Impossibile per le ricorrenti, cittadine extracomunitarie titolari di permesso unico di lavoro, accedere alla procedura telematica dell'INPS volta a richiedere il premio alla nascita, introdotto dalla legge di Bilancio dello scorso anno. Il Tribunale di Bergamo ha dichiarato discriminatoria la condotta dell’Istituto che ha negato la prestazione alle neo-mamme.
Impossibile per le ricorrenti, cittadine extracomunitarie titolari di permesso unico di lavoro, accedere alla procedura telematica dell'INPS volta a richiedere il premio alla nascita, introdotto dalla legge di Bilancio dello scorso anno. Il Tribunale di Bergamo con ordinanza del 27 novembre 2017 ha dichiarato discriminatoria la condotta dell’Istituto che ha negato la prestazione alle neo-mamme. Bonus mamma. Si ricorda che il premio alla nascita o Bonus mamme consiste nell’erogazione in un’unica soluzione di 800€ alla nascita o all’adozione di un minore è riconosciuto, a decorrere dal 1° gennaio 2017, alle donne gestanti o alle madri in possesso dei requisiti presi in considerazione per il Bonus bebè l’assegno di natalità di cui alla legge di Stabilità 2015 cittadine italiane, europee o extracomunitarie con permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo ex articolo 9 d.lgs. numero 286/1998. Condotta discriminatoria. Le odierne ricorrenti, atteso che la modulistica on-line non consente di inserire il permesso di soggiorno in loro possesso, hanno presentato la domanda via PEC, ritenuta inammissibile dall’INPS. Una tale lettura dell’articolo 1, comma 353, l. numero 232/2016, come anche dell’articolo 1, comma 125, l. numero 190/2014, – afferma il Tribunale di Bergamo – non solo introduce un requisito non espressamente richiesto dalla normativa, ma contrasta con l’articolo 12, direttiva 2011/98/UE non recepita, ma direttamente efficace nel nostro ordinamento che garantisce «la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro di soggiorno, in materia di sicurezza sociale, a tutti i cittadini di paesi terzi ‘lavoratori’» ex articolo 3, par. 1, lett. b e c della direttiva. Pertanto, viene ordinato all'INPS di cessare la condotta discriminatoria e di emendarla per il futuro, nonché di pagare le somme non corrisposte. Fonte ilgiuslavorista.it
Tribunale di Bergamo, sez. Lavoro, ordinanza 27 novembre 2017 Giudice del Lavoro Cassia Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 5 settembre 2017, le ricorrenti in epigrafe proponevano ricorso ex articolo 702 bis c.p.comma avanti a questo Tribunale per a accertare il carattere discriminatorio della condotta dell’INPS, consistita nell’avere negato alle ricorrenti il premio alla nascita ex articolo 1 comma 353 l. 232/2016 ovvero nell’avere impedito loro l’accesso alla procedura telematica volta a richiedere la prestazione b ordinare all’INPS di cessare la condotta discriminato-ria, riconoscendo il diritto alla prestazione sin dal dovuto, con condanna al pagamento delle somme maturate, pari a Euro 800,00 per ciascuna ricorrente e a Euro 1.600,00 per la ricorrente Di. Nd. Ya. in subordine, a titolo di risarcimento del danno c adottare ogni provvedimento idoneo a evitare il reiterarsi della discriminazione. Si costituiva l’INPS, eccependo l’inammissibilità della domanda e comunque contestandone la fondatezza. Il Giudice si riservava la decisione. Motivi della decisione La domanda è fondata e va, pertanto, accolta. Si osserva che a a mente dell’articolo 1 comma 353 l. 232/2016, “a decorrere dal 1. gennaio 2017 è riconosciuto un premio alla nascita o all’adozione di un minore dell’importo di 800 Euro. Il premio è corrisposto dall’INPS in un’unica soluzione, su domanda della futura madre, al compimento del settimo mese di gravidanza o all’atto dell’adozione” b circolare numero 39 del 27 febbraio 2017, l’INPS ha stabilito che “il premio di natalità è riconosciuto alle donne gestanti o alle madri che siano in possesso dei requisiti attualmente presi in considerazione per l’assegno di natalità di cui alla legge di stabilità numero 190/2014” il cui articolo 1 comma 125 prevedeva che “al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1. gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 è riconosciuto un assegno di importo pari a 960 Euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o di adozione” tale assegno “è corrisposto fino al compimento del terzo anno d’età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione, per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell’UE o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno [UE per i soggiornanti di lungo periodo ex articolo 9 d.lgs. 286/1998], residenti in Italia e