Da coordinatore della Protezione Civile a membro della Segreteria Generale: spostamento legittimo

Respinta la richiesta di risarcimento avanzata dal dipendente nei confronti del Comune. Decisiva l’applicazione del criterio della cosiddetta equivalenza formale. Impossibile parlare di demansionamento o di mobbing.

Da responsabile del coordinamento della Protezione Civile – per diversi paesi – viene ricollocato nella struttura della Segreteria Generale del Comune. Vibranti le proteste del lavoratore, proteste che però sono prive di fondamento, secondo i giudici. Esclusa quindi l’ipotesi del mobbing e del demansionamento e respinta la richiesta di risarcimento presentata dal dipendente Cassazione, ordinanza n. 24449, sez. Lavoro, depositata oggi . Incarico. La battaglia portata avanti dal lavoratore ha già subito due passaggi a vuoto. Prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, difatti, è stata ritenuta poco plausibile la visione da lui proposta e finalizzata a vedere condannato il Comune per mobbing e demansionamento ai suoi danni. In particolare, i Giudici sottolineano che l’incarico di posizione organizzativa, quale responsabile del coordinamento della Protezione Civile di vari Comuni, era scaduto e non era stato rinnovato e aggiungono che le nuove mansioni presso la Segreteria Generale erano di evidente pregio e coerenti con l’inquadramento del lavoratore . Di conseguenza, non potendosi parlare di abuso da parte del Comune, per i Giudici la domanda risarcitoria non può trovare accoglimento . Equivalenza. Inutile si rivela ora la scelta del lavoratore di approdare in Cassazione. Anche nel contesto del ‘Palazzaccio’, difatti, la sua pretesa nei confronti dell’ente locale viene ritenuta pretestuosa. Decisivo è il riferimento alle esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della pubblica amministrazione e al criterio dell’equivalenza formale . Su quest’ultimo punto viene richiamata la classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita e non rilevando la tutela del cosiddetto bagaglio professionale . In conclusione, la nozione di equivalenza in senso formale comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili . A patto però che la destinazione ad altre mansioni non comporti il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa , cosa vietata anche nell’ambito del pubblico impiego . Applicando questa ottica, la lettura della vicenda è chiara per i Giudici. Una volta accertato che le mansioni conferite al dipendente a seguito dello spostamento dalla Protezione Civile corrispondevano all’originario inquadramento in posizione ‘D3’ , va escluso il diritto del lavoratore pubblico a permanere in una determinata posizione o a rivendicare il conferimento di un determinato incarico alla stregua di una verifica in senso sostanziale della equivalenza . E, di conseguenza, il mutamento di mansioni nell’alveo della stessa categoria di inquadramento è pienamente legittimo , concludono i magistrati della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 23 maggio – 17 ottobre 2017, numero 24449 Presidente Macioce – Relatore Blasutto Rilevato che la Corte di appello di Milano, con sentenza numero 4673/2011, confermava la pronuncia con cui il Tribunale di Como aveva respinto la domanda proposta dal dott. Lu. Bo., funzionario di ruolo del Comune di Mozzate, con inquadramento in posizione D3, già titolare di posizione organizzativa quale responsabile del coordinamento della Protezione Civile di vari comuni, il quale aveva agito lamentando di avere subito un mobbing e un radicale demansionamento che la Corte territoriale osservava che l'incarico di posizione organizzativa era scaduto nel 2007 e non era stato rinnovato, ma le nuove mansioni presso la Segreteria Generale, oltre che di evidente pregio, erano coerenti con l'inquadramento del ricorrente in posizione D3 che nessuno dei comportamenti addebitati alla parte datoriale era illegittimo, per cui la domanda risarcitoria non poteva trovare accoglimento che l'asserito svuotamento delle mansioni presso il nuovo ufficio di Segreteria Generale non era stato provato, così come non era stato dimostrato il danno da perdita della professionalità che per la cassazione di tale sentenza ricorre il Bo. con un unico motivo variamente articolato il Comune di Mozzate resiste con controricorso e propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato a due motivi e regolarmente notificato v. avviso di ricevimento della notifica a mezzo posta, depositato in data 2 maggio 2017 Considerato che il ricorrente principale, denunciando cumulativamente violazione e falsa applicazione di norme di diritto e vizi di motivazione art. 360 nnumero 3 e 5 c.p.c , formula censure promiscue, difficilmente riconducibili nell'alveo dell'uno o dell'altro vizio, senza un'adeguata specificazione che consenta, nel contesto dell'illustrazione del motivo, di disarticolare l'unitarietà se non entro ristretti limiti precisamente, il Collegio ritiene che, nel coacervo delle doglianze, siano enucleagli solo due ordini di censure con il primo si addebita alla sentenza di avere omesso di indicare le ragioni del proprio convincimento in ordine ad un punto decisivo della controversia riguardante la autonoma domanda di risarcimento del danno per la lesione ai diritti politici derivante dal diniego o dagli ostacoli illegittimamente frapposti dal Comune di Mozzate alla fruizione di permessi ex D.Lgs. numero 267/2000 in subordine, per l'ipotesi che questa Corte ritenga che la sentenza impugnata abbia pronunciato implicitamente su tale domanda rigettandola, si afferma che tale statuizione sarebbe erronea per violazione degli artt. 79 e 80 del D.Lgs. numero 267/2000 T.U.E.L. che disciplinano il diritto ai permessi in favore dei lavoratori dipendenti che esercitano funzioni pubbliche con il secondo ordine di censure ci si duole del capo della sentenza con cui è stato ritenuto non provato lo svuotamento delle mansioni nel nuovo ufficio della Segreteria Generale , omettendo di considerare che sul punto il ricorrente aveva articolato diversi capitoli di prova ed aveva allegato documentazione in particolare doc. numero 85 pertanto, la dedotta inoperosità costituiva un punto di fatto desumibile dalle risultanze probatorie e