Solo con il superamento del periodo di prova si perfeziona il rapporto d’impiego pubblico

Il periodo di prova, nel processo di progressiva formazione del rapporto d’impiego in regime pubblicistico, è elemento costitutivo del perfezionamento della fattispecie, ed ha per obiettivo di consentire all’amministrazione di accertare se il giudizio espresso in sede selettiva sulla preparazione culturale del candidato trovi conferma nella capacità ed attitudine dello stesso in relazione alle mansioni inerenti al posto.

Consegue che l’art. 96, comma 2, d.P.R. n. 3/1957, che sancisce il diritto del dipendente alla ricostruzione della carriera anche ai fini economici quando la sospensione cautelare è superiore a quella disciplinare, non può che riferirsi ai soli rapporti d’impiego già perfezionati col verificarsi della condizione risolutiva del positivo superamento del periodo di prova. Lo afferma la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 17771, pubblicata il 19 luglio 2017. Domanda di pubblico dipendente volta ad ottenere la ricostruzione della carriera, sottoposta a sospensione cautelare. La vicenda portata all’esame della Suprema Corte riguarda un rapporto di pubblico impiego, rientrante ratione temporis ” nel regime pubblicistico anteriore alla contrattualizzazione del lavoro pubblico con applicazione dunque del d.P.R. n. 3/1957. Una lavoratrice alle dipendenze del M.I.U.R. ricorreva al Tribunale del Lavoro, domandando che le venisse riconosciuto il diritto alla ricostruzione della carriera, a far tempo dalla data di conferma in ruolo 1/9/1992 . Il Tribunale accoglieva la domanda, così come la Corte d’Appello, decidendo il gravame proposto dal MIUR, confermando la sentenza di primo grado. Ricorreva in Cassazione il Ministero. Le norme applicate. Come detto, la vicenda verte sull’interpretazione degli artt. 9, 96 e 97 d.P.R. n. 3/1957. Così le norme citate art. 9 I vincitori del concorso conseguono la nomina in prova, che viene disposta con decreto del Ministro, salvo che la legge prescriva diversamente. La nomina dell'impiegato che per giustificato motivo assume servizio con ritardo sul termine prefissogli decorre, agli effetti economici, dal giorno in cui prende servizio. Colui che ha conseguito la nomina, se non assume servizio senza giustificato motivo entro il termine stabilito, decade dalla nomina . art. 96 Qualora a seguito del procedimento disciplinare venga inflitta all'impiegato la sospensione dalla qualifica, il periodo di sospensione cautelare deve essere computato nella sanzione. Se la sospensione dalla qualifica viene inflitta per durata inferiore alla sospensione cautelare sofferta o se viene inflitta una sanzione minore o se il procedimento si conclude con il proscioglimento dell'impiegato, debbono essere corrisposti all'impiegato tutti gli assegni non percepiti, escluse le indennità o compensi per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di carattere straordinario, per il tempo eccedente la durata della punizione o per effetto della sospensione. Sono dedotte in ogni caso le somme corrisposte a titolo di assegno alimentare . Solo con il superamento della prova si perfeziona il rapporto di lavoro. Il Ministero ricorrente censura la sentenza d’Appello impugnata in quanto ha ritenuto applicabile alla fattispecie la disposizione prevista dal citato art. 96, riconoscendo il diritto alla ricostruzione della carriera, tenuto conto del periodo di sospensione cautelare scontata dalla lavoratrice, risultata ben superiore al periodo effettivo di sospensione disciplinare inflitta in via definitiva. Secondo la corte di merito la lavoratrice era risultata nell’impossibilità incolpevole di svolgere il periodo di prova e pertanto doveva ritenersi perfezionato il rapporto fin dall’atto di nomina in ruolo. Ma il Supremo Collegio non condivide la linea della corte territoriale. Gli ermellini affermano infatti che, conformemente a precedenti condivisibili pronunce della giurisprudenza amministrativa, il periodo di prova, nel processo di progressiva formazione del rapporto d’impiego in regime pubblicistico, è elemento costitutivo del perfezionamento della fattispecie, avendo quale obiettivo consentire all’amministrazione di accertare se il giudizio espresso in sede selettiva sulla preparazione culturale del candidato trovi conferma nella capacità ed attitudine dello stesso in relazione alle mansioni inerenti al posto. Di conseguenza è soltanto con il superamento del periodo di prova che si verifica la condizione risolutiva della conferma in ruolo, con perfezionamento e consolidamento del rapporto di lavoro