La disoccupazione impedisce il maturare dei requisiti per la pensione di reversibilità

La disoccupazione, non rientrando tra le ipotesi previste dall’art. 37 d.P.R. n. 818/1957, non consente la sospensione del rapporto assicurativo ai fini del computo dei requisiti per l’accesso alla pensione indiretta in caso di morte dell’assicurato.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25858/18, depositata il 16 ottobre. La vicenda. Il Tribunale di Lecce respingeva la domanda proposta dall’attrice, nei confronti dell’INPS, per il riconoscimento del diritto alla pensione indiretta a seguito della morte del coniuge. La Corte d’Appello confermava la decisione sostenendo che il coniuge deceduto non aveva maturato i requisiti volti a consentire alla sua avente causa l’accesso alla pensione indiretta. La disoccupazione neutralizza la formazione del requisito? La soccombente ricorre per la cassazione della pronuncia affermando che la morte improvvisa in età lavorativa del suo dante causa poteva essere considerata come evento derogatorio per la formazione dei requisiti necessari per la pensione ai superstiti. Sottolineando infatti che i requisiti previsti per tale trattamento previdenziale sono che il dante causa abbia all’età della morta un’anzianità contributiva di almeno 15 anni o, in subordine, di 5 anni nella propria lavorativa di cui almeno 3 negli ultimi 5 anni, la ricorrente sostiene che lo stato di disoccupazione del dante causa nel quinquennio antecedente al decesso costituirebbe un elemento di neutralizzazione per la formazione del requisito specifico vale a dire 5 anni di assicurazione e contribuzione, di cui almeno 3 negli ultimi 5 anni , ragion per cui la sola presenza del requisito generico 5 anni è sufficiente a realizzare la previsione di legge . Sospensione del rapporto assicurativo. Il Collegio sottolinea che le ipotesi di neutralizzazione dei periodi di sospensione del rapporto assicurativo in presenza di situazioni impeditive sono state tassativamente previste dal legislatore nell’art. 37 d.P.R. n. 818/1957 recante Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti . Tra esse figurano i periodi di assenza facoltativa dal lavoro dopo il parto, i periodi di lavoro subordinato all’estero che non siano inclusi in convenzioni o accordi internazionali, i periodi di servizio militare eccedente il servizio di leva, i periodi di malattia certificati che eccedono i limiti di cui all’art. 56, lett. a , punto 2, r.d.l. n. 1827/1935. Si tratta di casi di sospensione del rapporto assicurativo che corrispondono a periodi di assenza facoltativa dal lavoro e che sono appunto caratterizzati da tipicità la disoccupazione, non rientrando tra le ipotesi previste, non consente la sospensione del rapporto assicurativo. Precisa inoltre la Corte che il diritto dei superstiti al trattamento pensionistico indiretto o di reversibilità è autonomo da diritto alla pensione dell’assicurato il quale, alla morte di quest’ultimo, non entra far parte dell’asse ereditario ma è acquisito dai superstiti jure proprio . In definitiva, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 giugno – 16 ottobre 2018, n. 25858 Presidente D’Antonio – Relatore Berrino Fatti di causa N.G. propose appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Lecce le aveva respinto la domanda tesa al riconoscimento, nei confronti dell’Inps, del diritto a conseguire la pensione indiretta quale coniuge del defunto Q.R.A. . La Corte d’appello di Lecce sentenza del 7.2.2014 rigettò il gravame dopo aver osservato che il coniuge dell’appellante non aveva maturato, prima del decesso, i requisiti atti a consentire alla sua avente causa l’accesso al beneficio della pensione indiretta, vale a dire 15 anni di anzianità contributiva, con 780 contributi settimanali, ovvero cinque anni di contribuzione, di cui tre nel quinquennio precedente la morte inoltre, la morte del dante causa non poteva rappresentare un fattore di deroga, come infondatamente prospettato dalla ricorrente, alla previsione della sussistenza del requisito contributivo minimo per l’accesso alla pensione indiretta. Per la cassazione della sentenza ricorre N.G. con due motivi, cui resiste l’Inps con controricorso. