Il principio della scissione del momento di perfezionamento della notifica ha portata generale

Il decreto ingiuntivo avente ad oggetto le somme spettanti ad un lavoratore a titolo di TFR si considera tempestivamente notificato laddove il procedimento notificatorio, seppur conclusosi dopo il termine perentorio dei 60 giorni, sia stato avviato tempestivamente.

Sul tema la Corte di legittimità con la sentenza n. 25716/18, depositata il 15 ottobre. La vicenda. La Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame avverso la sentenza di prime cure che aveva a sua volta rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso a favore di un lavoratore per la somma spettante a titolo di TFR. In virtù del principio della scissione tra il momento di perfezionamento della notifica per il notificante e quello per il destinatario, riteneva la Corte territoriale che la notifica del decreto ingiuntivo fosse tempestiva, diversamente da quanto dedotto dalla parte datoriale. Quest’ultima ricorre dunque in Cassazione. Notifica. La sentenza impugnata ha correttamente applicato, sottolinea la Corte, il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante ed il destinatario, essendo il procedimento notificatorio iniziato in tempo utile ma giunto a compimento oltre la scadenza del termine perentorio di 60 giorni. La regola citata, cristallizzata anche dalla giurisprudenza costituzionale, ha infatti portata generale e si riferisce ad ogni tipo di notificazione nell’ordinamento processuale civile in considerazione della tutela dell’interesse del notificante a non vedersi addebitare l’esito intempestivo dell’atto per la parte di cui egli non ha disponibilità. Ribadiscono dunque gli Ermellini che le norme in tema di notificazioni di atti processuali devono essere interpretate nel senso che la notifica si perfeziona nei confronti del notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, con la conseguenza che tale adempimento, se tempestivo, evita alla parte la decadenza dovuta all’inosservanza del termine perentorio entro il quale la notifica deve essere effettuata. Rimenando infondate le ulteriori deduzioni attinenti al merito della vicenda, la Corte giunge al rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 30 maggio – 15 ottobre 2018, n. 25716 Presidente Patti – Relatore Marchese Fatti di causa 1. La Corte di appello di Roma, con sentenza nr. 6039 del 2013, respingeva l’appello dell’odierno ricorrente avverso la sentenza emessa in data 15.7.2010 con cui il Tribunale di Frosinone aveva rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore di S.D. per la somma di Euro 2.128,83 a titolo di trattamento di fine rapporto. 2. La Corte di appello escludeva la tardività della notificazione del decreto ingiuntivo opposto ed al riguardo richiamava il principio della scissione tra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e quello per il destinatario. 2.1.Osservava, inoltre, che il luogo di adempimento del trattamento di fine rapporto era il domicilio del lavoratore, in applicazione del principio stabilito dall’art. 1182, comma 3, cod. civ., essendo cessato il rapporto di lavoro e quindi venuta meno la condizione che giustifica il pagamento della retribuzione nel luogo di lavoro. 3. Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso Impresa di Costruzioni Generali St.Be. S.p.A. affidato a tre motivi. 4. Ha resistito, con controricorso, S.D. . Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, è dedotta la violazione dell’art. 644 cod.proc.civ. 1.1.Si censura la sentenza per non aver ritenuto inefficace il decreto ingiuntivo, in quanto notificato tardivamente, e per aver ritenuto operante il principio del doppio momento della notificazione, diverso cioè per il notificante ed il destinatario dell’atto si assume che detto principio avrebbe potuto trovare applicazione solo in caso di notifica a mezzo posta e non nella fattispecie di causa, trattandosi di notificazione a mani proprie, tramite ufficiale giudiziario. 2. Il motivo è infondato. 2.1. È pacifico, in fatto, che il procedimento notificatorio di cui si discute sia iniziato in tempo utile entro il sessantesimo giorno e, tuttavia, si sia perfezionato in tempo successivo alla scadenza del termine perentorio. 