pubblico. Il diritto alla ricostruzione della carriera spetta solo in caso di rapporti consolidati. Dalla interpretazione resa circa il consolidamento del rapporto di lavoro, deriva che il diritto alla ricostruzione della carriera, anche ai fini economici, nei casi di sanzione disciplinare inferiore al periodo di sospensione cautelare scontata, può essere riconosciuto unicamente nei casi in cui il rapporto di lavoro pubblico risulti già perfezionatosi, a seguito del superamento positivo del periodo di prova. Nel caso specifico ciò non è avvenuto la lavoratrice è stata confermata in ruolo l’1/9/1992, mentre era assoggettata alla sospensione cautelare dal servizio, disposta dal 18/2/1982 fino al 20/8/1991. Trova dunque applicazione la norma generale prevista dall’art. 9, comma 2, d.P.R. n. 3/1957, secondo cui, qualora il lavoratore, per giustificato motivo, assuma servizio con ritardo sul termine prefissogli, gli effetti economici decorrono dal giorno in cui prende servizio. Il ricorso proposto dal MIUR è stato così ritenuto fondato e di conseguenza la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio ad altra corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 aprile – 19 luglio 2017, numero 17771 Presidente Macioce – Relatore De Felice Rilevato Che con sentenza in data 27/12/2011 la Corte d’Appello di Venezia a conferma della sentenza del Tribunale di Verona numero 251/2007 ha accolto la domanda di C.F. nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione, rivolta a sentir riconoscere il diritto dell’appellante alla ricostruzione della carriera, dalla data di conferma in ruolo dell’1/09/1992 con un’anzianità di anni quindici, mesi tre e giorni venticinque ai fini giuridici ed economici, oltre a mesi otto ai soli fini economici Che l’amministrazione scolastica aveva considerato irrecuperabile ai fini economici la predetta anzianità, per aver preso la dipendente, servizio effettivo soltanto a seguito della riammissione conseguente alla conclusione della vicenda penale che l’aveva vista coinvolta e per la quale aveva scontato la pena detentiva di un anno, otto mesi e quindici giorni Che la Corte d’Appello, ha riconosciuto il diritto alla ricostruzione della carriera di C.F. , sul presupposto che la stessa, supplente incaricata con contratti temporanei, nominata in ruolo in attuazione della l. numero 270/1982 dal Provveditore agli Studi di Trento con decorrenza 10/08/1982, si era trovata nell’impossibilità di svolgere il periodo di prova, essendo, al tempo della stabilizzazione sottoposta a sospensione cautelare, durata dal 18/02/1982 al 20/08/1991 - prima obbligatoria, poi facoltativa - per essere imputata di compartecipazione morale in delitti a finalità politico - eversive Che, a seguito della sentenza di condanna l’amministrazione, con provvedimento del 20/08/1991, aveva inflitto alla dipendente la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro di sei mesi, per poi riammetterla in servizio, preso atto che detta sanzione, computata con decorrenza dal 18/02/1982, era stata già interamente scontata nell’ambito di un provvedimento di sospensione cautelare di durata di gran lunga superiore ai sei mesi di sospensione disciplinare dal servizio, inflitti a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna Che la Corte d’Appello ha ritenuto che il ritardo con il quale C.F. aveva svolto il periodo di prova non fosse dipeso da fatto a lei imputabile, ma dal protrarsi per ben nove anni della sospensione cautelare in ragione della durata del maxiprocesso penale, e che, pertanto, il rapporto d’impiego dovesse ritenersi perfezionato fin dall’atto di nomina in ruolo del 10/08/1982 Che avverso la sentenza interpone ricorso il Miur con due censure, cui resiste C.F. con controricorso. Considerato Che con la prima censura il Miur deduce violazione degli artt. 9, 96 e 97 del d.P.R. numero 3/1957 in quanto la sentenza d’Appello avrebbe omesso di valutare che, essendo scaturite sia la misura cautelare sia la sanzione disciplinare da un’imputazione penale conclusasi con la condanna della controricorrente, l’art. 96 - il quale prevede che qualora la sospensione cautelare ecceda nella sua durata quella della sanzione disciplinare, il dipendente pubblico ha diritto alla ricostruzione della carriera con il computo dell’intera anzianità di servizio anche ai fini economici - non sarebbe applicabile al caso controverso Che sempre nel primo motivo di ricorso, il Miur deduce che la Corte territoriale abbia errato nel non seguire l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale non può attribuirsi all’amministrazione