Adozione: sì all’indennità di maternità al padre avvocato in alternativa alla madre

Il padre adottivo, avvocato, ha diritto ad ottenere l’indennità di maternità, in alternativa alla madre, nell’interesse della prole.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nella sentenza 10282/18, depositata il 27 aprile. La fattispecie. La Corte d’Appello di Bari respingeva l’impugnazione proposta dalla Cassa Forense avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda di un avvocato volta ad ottenere il pagamento da parte della predetta Cassa dell’indennità di maternità in sostituzione della madre , a seguito dell’adozione di un bambino. La Corte Costituzionale, infatti, aveva dichiarato costituzionalmente illegittima la legge che non prevedeva che al padre spettasse il diritto a percepire, in alternativa alla madre, l’indennità di maternità in caso di adozione. I Giudici baresi, al contrario di quanto sostenuto dalla Cassa Forense, sostenevano che la pronuncia della Corte Costituzionale non avesse valenza meramente programmatica ma direttamente precettiva. La Cassa Forense ricorre in Cassazione. Indennità di maternità al padre, anche libero professionista. La ricorrente contesta il principio dell’immediata operatività della regola del riconoscimento del diritto del padre adottivo libero professionista ad ottenere l’indennità di maternità, in alternativa alla madre, così come sostenuto dalla Corte Costituzionale. In merito a questo aspetto, Piazza Cavour ha affermato che la disciplina dell’indennità di maternità risponde all’interesse della prole che viene ritenuto adeguatamente tutelato attribuendo ad uno soltanto dei genitori l’indennità in esame. Ciò in base al principio dell’alternatività tra i due genitori e della loro fungibilità. Ciò vuol dire che l’indennità di maternità può essere riconosciuta al padre se non richiesta dalla madre lavoratrice, anche se il genitore è libero professionista. L’interesse primario, infatti, resta quello di tutelare la prole e di facilitare il suo inserimento nella nuova famiglia. No a discriminazioni tra lavoratori autonomi e dipendenti. Se così non fosse, si tratterebbe di una discriminazione vera e propria che rappresenterebbe una violazione del principio della parità di trattamento tra figure genitoriali e tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti. In caso di adozione e di affidamento, non riconoscere l’eventuale diritto del padre all’indennità costituirebbe un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali e, nei nuclei familiari in cui il padre è libero professionista, verrebbe negata ai coniugi la possibilità di decidere, a seconda dei rispettivi impegni lavorativi, chi debba assistere i figli e chi sia in grado di meglio provvedervi. Alla luce di quanto detto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 febbraio – 27 aprile 2018, n. 10282 Presidente Manna – Relatore Calafiore Fatti di causa 1. La Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 311 del 2012, ha respinto l’impugnazione proposta dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense, in seguito Cassa, avverso la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda proposta dall’avvocato P.M. tesa ad ottenere la condanna della Cassa al pagamento in proprio favore della somma di Euro 4.706,55, a titolo di indennità di maternità in sostituzione della madre , a seguito dell’adozione di un bambino brasiliano, in forza della pronuncia della Corte Costituzionale n. 385 del 2005 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevedevano che al padre spettasse il diritto a percepire, in alternativa alla madre, l’indennità di maternità in caso di adozione. 2. La Corte territoriale, ritenendo rispettato il termine perentorio di 180 giorni per la proposizione della domanda perché decorrente dalla data di ingresso del minore in famiglia e non dalla data del suo ingresso in Italia, ha respinto l’eccezione della Cassa relativa alla valenza meramente programmatica e non direttamente precettiva della sentenza della Corte costituzionale invocata, confermata dalla successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 385 del 2010. Infine, ad avviso della Corte territoriale, la natura privata della Cassa rendeva inapplicabile il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione sul credito ai sensi dell’art. 16, sesto comma, l. n. 412 del 1991. 3. Avverso tale sentenza la Cassa ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria. L’avvocato P.M. è rimasto intimato. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 nn. 1 e 2 disp. prel. cod. civ., degli artt. 117, 134 e 136 Cost. per l’erronea qualificazione degli effetti della sentenza n. 385 del 2005 della Corte Costituzionale, ritenuta dalla ricorrente priva di immediata efficacia precettiva in quanto additiva di principio, laddove, ad avviso della sentenza impugnata, la sentenza della Corte Costituzionale citata non necessitava dell’intervento integrativo del legislatore per realizzare il principio di eguaglianza in essa affermato. 