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo, dedotto per errata interpretazione ed applicazione dell’art. 37 del d.p.r. 26.4.1957 n. 818, la ricorrente, nel censurare la decisione di disconoscimento del diritto alla pensione indiretta, assume che la morte improvvisa in età lavorativa del suo dante causa poteva essere considerata un evento derogatorio per la formazione dei requisiti indispensabili ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione ai superstiti, atteso che gli effetti negativi sarebbero ricaduti su terzi coniuge superstite, figli minori o maggiorenni inabili estranei al rapporto assicurativo che il sistema previdenziale si sforzava, invece, di tutelare. In particolare, la ricorrente, dopo aver ricordato che i requisiti per la pensione indiretta a favore degli aventi diritto sono che il dante causa abbia, alla data della morte, un’anzianità contributiva di almeno 15 anni a qualsiasi titolo o, in subordine, di 5 anni nella propria vita lavorativa, dì di cui almeno tre negli ultimi cinque anni, assume che, nel caso di morte improvvisa e in età lavorativa dell’assicurato, lo stato di disoccupazione nel quinquennio antecedente la data del decesso rappresenta un elemento di neutralizzazione per la formazione del requisito specifico vale a dire 5 anni di assicurazione e contribuzione, di cui almeno tre negli ultimi cinque anni , ragion per cui la sola presenza del requisito generico cinque anni è sufficiente a realizzare la previsione di legge per il diritto alla pensione indiretta. 2. Il motivo è infondato. Invero, la pretesa valenza derogatoria dell’evento morte rispetto alla formazione del requisito minimo per il diritto alla pensione indiretta, i cui effetti non potrebbero ricadere, secondo la ricorrente, sui terzi coniuge superstite, figli minori o maggiorenni inabili , e che la disoccupazione del de cuius nel quinquennio antecedente la sua morte rappresenterebbe un elemento di neutralizzazione per la formazione del predetto requisito specifico, appare una mera petizione di principio non supportata da alcuna norma, come evidenziato, tra l’altro, anche dalla stessa Corte d’appello di Lecce. 3. Infatti, come correttamente eccepito dalla difesa dell’Inps, la legge prevede espressamente i casi di neutralizzazione dei periodi di sospensione del rapporto assicurativo in presenza di situazioni impeditive tassative. In particolare, il d.p.r. 26.4.1957, n. 818 Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dopo aver previsto all’art. 37, comma 1, che I periodi riconosciuti come periodi di contribuzione a norma dei precedenti articoli 10 e 12 sono esclusi dal computo del quinquennio per l’accertamento dei requisiti contributivi stabiliti dall’art. 5 della legge 4 aprile 1952, n. 218, per l’ammissione al versamento dei contributi volontari al secondo comma stabilisce che Allo stesso modo vanno considerati a i periodi di assenza facoltativa dal lavoro dopo il parto previsti dal secondo comma dell’art. 6 della legge 26 agosto 1950, n. 860, nel testo modificato dalla legge 23 maggio 1951, n. 394 b i periodi di lavoro subordinato all’estero che non siano protetti agli effetti delle assicurazioni interessato in base a convenzioni od accordi internazionali c i periodi di servizio militare eccedenti il periodo corrispondente al servizio di leva d i periodi di malattia, comprovati con certificato rilasciato da un Ente previdenziale o da una pubblica amministrazione ospedaliera che eccedano i limiti stabiliti dall’art. 56, lettera a , punto 2, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827. . Infine, il terzo comma della stessa disposizione sancisce che I periodi indicati nel comma precedente sono parimenti esclusi dal computo del quinquennio previsto dall’art. 9, n. 2, lettera b , sub art. 2, e dall’art. 13, sua art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, per il diritto alla pensione per invalidità e per i superstiti, e dall’art. 17 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, per il diritto alle prestazioni antitubercolari, nonché dal computo del biennio previsto dall’art. 19 dello stesso regio decreto-legge per il diritto alla indennità di disoccupazione, fermo restando quanto disposto dall’art. 56, lettera c , del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, per i periodi di servizio militare . 