alcuna responsabilità per l’interruzione del rapporto del dipendente incolpato, ma che tale responsabilità ridondi a carico del solo autore delle condotte delittuose e, pertanto, il principio valido ed erroneamente disapplicato dalla Corte territoriale sarebbe quello di corrispettività della retribuzione previsto all’art. 9, co. 2, del d.P.R. numero 3 del 1957 Che nel secondo motivo il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello di Venezia si sia astenuta dall’apprezzare gli effetti del giudicato amministrativo intervenuto tra le parti, costituito dalla decisione del Consiglio di Stato numero 77/2001 che tale motivo è sollevato dal Miur anche sotto il diverso profilo dell’omessa pronuncia sul fatto decisivo ai fini della soluzione della controversia dell’esistenza di una decisione che aveva statuito la correttezza dell’operato dell’amministrazione di non corrispondere l’intera retribuzione, per avere la stessa controricorrente dichiarato che durante il periodo di sospensione cautelare aveva prestato attività professionale retribuita Che va preliminarmente ricordato come la normativa applicabile ratione temporis alla controversa vicenda è quella contenuta negli artt. 9, 96 e 97 del d.P.R. numero 3/1957 Testo unico sugli impiegati civili dello Stato Cass. numero 20967/2016 , e che pertanto, la soluzione al caso in esame deve essere collocata nell’ambito dei principi pubblicistici che hanno ispirato la disciplina del rapporto d’impiego con la pubblica amministrazione fino a quando il legislatore non ha inteso imprimere un mutamento radicale a tale inquadramento, stabilendo, tra l’altro, che la materia della sospensione cautelare fosse soggetta a delegificazione a decorrere dalla stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994- 1997 art. 69 d.lgs. numero 165/2001 Che quanto alle censure prospettate dal ricorrente, la prima è fondata e va accolta Che la Corte d’Appello di Venezia erroneamente ha interpretato come interdipendenti i due principi - guida che governano la fattispecie artt. 96 e 9 del d.P.R. numero 3/1957 , là dove, a un più corretto esame, non solo essi non appaiono necessariamente connessi, ma, qualora considerati tali, conducono a conclusioni devianti rispetto alla complessiva ratio legis nel senso di seguito chiarito a il primo principio riguarda l’art. 96, co.2, del d.P.R. numero 3/1957, secondo il quale il periodo di sospensione cautelare va computato nella sanzione disciplinare sospensiva. La norma prevede altresì che quando la sospensione cautelare è di durata superiore a quella disciplinare, il pubblico dipendente ha diritto alla ricostruzione della carriera con il computo dell’intera anzianità anche ai fini economici, dedotte in ogni caso le somme corrisposte a titolo di assegno alimentare co.3 b il secondo concerne l’art. 9, rubricato Nomina in prova , dove al comma 2, si afferma che la nomina dell’impiegato che per giustificato motivo assume servizio con ritardo sul termine prefissatogli decorre agli effetti economici dal giorno in cui lo stesso prende servizio cd. principio di corrispettività Che la parte motiva della sentenza con cui la Corte territoriale, coniugando i due principi sopra richiamati, assume che la lavoratrice, a causa della lunghissima sospensione cautelare dal servizio, è stata impossibilitata, per una ragione a lei non imputabile, a svolgere il periodo di prova richiesto per il perfezionamento del rapporto d’impiego, non si rivela in grado di disattendere le ragioni dell’amministrazione Che il richiamo all’art. 96, co. 1, non è pertinente al caso in esame, in quanto esso, con riferimento al computo della sospensione cautelare, fornisce strumenti e criteri alle amministrazioni per modulare i periodi sospensivi nella direzione di un’attenuazione del regime interdittivo quando la sanzione disciplinare è di durata inferiore alla sospensione cautelare, attraverso il computo della prima nella seconda Che l’art. 96, co. 2, che sancisce il diritto del dipendente alla ricostruzione della carriera anche ai fini economici cd. restitutio in integrum quando la sospensione cautelare è superiore a quella disciplinare, non può che riferirsi ai soli rapporti d’impiego già perfezionati col verificarsi della condizione risolutiva del positivo superamento del periodo di prova Che il periodo di prova, nel processo di progressiva formazione del rapporto d’impiego in regime pubblicistico, è elemento costitutivo del perfezionamento della fattispecie, ed ha per obiettivo di consentire all’amministrazione di accertare se il giudizio espresso in sede selettiva sulla