Ripristino del rapporto di lavoro: quando il lavoratore può essere trasferito in un’altra sede?

La ricostituzione del rapporto di lavoro dopo la declaratoria di nullità del termine deve avvenire negli esatti termini e condizioni in cui detto rapporto era sorto e si era svolto fino all’illegittima cessazione per la scadenza di un termine nullo.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 25084/18 depositata il 10 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda della lavoratrice per l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatole da Poste Italiane SpA, con condanna alla reintegrazione. La Corte territoriale riteneva che il mancato adempimento della lavoratrice, la quale aveva rifiutato di prendere servizio in una diversa sede, non poteva ritenersi giustificato non essendoci un’ipotesi di eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c., dato che, in data del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della nullità del termine, la sede dove prima aveva lavorato la lavoratrice era stata soppressa. La Corte riteneva quindi legittimo il trasferimento in altra sede. Così la dipendente propone ricorso in Cassazione. La ricostituzione del rapporto di lavoro. È orientamento consolidato in giurisprudenza che la ricostituzione del rapporto di lavoro dopo la declaratoria di nullità del termine deve avvenire negli esatti termini e condizioni in cui il rapporto era sorto e si era svolto fino all’illegittima cessazione per la scadenza di un termine nullo. Questo prevede il reinserimento del lavoratore nella stessa posizione di lavoro e nello stesso luogo in cui prima la prestazione veniva svolta. Di conseguenza, il datore di lavoro può disporre il trasferimento in altra sede solo se ricorrono le condizioni previste dalla normativa e in applicazione dei principi di correttezza e buona fede. Il ricorso deve quindi essere accolto e la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 aprile – 10 ottobre 2018, numero 25084 Presidente Nobile – Relatore Curcio Svolgimento del processo 1 Con sentenza del 4.10.2013 la corte d’Appello di Palermo riformando la sentenza del tribunale della stessa città, ha respinto la domanda di P.M. , diretta a far accertare l’illegittimità del licenziamento intimatole da Poste Italiane spa in data 23.10.2006 con condanna alla reintegrazione. 2 A seguito di sentenza del Tribunale di Palermo del luglio 2006, poi confermata in appello nel 2009, era stata accertata l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato tra la P. e Poste Italiane spa, con obbligo della società di riammettere in servizio la lavoratrice. Poste spa in esecuzione della decisione di primo grado, aveva disposto la riassunzione in servizio, ma al contempo il suo trasferimento presso il CUAS di Bari, anziché di quello di Palermo, dove la P. era stata addetta in precedenza. La mancata presa di servizio presso la sede indicata aveva determinato la contestazione disciplinare ed il conseguente licenziamento impugnato nel successivo giudizio. 3 La corte di merito, ribaltando la decisione del primo giudice, ha ritenuto che il mancato adempimento della lavoratrice, che aveva rifiutato di prendere servizio nella diversa sede di Bari, non poteva ritenersi giustificato non sussistendo un’ipotesi di eccezione di inadempimento ai sensi dell’articolo 1460 c.c., atteso che, alla data del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della nullità del termine nel 2009 la sede dove la P. aveva lavorato - CUAS di Palermo - era stata soppressa e i compiti distribuiti in altri uffici, tenuto anche conto che la sentenza della corte d’Appello di Palermo del 2009 non aveva indicato nessuna sede specifica per il ripristino del rapporto. Non poteva infatti applicarsi nei confronti della lavoratrice l’accordo sindacale 28.12.2005, che doveva ritenersi riferito ai soli lavoratori in servizio presso il CUAS palermitano e dunque all’organico così come cristallizzatosi a tale data, in cui non rientrava la lavoratrice. 4 La corte ha quindi ritenuto che sussistessero le ragioni tecnico organizzative per il trasferimento presso la sede barese ed ha ritenuto pertanto gravemente inadempiente la condotta della P. che aveva omesso di ottemperare all’invito di prendere servizio presso la sede di destinazione di Bari. 5 Ha proposto ricorso per Cassazione P.M. affidato a dieci motivi, a cui ha resistito Poste Italiane spa con controricorso, atti seguiti poi da memoria ex articolo 378 c.p.c. Motivi della decisione 6 con il primo motivo di ricorso la P. deduce la violazione dell’articolo 431 c.p.c., degli articolo 2013, 1460 e 2957 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’articolo 360 comma 1 nnumero 3 e 5 c.p.c. avrebbe errato la corte nell’ignorare che la sentenza del tribunale di Palermo di primo grado del 2006, poi confermata nel 2009, di accertamento della nullità del termine apposto al contratto della P. , imponeva la riammissione nel medesimo luogo di lavoro in cui era stata svolta la prestazione lavorativa, salvo la possibilità di trasferimento di sede ove sussistenti comprovare esigenze tecnico organizzative ai sensi dell’articolo 2013 c.c , prova che avrebbe dovuto fornire la datrice di lavoro. Era emerso invece dall’istruttoria testimoniale che presso la filiale di Palermo esistevano centinaia di posizioni disponibili, che la P. avrebbe potuto ricoprire. 