Lavoro nero: la maxi-sanzione amministrativa è tuttora applicabile

Attesa la loro natura risarcitoria, solo la maxi-sanzione civile prevista per l’ipotesi di c.d. lavoro nero è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale, non già la – concettualmente distinta – maxi-sanzione amministrativa, pure contenuta nella medesima norma.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 26489 depositata il 19 ottobre 2018. Il caso. La Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia di primo grado e per quanto qui interessa esaminare , accoglieva il ricorso di una società teso alla declaratoria di nullità dell’ordinanza-ingiunzione notificatagli dal locale Ispettorato Territoriale del lavoro. In particolare, ad avviso dei Giudici di merito, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 254/2014 era da ritenersi integralmente illegittima la c.d. maxi-sanzione prevista per il c.d. lavoro nero, risultando quindi affetta da nullità assoluta sopravvenuta l'ordinanza-ingiunzione che una tale sanzione contemplava. Contro tale pronuncia il Ministero del Lavoro ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando un unico motivo. L’interpretazione ministeriale. In particolare il Ministero si doleva della violazione e falsa applicazione dell’art. 36- bis, comma 7, lett. a , d.l. n. 223/2006 conv. in l. n. 248/2006 , atteso che i Giudici di Appello non avevano considerato come la norma in commento – nel sanzionare il lavoro nero – avesse introdotto una duplice previsione ossia i la cosiddetta maxi-sanzione amministrativa primo periodo della disposizione connessa all’impiego di lavoratori non registrati e ii le sanzioni civili secondo periodo della disposizione , volte a compensare, in forma risarcitoria, il mancato versamento dei dovuti contributi e premi . Premesso ciò, ad avviso del ricorrente, era del tutto evidente che la pronuncia della Consulta avesse dichiarato l’incostituzionalità del solo secondo periodo della disposizione, senza in alcun modo incidere sulla sanzione amministrativa unico oggetto del giudizio . Il testo della norma e la pronuncia della Consulta. Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso. Preliminarmente, la Corte rileva come la norma in commento prevedesse che All’articolo 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 [.] a il comma 3 è sostituito dal seguente Ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l'impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria è altresì punito con la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L'importo delle sanzioni civili connesse all'omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata . Norma della quale la Consulta, con la pronuncia n. 254/2014, ha dichiarato l’incostituzionalità nella sola parte in cui [.] stabilisce che l’importo delle sole sanzioni civili connesse all'omesso versamento dei contributi e premi [.] non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata . Pronuncia che non ha invece interessato la prima parte della citata disposizione [] riflettente la diversa ipotesi dell’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore nello stesso senso si veda Cass. n. 3208/2018 . La ratio della pronuncia della Consulta. Del resto, nell’avviso della Cassazione, la pronuncia della Corte Costituzionale è coerente con la stessa ratio sottesa alle sanzioni civili per il ritardato od omesso versamento di contributi, poste allo scopo di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata dalla legge [.] il danno cagionato all’istituto assicuratore . Poiché le sanzioni civili hanno natura eminentemente risarcitoria, la previsione di una soglia minima disancorata dalla durata della prestazione lavorativa accertata è irragionevole perché può determinare una sanzione del tutto sproporzionata rispetto alla gravità dell’inadempimento del datore di lavoro ed incoerente con la sua riconosciuta natura risarcitoria . In questo contesto, conclude la Cassazione accogliendo il ricorso, è evidente che alla Corte territoriale è sfuggita la distinzione [.] tra le sanzioni civili, aventi funzione risarcitoria connessa all'omesso versamento contributivo, e le sanzioni amministrative [.] già previste dalla normativa in vigore, la cui disciplina non è stata interessata, differentemente dalle prime, dalla citata sentenza dei giudici delle leggi .