preparazione culturale del candidato trovi conferma nella capacità ed attitudine dello stesso in relazione alle mansioni inerenti al posto C.St., V, numero 699/1981 Che secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, nel pubblico impiego non contrattualizzato il periodo di prova si distingue dal periodo successivo al superamento della prova per essere il primo sottoposto al verificarsi della condizione risolutiva della conferma in ruolo, la quale,0& lt perfeziona la costituzione del rapporto fin dall’origine tra tutte v. Cons. St., VI, numero 892/1988 Che pertanto, l’applicazione dell’art. 96 del d.P.R. numero 3/1957 deve essere ritenuta esclusa nel caso in esame, riferendosi la norma ai soli rapporti d’impiego pubblico già perfezionati per il positivo esito della prova Che una volta affermata l’inapplicabilità dell’art. 96 del d.P.R. numero 3/1957 al caso in esame trova compiuta applicazione la norma generale sulla nomina in prova contenuta nell’art. 9 che, al comma 2, disciplina l’ipotesi del ritardo giustificato nell’assunzione in servizio in prova di un impiegato, stabilendo che ai fini economici la nomina decorra dal giorno in cui egli prende effettivo servizio cd. principio di corrispettività , mentre non si adatta evidentemente alla questione controversa il comma 3 della stessa norma, che riguarda la diversa ipotesi di decadenza dal servizio del dipendente nominato in prova , il quale senza un giustificato motivo soggettivo non si presenti entro il termine stabilito Che privo di conducenza - anzi deviante - appare il ricorso al giudizio sull’imputabilità soggettiva del ritardo nel caso in esame, perché anche qualora si voglia escludere che la responsabilità della mancata presa di servizio sia derivata dalla condotta della dipendente, non si vede come la stessa potrebbe essere posta in capo al Miur, il quale ha assunto le proprie determinazioni nell’adempimento degli obblighi di legge, curando il bilanciamento tra le esigenze pubbliche del servizio rappresentato e la tutela lavorativa della controricorrente colpita da condanna penale Che l’obiezione mossa dalla controricorrente secondo cui l’imputabilità del ritardo starebbe in capo al Ministero, poiché questi, pur possedendo il potere di porre fine alla sospensione cautelare facoltativa non lo avrebbe esercitato, mal si coniuga, sul piano logico argomentativo, con la ratio di un istituto di natura squisitamente discrezionale, avendo la legge, una volta esaurita la misura cautelare obbligatoria, riservato all’amministrazione la valutazione del persistere dell’esigenza cautelare Che la sentenza d’Appello è errata, nella parte motiva, là dove dall’erogazione alla controricorrente dell’assegno alimentare pretende di desumere che il rapporto d’impiego debba considerarsi già instaurato, pur anteriormente alla presa di servizio Che secondo la condivisibile giurisprudenza amministrativa, l’istituto della sospensione cautelare presuppone costituito il rapporto al momento della sua adozione, ma non richiede anche la presenza in servizio dell’impiegato Cons. St. VI, numero 373/1964 , cosicchè, anche al dipendente che non abbia ancora preso servizio va riconosciuto il diritto a percepire l’assegno alimentare, senza che da ciò possa farsi conseguire che il rapporto si sia già perfezionato Che del resto la natura assistenziale dell’assegno ne rende la funzione compatibile col rapporto d’impiego, formalmente costituito ma ancora statico nella produzione degli effetti sotto il profilo economico, a causa della mancata presa di servizio per il protrarsi dell’esigenza cautelare e che, correttamente l’amministrazione ne ha compensato l’ammontare con gli altri redditi dichiarati dalla lavoratrice nel periodo di vigenza della sospensione cautelare Che il secondo motivo di censura è infine inammissibile, perché il ricorrente si richiama alla sentenza del Consiglio di Stato numero 77/2001 e al provvedimento amministrativo del 20/08/1991, numero 1054 del Sovrintendente Scolastico di Trento ma non provvede all’allegazione di tali fonti interpretative, né ne riporta i brani essenziali, con ciò venendo meno al principio di specificità dei motivi di ricorso per Cassazione, per il quale il ricorrente, qualora proponga censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto ad assolvere il duplice onere, di cui agli artt. 366, numero 6 e 369, numero 4, cod. proc. civ. Cass. Sez. Unumero numero 5698/2012 e numero 22726/2011 Che, pertanto, il ricorso, fondato il primo mezzo e infondato il secondo, va accolto e la sentenza cassata. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.