatesi nella specie successivamente, una volta che la scelta di sciogliersi dal rapporto di lavoro pendente è stata effettuata dal curatore del Fallimento omissis Spa con modalità giudicate errate con sentenza passata in cosa giudicata, la curatela è soggetta al principio, valido per ogni datore di lavoro, secondo cui nell’ipotesi di licenziamento illegittimo il legislatore ha inteso attribuire diritti retributivi al lavoratore malgrado la non avvenuta prestazione lavorativa, prevedendo analiticamente il risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione secondo la formulazione dell’art. 18, l. n. 300 del 1970 vigente all’epoca dei fatti , e ciò in ragione del fatto che nel caso di licenziamento illegittimo l’equiparazione della mera utilizzabilità delle energie lavorative del prestatore alla loro effettiva utilizzazione consegue, oltre che alla ricostituzione del rapporto e al ripristino della lex contractus, all’accertamento giudiziale dell’illegittimità del comportamento datoriale, e cioè dell’imputabilità al datore di lavoro della mancata prestazione lavorativa tra molte, cfr. Cass. SS.UU. n. 2334 del 1991 e n. 508 del 1999 Cass. n. 13953 del 2000 Cass. n. 6155 del 2004 4. nelle note il Fallimento, pur condividendo le pronunce citate nella parte in cui hanno negato l’ammissione al passivo per il periodo antecedente al licenziamento operato dalla Curatela, criticano l’assunto secondo cui il lavoratore ha diritto ad ottenere, sempre e comunque, il risarcimento del danno, da quantificarsi nelle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino alla reintegra, essendo irrilevante che quest’ultima sia in concreto impossibile, per essere cessata l’attività d’impresa, addirittura prima della risoluzione del rapporto di lavoro 4.1. in realtà tale assunto non è affatto contenuto nei precedenti citati che, come innanzi detto e qui va ribadito, hanno avuto cura di precisare che la curatela è esposta alle conseguenze derivanti dall’illegittimo esercizio del potere unilaterale, nei limiti in cui le stesse siano compatibili con lo stato di fatto determinato dal fallimento. Così nel caso di disgregazione definitiva dell’azienda l’eventuale illegittimità del recesso non potrebbe condurre alla ripresa effettiva del rapporto di lavoro 4.2. in realtà la sentenza impugnata non ha affatto respinto le domande della lavoratrice sul rilievo della disgregazione definitiva dell’azienda , finanche precedente alla risoluzione del rapporto di lavoro, che non risulta oggetto di accertamento in fatto da parte della Corte territoriale, bensì sull’opinione che l’illegittimità del licenziamento collettivo avrebbe dato luogo al ripristino del rapporto, che era già sospeso ex art. 72 l.f. con conseguente impossibilità della prestazione e del maturarsi della retribuzione, collegata alla prestazione effettiva del lavoro ed è questo errore di diritto che impone la cassazione della sentenza impugnata, non essendo certamente condivisibile la tesi del Fallimento secondo cui, nonostante la declaratoria di illegittimità del licenziamento, reiteratamente il curatore potrà procedere ad un nuovo licenziamento, accompagnato da una specifica e valida motivazione, senza, , nulla dover pagare , quando il principio, invece, è quello già espresso secondo cui ove il curatore intenda sciogliersi dal rapporto di lavoro dovrà farlo nel rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi, non essendo in alcun modo sottratto ai vincoli propri dell’ordinamento lavoristico perché la necessità di tutelare gli interessi della procedura fallimentare non esclude l’obbligo del curatore di rispettare le norme in generale previste per la risoluzione dei rapporti di lavoro 5. conclusivamente il ricorso deve essere accolto per quanto innanzi espresso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che, uniformandosi a quanto statuito, provvederà ad ammettere la S. al passivo del fallimento quantificando i crediti retributivi maturati successivamente al licenziamento del 15 marzo del 2002 nonché il trattamento di fine rapporto provvederà altresì alla liquidazione delle spese, anche del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.