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 giugno - 19 ottobre 2018, n. 26489 Presidente Manna – Relatore Berrino Fatti di causa Il Tribunale di Livorno accolse parzialmente il ricorso proposto dalla società I Tre Moschettieri s.n.c. ed annullò la parte dell’ordinanza-ingiunzione n. 585/2011, emessa dalla Direzione territoriale del lavoro di Livorno a seguito di accertamenti ispettivi, limitatamente alla violazione codificata col numero 5200, confermandola nel resto unitamente all’altra ordinanza-ingiunzione n. 580/2011. A seguito di impugnazione principale di M.F. , B.G. e della società I Tre Moschettieri di M.F. e B.G. s.n.c., nonché di impugnazione incidentale della predetta Direzione territoriale, la Corte d’appello di Firenze sentenza del 23.7.2015 ha accolto parzialmente entrambi gli atti d’appello ed ha dichiarato non dovuta la sanzione di cui al codice 5200 dell’ordinanza-ingiunzione n. 585/2011, né la maxi-sanzione di cui al codice 9106 dell’ordinanza-ingiunzione n. 580/2011. La Corte territoriale ha spiegato che a seguito della sentenza n. 254/2014 del giudice delle leggi era da ritenere illegittima la c.d. maxi-sanzione prevista per il c.d. lavoro nero, per cui era affetta da nullità assoluta sopravvenuta l’ordinanza-ingiunzione n. 580/2011 che la contemplava. Quanto all’ordinanza-ingiunzione n. 585/2011, rispetto alla quale il primo giudice aveva annullato la sola violazione codificata col numero 5200 relativa all’omessa consegna del prospetto paga ai lavoratori C. ed E. sulla base della ritenuta natura collaborativa occasionale coordinata delle prestazioni rese da questi ultimi, la Corte d’appello ha considerato, invece, che si trattava di prestazioni lavorative rese in regime di subordinazione, per cui, in accoglimento dell’appello incidentale della predetta Direzione, ha affermato che la sanzione era dovuta. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Ministero del Lavoro - Direzione territoriale del lavoro di Livorno con un solo motivo, cui resistono con controricorso la società I Tre Moschettieri s.n.c. di M.F. e B.G. , nonché personalmente questi due soci. Ragioni della decisione 1. Osserva la Corte che l’eccezione preliminare sollevata dai controricorrenti in ordine all’asserita nullità della notifica via PEC posta elettronica certificata del ricorso per cassazione effettuata dall’Avvocatura dello Stato nell’interesse dell’Agenzia delle Entrate nullità, questa, ricondotta al fatto che la parte processuale è stata sin dall’inizio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Territoriale di Livorno - è infondata. Invero, è agevole rilevare che trattasi di un vizio di natura formale che investe solo la parte introduttiva della relata di notifica e che non inficia in alcun modo la validità della notifica del ricorso, in quanto dalla lettura complessiva dello stesso emerge chiaramente che la parte interessata alla cassazione dell’impugnata sentenza è esclusivamente il ricorrente Ministero nella sua articolazione territoriale livornese. Oltretutto, in nessuna parte del ricorso si fa riferimento all’Agenzia delle Entrate e, d’altra parte, l’atto di notifica ha raggiunto il suo scopo consentendo ai controricorrenti di difendersi adeguatamente. 2. È, altresì, da respingere la richiesta preliminare, già proposta dai controricorrenti alla Sezione sesta di questa Corte prima della rimessione del procedimento all’udienza pubblica, volta a sentir dichiarare cessata la materia del contendere per effetto della loro scelta di avvalersi dell’adesione agevolata in relazione all’irrogazione delle sanzioni amministrative con impegno a rinunciare ai giudizi pendenti aventi ad oggetto i carichi ai quali si riferisce la dichiarazione. Invero, non solo nell’ordinanza della Sesta sezione si evidenzia che non vi è in atti una rinunzia dei controricorrenti, ma a ciò va aggiunto che manca proprio la prova dell’accettazione del Ministero alla predetta definizione agevolata, per cui non ricorrono i presupposti per l’invocata cessazione della materia del contendere. 3. Con un solo motivo il ricorrente Ministero deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 36-bis, comma 7, lett. a , del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni nella legge 4 agosto 2006, n. 248, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., precisando che la presente impugnazione è diretta esclusivamente contro il capo della sentenza di secondo grado attraverso il quale è stata annullata la sanzione individuata, all’interno dell’ordinanza-ingiunzione e degli atti da essa presupposti, con il numero di codice 9106 c.d. maxi-sanzione connessa al c.d. lavoro nero, cioè impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria . Il ricorrente censura, dunque, la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha escluso l’applicabilità, nel caso di specie, della predetta disposizione sanzionatoria sulla base del convincimento che nelle more del giudizio la stessa fosse stata espunta dall’ordinamento per effetto della sentenza n. 254 del 2014 della Corte Costituzionale. L’erroneità di tale decisione, secondo il ricorrente, dipende dal fatto che i giudici d’appello non hanno considerato che l’art. 36-bis, comma 7, lett. a , della legge n. 223 del 2006, nel modificare il precedente art. 3 del D.L. n. 12 del 2002, ha introdotto una duplice previsione, vale a dire sia la cosiddetta maxi-sanzione amministrativa primo periodo della disposizione connessa al c.d. lavoro nero concernente l’impiego di lavoratori non registrati, rappresentante l’oggetto del presente giudizio, sia le sanzioni civili secondo periodo della disposizione , volte a compensare, in forma risarcitoria, il mancato versamento dei dovuti contributi e premi. Aggiunge il ricorrente che la declaratoria di incostituzionalità richiamata nell’impugnata sentenza ha riguardato unicamente l’ipotesi prevista delle sanzioni civili, senza andare ad incidere in alcun modo sulla maxi-sanzione amministrativa contemplata dalla citata disposizione normativa. In definitiva, secondo il presente assunto difensivo, la Corte d’appello di Firenze, nell’interpretare erroneamente la portata della declaratoria di incostituzionalità di cui trattasi, è incorsa nell’illegittima disapplicazione del primo periodo dell’art. 36-bis, comma 7, lett. a del D.L. n. 223 del 2006, vale a dire della disposizione concretamente applicata nella fattispecie. 