È l’amianto ad averlo condotto alla morte? All’INAIL l’onere di provare il contrario

In tema di malattia professionale, dall’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia deriva l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con il conseguente onore di prova contraria a carico dell’INAIL.

Il caso. La Corte d’appello di Genova rigettava l’appello della ricorrente avverso la sentenza con cui il Giudice del lavoro aveva respinto la domanda volta ad ottenere la condanna dell’INAIL alla costituzione della redita ai superstiti a seguito della morte del marito per asserita riconducibilità della stessa a malattia contratta sul lavoro. La moglie ricorre per cassazione. Natura tabellare della malattia. Circa la questione dell’onere della prova in tema di malattia, prevista dalle tabelle di legge riguardanti la classificazione delle patologie di origine professionale, la Corte ritiene opportuno ribadire un principio giurisprudenziale espresso di recente. In particolare, è stato stabilito che dall’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia deriva l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con il conseguente onore di prova contraria a carico dell’INAIL . La prova contraria deve dimostrare o la dipendenza dell’infermità da una causa extra lavorativa oppure il fatto che la lavorazione non sia stata sufficientemente idonea a cagionare la malattia . Pertanto, per escludere la tutela assicurativa è necessario accertare, rigorosamente ed inequivocabilmente, che vi sia stato l’intervento di un diverso fattore patogeno, che da solo o in misura prevalente, abbia cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia . Nel caso di malattia tumorale, come nel caso di specie, la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili , ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione dell’idoneità dell’esposizione al rischio a causare l’evento morboso . Nella fattispecie, non avendo la Corte di merito tenuto conto della natura tabellare della malattia del lavoratore ai fini delle presunzioni di legge e del riparto degli oneri probatori, la Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’appello per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 febbraio – 1 giugno 2017, n. 13856 Presidente D’Antonio – Relatore Berrino Fatti di causa La Corte d’appello di Genova ha rigettato l’impugnazione di T.A. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che le aveva respinto la domanda volta ad ottenere la condanna dell’Inail alla costituzione della rendita ai superstiti a seguito della morte del marito A.S. per asserita riconducibilità della stessa a malattia contratta su lavoro. La Corte territoriale, nel confermare l’impugnata sentenza, ha rilevato che all’esito della relazione del consulente d’ufficio di primo grado e tenuto conto anche dei rilievi del consulente di parte, era stato possibile accertare che il decesso del predetto assicurato non era riconducibile all’attività lavorativa dal medesimo espletata. Per la cassazione della sentenza ricorre la T. con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Resiste con controricorso l’Inail. Ragioni della decisione 1.Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, del D.P.R. n. 482 del 1975, del D.P.R. n. 336 del 1994 e della relativa Tabella voce n. 56 , del D.M. 9.4.2008 voce 57 , degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 cod. civ., dei principi di cui alla sentenza n. 179 del 18.2.1988 della Corte Costituzionale, nonché il vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. In pratica, la ricorrente lamenta la mancata considerazione della circostanza che nella fattispecie, contraddistinta dalla sussistenza di una patologia pleurica di previsione tabellare, dalla quale era stato affetto in vita il sig. A. , la parte assicurata poteva giovarsi della presunzione eziologica professionale, restando a carico dell’Inail l’onere di dimostrare non solo che la malattia era dipesa esclusivamente da cause extralavorative, ma che le mansioni esercitate dal lavoratore non avevano avuto idoneità sufficiente, neppure come concausa. 2. Col secondo motivo la ricorrente si duole della insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché del difetto di motivazione in ordine alla diagnosi della malattia, alla sua qualificazione ed alla sua riconducibilità alla Tabella di cui al D.P.R. n. 336/1994 voce 56 , nonché di cui al D.M. 9.4.2008 voce 57 . La ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, secondo la quale le risultanze peritali non deponevano in modo univoco per l’accertamento di una patologia o di una neoplasia, il consulente d’ufficio aveva dato atto del fatto che il sig. A. era deceduto a causa di una neoplasia tumore che poteva essere stata tanto un mesotelioma pleurico quanto un carcinoma polmonare, per cui non era esistita alcuna diversa patologia che ne aveva determinato la morte. In concreto, secondo tale assunto difensivo, il consulente d’ufficio, non sapendo decidere con certezza di quale delle due malattie neoplastiche era stato affetto il lavoratore entrambe correlate all’amianto nella voce 56 della Tabella di legge ed ignorando la presunzione di legge, aveva finito per escludere del tutto il nesso causale tra la pregressa esposizione all’amianto di A.S. e l’insorgenza della neoplasia che lo aveva condotto a morte. 3. Osserva la Corte che i suddetti motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto è ad essi sottesa l’identica questione dell’onere della prova in tema di malattia prevista dalle Tabelle di legge riguardanti la classificazione delle patologie di origine professionale. Orbene, tali motivi sono fondati. Invero, come questa Corte ha di recente ribadito Cass. sez. lav. n. 23653 del 21.11.2016 , dall’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità deriva l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con il conseguente onere di prova contraria a carico dell’I.N.A.I.L., quale è, in particolare, la dipendenza dell’infermità da una causa extralavorativa oppure il fatto che la lavorazione non abbia avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa è necessario accertare, rigorosamente ed inequivocabilmente, che vi sia stato l’intervento di un diverso fattore patogeno, che da solo o in misura prevalente, abbia cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. Tale regola deve essere, tuttavia, temperata in caso di malattia, come quella tumorale, ad eziologia multifattoriale, nel senso che la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l’evento morboso, con la precisazione che in presenza di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un’origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torna ad operare, sicché l’I.N.A.I.L. può solo dimostrare che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all’esposizione a rischio, in quanto quest’ultima sia cessata da lungo tempo. Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello che, sulla base di nuova ctu in detta fase, aveva escluso che la patologia tumorale fosse ricollegabile all’espletamento di attività lavorativa svolta in cantiere edile . Ebbene, calando tali principi nella fattispecie, è agevole rilevare che la stessa Corte d’appello di Genova ha dato atto della circostanza, desunta dalla relazione del consulente d’ufficio, che quest’ultimo aveva valutato l’esposizione all’amianto di A.S. sia quale scalpellino che come gruista per quindici anni, situazione ambientale lavorativa, questa, coerente col reperto degli ispessimenti pleurici e possibile fattore causale del mesotelioma pleurico. Tale malattia è espressamente prevista alla voce 56 dell’allegato 4 del d.p.r. 13 aprile 1994, n. 336, concernente il Regolamento recante le nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura, oltre che alla voce 57 del D.M. del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale 9.4.2008, contenente le nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura, tra le quali quelle da lavorazioni che espongono all’azione dall’asbesto, come le placche e gli ispessimenti pleurici ed il mesotelioma pleurico. Quindi, male ha fatto la Corte di merito a non tener conto della natura tabellare della suddetta malattia ai fini delle presunzioni di legge e del riparto degli oneri probatori. Ne consegue che il ricorso va accolto e che l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio del procedimento alla Corte d’appello di Genova che, in diversa composizione, provvederà a riesaminare il merito della questione alla luce del summenzionato principio, oltre che alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.