7 con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione dell’accordo 28.12.2005 e la violazione degli articolo 1362 e 1363 c.c. nell’interpretazione di tale accordo, ai sensi dell’articolo 360 c.1. numero 3 c.p.c. in base al citato accordo, non correttamente interpretato dai giudici di appello, si sarebbe dovuto ricavare che le parti avevano voluto regolare la posizione di tutti i lavoratori in servizio presso il CUAS di Palermo, quindi anche della P. , la quale doveva ritenersi in servizio sin dal 15.11.2000, data dell’inizio della sua prestazione presso il CUAS, proprio in forza della sentenza del tribunale. In detto accordo, pur non dandosi atto della chiusura del CUA, era previsto un percorso di mobilità territoriale professionale, in cui si conveniva una ricollocazione nel medesimo ambito territoriale. 8 Con il terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’accordo sindacale 21.3.2007, degli articolo 1362 e ss c.c. nell’interpretazione delle clausole di detto accordo, anche in relazione al richiamo dell’accordo sindacale 29.7.1994, oltre che la violazione articolo 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.1.numero 3, ed ancora la violazione dell’articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia in relazione alla rilevata illegittimità di detto accordo 21.3.2007,come anche un omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all’articolo 360 c.1.numero 5 c.p.c. in nessun caso tale accordo sindacale, che regolamentava processi di riorganizzazione e/o ristrutturazione o trasformazione aziendale ed in cui le parti rilevavano la chiusura della fase di ricollocazione, poteva essere preso a fondamento o riferimento della legittimità della assegnazione a Bari della P. e del suo successivo licenziamento, non prevedendosi affatto per le ricollocazioni un trasferimento fuori sede in altra regione. 9 con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 3 e 5 legge numero 604/66, degli articolo 112,115, 414 c.p.c, oltre che degli articolo 1175/1375, e 2997 c.c., anche in relazione al principio di tempestività articolo 360 c.1 numero 3 c.p.c. con riferimento all’intimato licenziamento sarebbe errata la sentenza laddove ha ritenuto non violato il principio di immediatezza, atteso il lungo tempo trascorso tra la lettera di contestazione, ricevuta dalla P. il 27.6.2006, e la lettera di licenziamento comunicata solo in data 6.10.2006. 10 con il quinto motivo si deduce la violazione degli articolo 41 e 43 del CCNL 1994, dell’articolo 24 del CCNL 11.1. 2001, oltre che dell’articolo 21 del CCNL 20013 e dei relativi allegati,oltre che un omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, perché avrebbe errato la corte nel ritenere che non poteva essere valutata la possibilità di reimpiegare la lavoratrice in altre mansioni appartenenti pur sempre all’area operativa, nel medesimo ambito territoriale della sede di appartenenza. 11 Con il sesto motivo di ricorso si denuncia la violazione degli articolo 38 e 2 del CCNL 11.7.2003, anche con riferimento agli articolo 1362 e 1363 c.c., per non avere la sentenza esaminato il motivo di appello incidentale il relazione all’eccepita ritorsività del licenziamento, disposto solo nei confronti dei lavoratori riammessi al lavoro in forza di sentenza, senza che fossero peraltro rispettate le disposizioni contrattuali disciplinanti di cui all’articolo 38 che regola i trasferimenti collettivi conseguenti al medesimo processo di riorganizzazione, a cui si sarebbe dovuto ricondurre il suo trasferimento come tutti quelli posti in essere in ragione della chiusura del CUAS di Palermo. 12 con il settimo e con l’ottavo motivo di ricorso la P. lamenta la violazione dell’articolo 37 del CCNL del 2003, anche con riferimento agli articolo 1362 e 1362 c.c., per non avere la corte territoriale considerato che il trasferimento a Bari era stato posto in essere senza tener conto delle condizioni personali e familiari del lavoratore interessato, come previsto dal citato articolo 37, oltre che del fatto che ella aveva figli minori a carico, circostanza che impediva, sempre ai sensi del citato articolo 37, di ridurre i termini di preavviso per il trasferimento. 13 con il nono motivo di gravame si deduce la violazione degli articolo 51 e ss del CCNL, che disciplinano il licenziamento con preavviso. 14 con il decimo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’articolo 5 della legge numero 604/1966 e degli articolo 115,116 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c. per non aver corte considerato che la società Poste avrebbe dovuto fornire la prova dell’impossibilità di adibire la lavoratrice in mansioni compatibili con la sua qualifica, o anche inferiori prima di procedere al licenziamento. 15 che il primo ed il secondo motivo di ricorso sono fondati. La questione ha già formato oggetto di esame da parte di questa corte, in fattispecie analoga, con la sentenza numero 16084/2014, al cui orientamento anche questo collego ritiene di dare continuità, nel rispetto degli ulteriori principi di diritto espressi in tema di conseguenze del ripristino del rapporto di lavoro a seguito dell’accertamento della nullità del termine apposto al contratto Cass. 11927/2013, Cass. numero 23677/2010, Cass. 27844/2009 e ripresi dalla citata sentenza. 