4. Il ricorso è fondato. Invero, il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, stabilisce all’art. 36-bis Misure urgenti per il contrasto del lavoro nero e per la promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro , comma 7, quanto segue All’articolo 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, sono apportate le seguenti modificazioni a il comma 3 è sostituito dal seguente 3. Ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria è altresì punito con la sanzione amministrativa da Euro 1.500 a Euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di Euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a Euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata . 5. Dalla sentenza n. 254 del 2014 della Corte Costituzionale, richiamata nell’impugnata sentenza, risulta che è costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 36- bis, comma 7, lett. a , del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248 , nella parte in cui, modificando l’art. 3, comma 3, del d.l. n. 12 del 2002 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 73 del 2002 , stabilisce che l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria non può essere inferiore a Euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata. 6. Orbene, balza evidente che la dichiarazione di illegittimità di cui trattasi è rimasta circoscritta all’ipotesi delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, ma non ha interessato la prima parte della citata disposizione normativa riflettente la diversa ipotesi dell’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore. Ciò è stato già chiarito da questa Corte Sez. L. -, Ordinanza n. 3208 del 9.2.2018 con la precisazione che In materia di sanzioni civili per la mancata iscrizione di lavoratori nel libro matricola, l’art. 36 bis, comma 7, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. nell’art. 1, comma 1, della l. n. 248 del 2006, è inapplicabile, essendo stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte cost. con sentenza 13 novembre 2014, n. 254, nella parte in cui prevede che l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore non può essere inferiore a Euro 3.000,00, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata . 7. D’altronde, nella stessa sentenza n. 254/2014 della Corte Costituzionale è ben spiegato che, come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, l’obbligo relativo alle somme aggiuntive che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di omesso o ritardato pagamento dei contributi assicurativi ha natura di sanzione civile e non amministrativa, costituendo una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, che è posta allo scopo di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con una presunzione iuris et de iure, il danno cagionato all’istituto assicuratore. La censurata previsione di una soglia minima disancorata dalla durata della prestazione lavorativa accertata, dalla quale dipende l’entità dell’inadempimento contributivo e del relativo danno, è irragionevole perché può determinare una sanzione del tutto sproporzionata rispetto alla gravità dell’inadempimento del datore di lavoro ed incoerente con la sua riconosciuta natura risarcitoria. Infatti, il legislatore, nel predeterminare in via presuntiva il danno subito dall’ente previdenziale a causa dell’omissione contributiva, ha escluso la rilevanza di uno degli elementi che concorrono a cagionare quel danno, costituito dalla durata dei rapporti di lavoro non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria e dal correlativo inadempimento dell’obbligo contributivo. In tal modo, la sanzione risulta arbitraria e irragionevole perché, pur avendo funzione risarcitoria, è stabilita con un criterio privo di riferimento all’entità del danno, dipendente dalla durata del periodo in cui i rapporti di lavoro in questione si sono protratti. 8. Ebbene, è evidente che alla Corte territoriale è sfuggita la distinzione contenuta nella norma di cui all’art. 36-bis, sopra riportata, tra le sanzioni civili, aventi funzione risarcitoria connessa all’omesso versamento contributivo, e le sanzioni amministrative applicate nella fattispecie già previste dalla normativa in vigore, la cui disciplina non è stata interessata, differentemente dalle prime, dalla citata sentenza dei giudici delle leggi. 9. In definitiva, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio del procedimento alla Corte d’appello di Firenze che, in diversa composizione, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.