che poteva essere confermato ulteriormente dall'istanza della prova testimoniale dedotta che il ricorso incidentale denuncia 1 con il primo motivo error in procedendo per non avere la Corte di appello pronunciato sull'eccezione di inammissibilità del gravame viziato da genericità dei motivi, in relazione all'art. 434 c.p.c b error in iudicando per essere la compensazione delle spese del giudizio stata motivata in modo generico per la complessità della vicenda dunque, non era stato validamente derogato il principio generale di cui all'art. 91 c.p.c. che prevede l'onere delle spese di lite a carico della parte soccombente che la prima censura del ricorso principale è inammissibile le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza numero 17931 del 2013, hanno chiarito che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, c.p.c, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al numero 4 del primo comma dell'art. 360 c.p.c, con riguardo all'art. 112 c.p.c, purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge che l'odierno ricorrente si duole dell'omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 numero 5 c.p.c. ed argomenta sulla violazione di legge art. 360 numero 3 c.p.c , dunque non censura il vizio nei termini richiesti, di nullità in parte qua della sentenza che, quanto al secondo ordine di censure del ricorso principale, va premesso che, a partire dalla sentenza resa dalle Sezioni Unite numero 8740/08, è principio costante nella giurisprudenza di questa Corte che, in materia di pubblico impiego contrattualizzzato, non si applica l'art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dal D.Lgs. numero 165 del 2001, art. 52 come già detto, nel testo anteriore alla novella recata dal D.Lgs. numero 150 del 2009, art. 62, comma 1, inapplicabile ratione temporis al caso in esame - che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell'equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla citata norma codicistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione Cass. numero 17396/11 Cass. numero 18283/10 Cass. sez.unumero numero 8740/08 v. più recentemente, Cass. numero 7106 del 2014 e numero 12109 e numero 17214 del 2016 . Restano, dunque, insindacabili tanto l'operazione di riconduzione in una determinata categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l'operazione di verifica dell'equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria che tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili resta comunque salva l'ipotesi che la destinazione ad altre mansioni comporti il sostanziale svuotamento dell'attività lavorativa, vietato anche nell'ambito del pubblico impiego cfr. Cass. numero 11835 del 2009, numero 11405 del 2010, nonché Cass. numero 687 del 2014 che, alla stregua della sentenza impugnata, risulta positivamente accertato che le mansioni conferite al dott. Bo. a seguito dello spostamento dalla Protezione civile corrispondevano all'inquadramento in posizione D3. Pertanto, escluso il diritto del dipendente pubblico a permanere in un determinata posizione o a rivendicare il conferimento di un determinato incarico alla stregua di una verifica in senso sostanziale della equivalenza, il mutamento di mansioni nell'alveo della stessa categoria di inquadramento è pienamente legittimo che, laddove il ricorrente lamenta l'erroneità dell'operazione di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta del demansionamento per svuotamento di mansioni , in realtà muove da una diversa ricostruzione dei fatti di causa, secondo la rilettura dallo stesso proposta in proposito, va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito cfr. Cass. numero 7394 del 2010, numero 8315 del 2013, numero 26110 del 2015, numero 195 del 2016 . E' dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione - e dunque un errore interpretativo di diritto - su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa che le censure per vizi di motivazione non vertono su errori di logica giuridica, ma denunciano un'errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, con l'inammissibile intento di sollecitare una lettura delle risultanze 1 processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito secondo costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge v. tra le più recenti, Cass. numero 27197 del 2011 e numero 24679 del 2013 che, in conclusione, il ricorso principale va respinto che il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, in esatto adempimento degli oneri di cui all'art. 366 c.p.c, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale cfr. Cass. numero 2771 del 2017, numero 1170 del 2004 nel caso in esame, il ricorso incidentale è del tutto privo della trascrizione degli atti sentenza di primo grado e atto di appello occorrenti per tale preliminare verifica che il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato preliminarmente, quanto alle regole dettate dall'art. 92 c.p.c, va osservato che nei giudizi instaurati - come il presente il ricorso introduttivo risale al marzo 2009 - nella vigenza della disciplina introdotta dalla legge 28 dicembre 2005, numero 263 prima delle modifiche apportate dall'art. 45, comma 11 della legge 18 giugno 2009, numero 69 e poi nuovamente dall'art. 13, comma 1, del D.L. 12 settembre 2014, n 132, conv., con mod. nella L. 10 novembre 2014, numero 162 il giudice può procedere a compensazione parziale o totale tra le parti in mancanza di soccombenza reciproca se ricorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione Cass. numero 13460 del 2012 conf. Cass. 23507 del 2014 , non occorrendo gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione Cass. numero 11284 del 2015 che nel caso di specie, la motivazione è stata esplicitata ed è consistita nella valorizzazione di un dato oggettivo costituito dalla complessità della vicenda trattasi di motivazione non illogica e come tale sottratta al sindacato di legittimità che, in conclusione, vanno rigettati tanto il ricorso principale quanto quello incidentale, con compensazione delle spese del presente giudizio, stante la reciproca soccombenza P.Q.M. La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del giudizio di legittimità. Così deciso nella Adunanza camerale del 23 maggio 2017