16 Ed infatti l’orientamento consolidato di questa corte è nel senso che la ricostituzione del rapporto di lavoro a seguito della declaratoria di nullità del termine deve avvenire negli esatti termini e condizioni in cui detto rapporto era sorto e si era svolto sino alla illegittima cessazione per la scadenza di un termine nullo. Ciò comporta il reinserimento del lavoratore nella stessa posizione di lavoro e nello stesso luogo in cui tale prestazione veniva svolta. L’eventuale trasferimento può pertanto operarsi solo nel rispetto della norma di cui all’articolo 2013 c.c. e dell’eventuale disciplina contrattuale collettiva che le parti contraenti si sono obbligate a rispettare. In altri termini il datore di lavoro, ottemperando all’ordine di ripristino del rapporto, può certamente disporre un trasferimento di sede, sempre che ne sussistano le condizioni previste dalla normativa e comunque in applicazione dei più generali principi di correttezza di buona fede di cui agli articolo 1175 e 1375 c.c. 17 Pertanto la violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di disporre il trasferimento dal precedente luogo di lavoro in presenza dei presupposti prima precisati legittima, in termini di eccezione di inadempimento ai sensi dell’articolo 1460 c.c., la mancata ottemperanza da parte del lavoratore ad un provvedimento di trasferimento non giustificato. 18 La sentenza impugnata, pur non disconoscendo i principi di diritto prima ricordati, ha tuttavia ritenuto che nel caso di specie sussistessero ragioni oggettive che impedivano la riammissione della P. nel precedente posto di lavoro, stante la disposta chiusura del CUAS di Palermo - sede di lavoro della P. - avvenuta in via definitiva alla data del passaggio in giudicato della sentenza di ripristino del rapporto. 19 In particolare la corte palermitana ha ritenuto non applicabile alla lavoratrice l’accordo sindacale del 28.12.2005, che aveva regolamentato la distribuzione nell’ambito del territorio del personale addetto a tale struttura e cristallizzato a tale data, anche con procedure di mobilità interregionale, in quanto la P. all’epoca non risultava in organico ed in servizio effettivo presso il Cuas, perché solo nel 2009, oramai già conclusosi la fase di ricollocazione di tale personale, la sentenza che condannava poste al ripristino del rapporto della P. era passata in giudicato. 20 Tale assunto contrasta in primo luogo con il principio di immediata esecutività della sentenza di primo grado che, accertando la sussistenza a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, ne ha ripristinato l’esistenza sin dall’origine - 15.11.2000-, statuizione a cui, sebbene formalmente, la stessa società ha dato esecuzione nel giugno 2006. 21 Conseguentemente risulta fondato il motivo di gravame della ricorrente che denuncia la violazione anche dell’accordo aziendale del 28.12.2005, ritenuto erroneamente non applicabile dalla corte palermitana. Destinataria di tale accordo, che ha disciplinato la ricollocazione del personale in servizio alla data dell’accordo stesso, deve pertanto ritenersi anche la P. rientrante nel personale in servizio presso la sede del Cuas di Palermo e quindi da ricollocare nelle strutture presenti nel medesimo ambito territoriale secondo il citato accordo ricollocazione conclusasi, come precisato dalla sentenza impugnata, solo con il successivo accordo del 21 marzo 2007. 22 Non merita invece accoglimento il quarto motivo di gravame che denuncia la violazione del principio di tempestività della contestazione disciplinare avvenuta solo in data 6.10.2006, dopo tre mesi dopo la ricezione da parte della società della lettera con cui l’odierna ricorrente impugnava l’assegnazione a Bari e non ottemperava al disposto trasferimento. 23 Premesso che la valutazione relativa alla tempestività o meno della sanzione costituisce un giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità se non in caso di motivazione inadeguata sotto il profilo logico giuridico, questa Corte ha espresso un orientamento più volte confermato cfr per tutte Cass. numero 4435/2004, Cass. numero 14113/2006, Cass. numero 281/2016 , secondo cui il concetto di immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richiedano uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso. 24 Nel caso in esame la corte distrettuale, considerando più fattori, quali la dimensione dell’azienda, il periodo feriale estivo in cui i fatti si sono verificati, e in particolare la circostanza che solo il 13 agosto scadevano i 10 gg concessi alla P. per prendere servizio presso l’ufficio di Bari, ha ritenuto, con motivazione priva di vizi logico giuridici e quindi non sindacabile in questa sede, che il lasso di tempo di tre mesi, trascorso tra la conoscenza dell’addebito poi mosso alla P. e la sua contestazione, non potesse ritenersi eccessivo. 25 Vanno pertanto accolti il primo ed il secondo motivo, mentre va rigettato il quarto, restando assorbiti gli altri motivi. La sentenza va cassata con rinvio alla corte d’Appello di Palermo in diversa composizione che valuterà, tenuto conto di quanto statuito in particolare ai punti 20 e 21, la legittimità o meno del licenziamento intimato alla P. , oltre ad operare la liquidazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La corte accoglie il primo ed il secondo motivo, rigetta il quarto, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.