2.2. La sentenza impugnata ha fatto applicazione del noto principio di scissione degli effetti della notificazione per il notificante ed il destinatario, così come stabilito dalla sentenza nr. 477 del 2002, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ. e della legge nr. 890 del 1982, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevedeva che la notificazione si perfezionasse, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario invece che a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario. 2.3. Il principio -in prosieguo applicato, tra le tante, dalla sentenza nr. 28 del 2004 del giudice delle leggi è oggi recepito anche normativamente dell’art. 149 citato, ult.co., come introdotto dalla legge nr. 263 del 2005, per le notificazioni a mezzo del servizio postale. 2.4. La portata generale della regola -che trova la sua giustificazione nella tutela dell’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo del procedimento notificatorio per la parte sottratta alla sua disponibilità e la riferibilità ad ogni tipo di notificazione ex plurimis, Cass. nr. 4993 del 2014 Cass. nr. 15234 del 2014 rende immanente nell’ordinamento processuale civile, tra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale -relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario. Con la conseguenza che le norme in tema di notificazioni di atti processuali vanno interpretate, senza necessità di ulteriori interventi da parte della Corte Costituzionale, nel senso costituzionalmente, appunto, orientato che la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario cfr., ex multis, quanto alla generalizzata applicazione del principio della scissione per gli atti processuali, in motivazione, Cass., sez. un., 24822 del 2015 con l’ulteriore corollario che, ove tempestiva, quella consegna evita appunto alla parte la decadenza correlata alla inosservanza del termine perentorio entro il quale la notifica va effettuata Cass, sez. un., nr. 10216 del 2006 . 2.5. A tale diritto vivente si è conformata la pronuncia impugnata che è dunque esente dalle censure mosse. 3. Con il secondo motivo, è dedotta la violazione dell’art. 645 cod. proc. civ. nonché l’omessa pronuncia su un motivo di gravame. 3.1. Si assume che la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciare su un motivo di appello la sentenza di primo grado era censurata nella parte in cui aveva ritenuto che, in caso di tardiva notificazione del decreto, con l’opposizione si apriva comunque un normale procedimento di cognizione così argomentando, il Tribunale non aveva però considerato che le spese liquidate nel decreto ingiuntivo sarebbero rimaste a carico dell’opponente nonostante l’inefficacia del decreto. 4. Il motivo è infondato. 4.1. Il vizio di omessa pronuncia deve essere escluso in relazione ad una questione esplicitamente o anche implicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza Cass. nr. 5562 del 2004 Cass. nr. 3417 del 2015 . 4.2. Il profilo in esame non necessitava di pronuncia in quanto, evidentemente, assorbito dalla statuizione di regolarità della notificazione del decreto ingiuntivo. 5. Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 1182 cod. civ 5.1. Si censura la sentenza per aver ritenuto che l’obbligazione di pagamento del trattamento di fine rapporto dovesse essere adempiuta presso il domicilio del creditore id est lavoratore . 6. Il motivo è infondato. 6.1. Ai sensi dell’art. 1182 comma 3 cod. civ., devono essere adempiute al domicilio del creditore le obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento di una somma di danaro in esse si comprendono tutti i crediti originariamente liquidi, ossia i crediti aventi fin dall’origine una somma di danaro, determinata nel suo ammontare o agevolmente calcolabile mediante semplici operazioni aritmetiche cfr., in argomento, Cass. sez. un. nr. 17989 del 2016 . 6.2. È stato già chiarito che tra le obbligazioni cosiddette portabili rientra anche quella concernente il trattamento di fine rapporto che configura, a carico del datore di lavoro, un debito liquido e determinato nel suo ammontare calcolabile cioè mediante criteri stringenti ovvero tali per cui la somma risultante dalla loro applicazione non può che essere una , da adempiere presso il domicilio del creditore mediante il pagamento di una somma di danaro cfr. Cass., sez.un., nr. 5899 del 1997 . 6.3. Anche in parte qua, i giudici del merito hanno, dunque, pronunciato in modo conforme alle regole di diritto ed ai principi di questa Corte e giudicato inadempiente la parte datoriale che non aveva provveduto al pagamento del trattamento di fine rapporto nei modi indicati. 7. Il ricorso va, dunque, rigettato. 8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. 9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR nr. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.