a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l’assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell’indicatore della situazione economica equivalente ISEE non superiore a 25.000 Euro annui” c con circolare numero 78 del 28 aprile 2017, l’INPS ha previsto che le domande possano essere presentate mediante servizi telematici con PIN, Contact Center Integrato o enti di patronato d le ricorrenti, titolari di permesso unico di lavoro, ma non di permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo ex articolo 9 D.Lgs. 286/1998 non hanno potuto presentare domanda in via telematica atteso che la modulistica online non consente l’inserimento del permesso di soggiorno in loro possesso , bensì via PEC l’INPS ha ritenuto le domande inammissibili, in quanto non presentate nelle modalità prescritte e va invece affermata l’ammissibilità della presentazione via PEC e quindi l’ammissibilità della presente domanda giudiziale , tenuto conto del riferito impedimento nella procedura telematica sulla cui illegittimità nell’individuazione dei titoli, cfr. infra e dell’idoneità del mezzo di richiesta effettivamente adottato dalle ricorrenti come riconosciuto dallo stesso INPS nella memoria di costituzione nel giudizio numero 6019/17 innanzi al Tribunale di Milano f sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di una domanda relativa a un diritto soggettivo il diritto alla percezione del c.d. premio alla nascita, disciplinato dall’articolo 1 comma 353 l. 232/2016 , con potere di disapplicare ogni atto amministrativo non conforme alla legge anche se la legittimità degli stessi sia allo stato oggetto di giudizio innanzi al giudice amministrativo g l’articolo 12 dir. 2011/98/UE, non recepito nel nostro ordinamento nonostante l’emanazione del D.Lgs. 40/2014 e la scadenza dei termini, stabilisce che i soggetti di cui all’articolo 3 § 1 lett. b e c cioè “i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del di-ritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento CE 1030/2002” e “i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale” “beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne e i settori della sicurezza sociale come definiti dal regolamento CE 883/2004” tra i quali certamente rientra la presta-zione ex articolo 1 comma 353 l. 232/2016, riconducibile alle “prestazioni familiari” di cui all’articolo 3 comma 1 lett. j reg. 883/04/CE h tale disposizione ha efficacia diretta nell’ordinamento interno, in quanto chiara e incondizionata di immediata applicabilità ne consegue che tutti gli organi dello Stato, comprese le PP.AA., hanno l’obbligo di applicarla direttamente e ogni disposizione nazionale contrastante, gerarchicamente subordinata, deve essere disapplicata i in particolare, laddove si ritenesse che l’articolo 1 comma 353 l. 232/2016, analogamente all’1 comma 125 l. 190/2014 o comunque in asserita esecuzione di altre disposizioni nazionali, subordini il riconoscimento della prestazione ai figli di cittadini di stati extracomunitari titolari di permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo ex articolo 9 D.Lgs. 286/1998, non solo si introdurrebbe un requisito non espressamente previsto dalla disposizione, ma anche contrastante con il precetto della dir. 2011/98/UE, che riconosce la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro di soggiorno in materia di sicurezza sociale ai cittadini di paesi terzi “lavoratori” secondo la definizione di cui articolo 3 § 1 lett. b e c j le ricorrenti hanno sufficientemente documentato di essere in possesso del permesso unico di lavoro le stesse, pertanto, rientrano tra i soggetti ex articolo 3 § 1 lett. b e c cui l’articolo 12 garantisce la parità di trattamento in materia di sicurezza sociale non è inoltre contestato e risulta comunque sufficientemente documentato il possesso degli ulteriori presupposti per l’erogazione della prestazione richiesta. Per questi motivi, il Tribunale ordina all’INPS di cessare la condotta discriminatoria, con condanna al pagamento delle somme non corrisposte, oltre agli accessori dal dovuto al saldo. Le spese seguono la soccombenza, liquidate ex D.m. 55/2014 come da dispositivo. Tenuto conto della novità della questione, ciò appare allo stato sufficiente a indurre l’INPS a emendare la propria condotta per il futuro. P.Q.M. Il Giudice del Lavoro 1 ordina all’INPS di cessare la condotta discriminatoria, con condanna al pagamento delle somme non corrisposte, oltre agli accessori dal dovuto al saldo 2 condanna l’INPS a pagare alle ricorrenti la somma di Euro 3.000,00, oltre a contributo forfetario ex articolo 2 comma 2 d.m. 55/2014, IVA e CPA, a titolo di spese e compensi professionali.