4. Quindi, solo i casi sopra previsti, e non certo la disoccupazione del dante causa prima del suo decesso, costituiscono delle ipotesi legali tassative di sospensione del rapporto assicurativo. Pertanto, i casi di sospensione del rapporto assicurativo sono rappresentati dai periodi di assenza facoltativa dal lavoro dopo il parto, dai periodi di lavoro subordinato all’estero che non siano protetti agli effetti delle assicurazioni da convenzioni od accordi internazionali, dai periodi di servizio militare eccedenti il periodo corrispondente al servizio di leva e dai periodi di malattia che eccedano i limiti stabiliti dall’art. 56, lettera a , punto 2, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827. 4.a. La ragione per la quale il legislatore ha introdotto dette ipotesi di neutralizzazione del periodo assicurativo è da ricercare nella protezione del lavoratore assicurato interessato da uno dei predetti eventi, per cui a poco rileva, ai fini della predetta sospensione, la posizione del terzo che, oltretutto, nell’ipotesi della pensione indiretta che qui interessa, matura il diritto iure proprio e non iure successionis. Infatti, il diritto dei superstiti al trattamento pensionistico indiretto o di riversibilità è del tutto autonomo rispetto al diritto alla pensione spettante all’assicurato e, pertanto, alla morte di quest’ultimo, non entra a far parte dell’asse ereditario, ma è acquisito dai superstiti jure proprio v. in tal senso Cass. sez. 2, n. 1294 del 7.5.1974, nonché Cass. sez. lav. n. 593 del 24.1.1984, n. 12034 del 6.11.1992, n. 17077 del 22.8.2005, n. 23569 del 12.9.2008 . 5. Col secondo motivo, col quale ci si lamenta della errata interpretazione ed applicazione dell’art. 47 del d.P.R. n. 639/1970 come modificato dall’art. 38 del D.L. n. 98 del 6.7.2011 convertito nella legge n. 111 del 15.7.2011, si censura la decisione del primo giudice, che secondo la ricorrente sarebbe stata confermata dalla Corte d’appello, sulla rilevata decadenza triennale per quanto richiesto a decorrere dalla data di deposito del ricorso. 6. Il motivo è inammissibile in quanto il rilievo per il quale la Corte d’appello avrebbe confermato anche tale statuizione di prime cure non trova affatto riscontro nella motivazione della sentenza impugnata della Corte distrettuale, per cui si tratterebbe, semmai, di un’ipotesi di omessa pronunzia, ma in tal caso N.G. non si sarebbe dovuta limitare a richiamare il relativo motivo d’appello, ma avrebbe dovuto formulare la censura ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., onde consentire a questa Corte di rilevare eventuali errori della sentenza, mentre ciò non è avvenuto. Si è, infatti, statuito Cass. sez. 3, n. 378 dell’11.1.2005 che È inammissibile per difetto di interesse, non configurandosi al riguardo una situazione di soccombenza, il ricorso per cassazione proposto, sotto il profilo della violazione di legge o del difetto di motivazione, contro una sentenza che non contenga la statuizione della quale si assume l’erroneità e che, in particolare, non contenga sul punto oggetto di gravame alcuna declaratoria della volontà di legge nel caso concreto, esulando dai compiti della Corte di Cassazione di provvedere direttamente ad una dichiarazione siffatta atteso che il giudizio di cassazione è preordinato al controllo di legittimità di statuizioni effettivamente rese dal giudice del merito e non già a porre un rimedio sostitutivo all’omessa pronunzia di questi, la quale -previa denunzia del relativo vizio - può dar luogo sotto il diverso profilo dell’art. 360 n. 4 ad annullamento con pronunzia restitutoria della causa alla fase nella quale l’omissione si è verificata, e non già a cassazione con enunciazione del principio di diritto, come si evince dal disposto del primo comma dell’art. 384 cod. proc. civ. in relazione all’art. 383 stesso cod. in senso conf. v. Cass. Sez. 3, n. 20321 del 20.10.2005 e Sez. Lav. n. 23265 dell’8.11.2007 . 7. In definitiva, il ricorso va rigettato. Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese di lite in quanto ricorrono nella fattispecie le condizioni di esenzione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., così come novellato a seguito della entrata in vigore dell’art. 42, comma 11, del d.l. 30/9/03 n. 269, convertito nella legge 24/11/03 n. 326 né ricorrono i presupposti per il pagamento del contributo unificato di cui all’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.