2. Il motivo è infondato. Occorre chiarire che il motivo di ricorso, limitato all’unica denuncia di violazione delle norme anche costituzionali che disciplinano gli effetti delle sentenze costituzionali di accoglimento, si limita a contestare il punto della sentenza che afferma la immediata operatività della regola del riconoscimento del diritto del padre adottivo libero professionista ad ottenere l’indennità di maternità, in alternativa alla madre, per effetto della pronuncia di incostituzionalità degli art. 70 e 72 d.lgs. n. 151 del 2001 ad opera di Corte Costituzionale n. 385 del 2005, e non estende le critiche alla sentenza impugnata ad altri profili, essenziali per il riconoscimento del diritto della parte intimata, quali, ad esempio, quelli relativi alla verifica della qualità professionale e della posizione assunta dalla madre adottiva nella vicenda in ordine alla fruizione dell’indennità di maternità, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, rilevanti ai fini dell’applicazione della disciplina dell’ indennità genitoriale rivendicata. 3. In tale ambito questa Corte di cassazione Cass. sez. lav. n. 809 del 15 gennaio 2013 ha avuto modo di affermare, in particolare, che Evidenziate le distinzioni esistenti tra le ipotesi di adozione e quelle di filiazione biologica, in relazione alla prima ipotesi, la disciplina dell’indennità di maternità risponde all’interesse primario della prole, l’esame della citata normativa consente di affermare che è ritenuto adeguatamente tutelato tale interesse della prole attribuendo ad uno soltanto dei genitori l’indennità in esame. I principi che regolano la normativa in esame, come modificata dagli interventi della Corte Costituzionale, possono, infatti, essere sintetizzati in quello della alternatività tra i due genitori e della loro fungibilità e ciò è espressamente previsto per le coppie composte da entrambi i genitori dipendenti cfr. in tal senso il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 28, che attribuisce l’indennità di maternità al padre ove non richiesta dalla madre lavoratrice , ma non vi sono ragioni per discostarsene in caso di coppie in cui un genitore è libero professionista trattandosi di situazioni omogenee nelle quali l’interesse primario da tutelare è e rimane quello della prole e quello di facilitare il suo inserimento nella nuova famiglia”. 4. Dunque, in tale specifico contesto processuale, ove l’accertamento dell’ulteriore presupposto della fruizione alternativa alla madre, richiesto per il riconoscimento del diritto alla fruizione dell’indennità in oggetto, è definitivamente accertato, è evidente che anche la disamina della mera questione giuridica proposta con il motivo di ricorso per cassazione deve limitarsi alla sola verifica della legittimità dell’applicazione alla concreta fattispecie della norma risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 385 del 2005. 5. Tale pronuncia, preso atto che il d.lgs. n. 151 del 2001, riconoscendo il diritto all’indennità genitoriale al padre adottivo o affidatario che sia lavoratore dipendente ed escludendolo, viceversa, nei confronti di coloro che esercitino una libera professione, i quali non hanno la facoltà di avvalersi del congedo e dell’indennità in alternativa alla madre, ha affermato che tale discriminazione rappresenta un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore. Come si evince dalla ratio sottesa agli interventi normativi sopra ricordati nonché dalla lettura delle motivazioni dei precedenti di questa Corte, gli istituti nati a salvaguardia della maternità, in particolare i congedi ed i riposi giornalieri, non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino che va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità sentenza Corte Cost. n. 179 del 1993 . 6. Nell’ipotesi di affidamento e di adozione, ove l’astensione dal lavoro non è finalizzata alla tutela della salute della madre ma mira in via esclusiva ad agevolare il processo di formazione e crescita del bambino, creando le condizioni di una più intensa presenza della coppia, i cui componenti sono entrambi affidatari, e come tali entrambi protagonisti, nell’esercizio dei loro doveri e diritti, della buona riuscita del delicato compito loro attribuito sentenza n. 341 del 1991 - continua Corte Costituzionale n. 385 del 2005-al il fine di realizzare, in caso di adozione e affidamento, la garanzia di una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, non riconoscere l’eventuale diritto del padre all’indennità costituirebbe un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali. Per questo occorre garantire un’effettiva parità di trattamento fra i genitori nel preminente interesse del minore che risulterebbe gravemente compromessa ed incompleta se essi non avessero la possibilità di accordarsi per un’organizzazione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole, ammettendo anche il padre ad usufruire dell’indennità di cui all’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001 in alternativa alla madre. In caso contrario, nei nuclei familiari in cui il padre esercita una libera professione verrebbe negata ai coniugi la delicata scelta di chi, assentandosi dal lavoro per assistere il bambino, possa meglio provvedere alle sue esigenze, scelta che, secondo la giurisprudenza menzionata di questa Corte, non può che essere rimessa in via esclusiva all’accordo dei genitori, in spirito di leale collaborazione e nell’esclusivo interesse del figlio sentenza n. 179 del 1993 . 7. La Corte Costituzionale ha, poi, evidenziato che il principio di uguaglianza implica che non possa non riconoscersi anche al professionista padre tale facoltà posto che la legge la riconosce ai padri che svolgano un’attività di lavoro dipendente e la non estensione di analoga facoltà ai liberi professionisti determina una disparità di trattamento fra lavoratori che non appare giustificata dalle differenze, pur sussistenti, fra le diverse figure differenze che non riguardano, certo, il diritto a partecipare alla vita familiare in egual misura rispetto alla madre , e non consente a questa categoria di padri-lavoratori di godere, alla pari delle altre, di quella protezione che l’ordinamento assicura in occasione della genitorialità, anche adottiva . 8. Tale situazione di assenza di tutela, in difetto di effettiva giustificazione, è stata, quindi, ritenuta da Corte Costituzionale n. 385 del 2005 come discriminatoria con la consequenziale illegittimità costituzionale, degli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l’indennità di maternità, attribuita solo a quest’ultima. Anche se, conclude Corte Cost. n. 385 del 2005, nel rispetto dei principi sanciti da questa Corte, rimane comunque riservato al legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un’adeguata tutela”. 9. Trattasi, quindi, di pronuncia di accoglimento cui la tradizione dottrinale associa la qualificazione di additiva di principio . Tale tipo di pronuncia costituzionale, tuttavia, come rilevato da questa Corte di legittimità in fattispecie ove la disciplina applicabile è stata interessata da tale tipo di pronuncia vd. Cass. n. 8097 del 2015 in ragione della tutela di diritti fondamentali e doveri di assistenza morale e materiale condizionante l’assetto della vita, in ipotesi di rettifica del sesso di persona coniugata non elide la specificità degli effetti delle pronunce di accoglimento così come indicati nell’art. 136 Cost., comma 1. La regola relativa al mancato riconoscimento del diritto del padre adottivo, libero professionista, di fruire dell’indennità genitoriale obbligatoria in luogo della madre, ha cessato di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale art. 136 Cost., comma 1 . 10. Appare pertanto evidente che l’illegittimità costituzionale ha colpito la norma nella porzione mancante, da cui derivava la violazione dell’obbligo di parità di trattamento, posto che la Corte Costituzionale con la sentenza invocata ha espressamente indicato che il fine di garantire una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia unitamente al raggiungimento dell’effettiva parità di trattamento fra i genitori, nel preminente interesse del minore, risulterebbero gravemente compromessi ed incompleti se essi non avessero la possibilità di accordarsi per un’organizzazione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole, ed è per questo che deve ammettersi anche il padre ad usufruire dell’indennità di cui all’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001 in alternativa alla madre. 11. È sotto questo particolare aspetto della individuazione della regola da adottare per disciplinare tra i genitori la delicata scelta di chi, assentandosi dal lavoro per assistere il bambino, possa meglio provvedere alle sue esigenze, in spirito di leale collaborazione e nell’esclusivo interesse del figlio, sentenza n. 179 del 1993 , che la Corte Costituzionale ha attribuito al futuro legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un’adeguata tutela”. 12. Ciò, però, non può eliminare che la sentenza costituzionale esplichi effetti laddove il solo effetto dichiarativo della medesima pronuncia, come nel caso di specie, consenta di per sé il riconoscimento del diritto dell’odierna parte intimata ad ottenere l’indennità genitoriale, in ragione di quel diritto alla parità di trattamento che ha determinato la decisione della Corte Costituzionale in oggetto. 13. La Corte ha ritenuto discriminatorio il mancato riconoscimento del diritto del padre adottivo a fruire dell’indennità in luogo della madre, rispetto alla analoga situazione del lavoratore dipendente, e già la dichiarazione di tale discriminazione ha determinato il primo l’effetto di eliminazione dalla norma dell’irrazionale disparità di trattamento in via ulteriore, la Corte Costituzionale ha rilevato la ingiustificata disparità di trattamento con il lavoratore dipendente in punto di mancanza di una regola di concreta gestione, in accordo tra i genitori, del tempo da destinare ai congedi familiari a tutela del minore, e poiché tale mancanza risulta incompatibile con la protezione che la Costituzione riserva al minore, la Corte ha richiesto l’intervento integrativo del legislatore. 14. Deve, pertanto, ritenersi che, nei limiti fattuali e processuali sopra delineati in cui la tutela richiesta si realizza con la mera affermazione del diritto a fruire dell’indennità genitoriale, in assenza di contrasti tra genitori sulla concreta modulazione dei rispettivi diritti, la pronuncia sia auto applicativa e non meramente dichiarativa. Ne consegue che, fermo l’assunto secondo il quale con le pronunce additive di principio la Corte non immette direttamente nell’ordinamento una concreta regola positiva, nel rispetto della competenza legislativa del Parlamento, non può essere contestato che l’affermazione del diritto del padre adottivo libero professionista, in alternativa alla madre, a fruire dell’indennità di maternità ha natura imperativa e deve essere applicato con l’efficacia stabilita dall’art. 136 Cost. 15. In attesa dell’intervento del legislatore per gli aspetti richiesti dalla Corte Costituzionale, il giudice a quo è, comunque, tenuto ad individuare sul piano interpretativo la regola per il caso concreto che dia concreta vitalità al principio imperativo stabilito con la sentenza di accoglimento. Corte Costituzionale n. 385 del 2005 ha indicato nettamente al giudice il nucleo di diritti da proteggere, per cui si impone un adeguamento necessario. 16. In definitiva, il ricorso va respinto. 17. Nulla per le spese posto che l’intimato non ha svolto difese nel giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.