Il precario statale ha diritto ad un risarcimento compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità

Il dipendente pubblico che abbia subito l’illegittima precarizzazione del proprio impiego ha diritto – fermo restando il divieto di conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato – al risarcimento del danno nella misura pari ad un’indennità omnicomprensiva compresa tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avendo riguardo ai criteri indicati dall’art. 8 l. n. 604/1966.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21937/2016, depositata il 28 ottobre. Il precario statale. Un dipendente pubblico impugnava il proprio contratto a tempo determinato, deducendo l’illegittima apposizione del termine. La Corte d’Appello, adita in secondo grado, dichiarava l’illegittimità del termine apposto al contratto, condannando la pubblica amministrazione, datrice di lavoro, a risarcire il danno subito dal lavoratore, quantificandolo in 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, alla stregua dell’indennità sostitutiva della reintegrazione prevista dall’art. 18 Statuto dei Lavoratori. Il ragionamento della corte territoriale può essere così sintetizzato poiché il divieto di conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato - valevole per il pubblico impiego - impedisce al lavoratore illegittimamente precario di proseguire il rapporto di lavoro alla dipendenze della pubblica amministrazione negligente, allora il lavoratore avrà diritto ad un risarcimento del danno che possa riparare il disagio subito dalla mancata prosecuzione del rapporto di lavoro. Nell’ordinamento lavoristico esiste già un siffatto modello di risarcimento, ossia, l’indennità sostitutiva della reintegrazione prevista dall’art. 18 Statuto dei Lavoratori. Tale indennità – ontologicamente – ripara il lavoratore dalla mancata e consapevole prosecuzione del rapporto di lavoro, pertanto, secondo la corte territoriale, tale indennità sarebbe stata idonea anche a risarcire il dipendete statale illegittimamente assunto con contratto di lavoro a tempo determinato, cui è impedito il proseguimento del rapporto. Secondo la Corte di Cassazione, invece, non ci può essere un risarcimento del danno per il fatto che la disciplina del pubblico impiego non preveda un effetto favorevole per il lavoratore, a fronte di una violazione di norme imperative da parte della pubblica amministrazione. Per il dipendete pubblico precario” il danno non è la perdita del posto di lavoro a tempo indeterminato, poiché una tale prospettiva non c’è mai stata! Da questa prospettiva, si comprende il divieto di conversione del contratto pubblico a tempo determinato in tempo indeterminato. Il divieto di conversione del contratto di lavoro. Il divieto, per le pubbliche amministrazioni, di trasformare il contratto di lavoro a tempo determinato in tempo indeterminato è una costante più volte ribadita dal legislatore da ultimo, art. 36 comma 5 d.lgs. n. 165/2001 . Se così non fosse, sarebbero minati sia il principio di imparzialità della pubblica amministrazione sia il principio di buon andamento, sanciti dall’art. 97 Cost. Infatti, se la pubblica amministrazione potesse convertire a tempo indeterminato i contratti stipulati con termine, avrebbe gioco facile nell’eludere il principio di accesso per pubblico concorso. L’art. 97 Cost., quindi, giustifica la diversa disciplina sanzionatoria dei contratti di lavoro a termine stipulati nel settore privato da quelli stipulati nel settore pubblico. Si consideri inoltre che la copiosa normativa europea sui contratti di lavoro a tempo determinato non obbliga gli Stati Membri a disporre, quale misura sanzionatoria, la conversione dei contratti a termine illegittimi in contratti a tempo indeterminato. Ne consegue che l’esclusione di tale sanzione nell’ambito del pubblico impiego italiano non risulta contrastante con le norme dell’Unione Europea. Pubblico impiego e lavoro privato situazioni differenti, discipline – legittimamente – differenti. La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato può, quindi, essere legittimamente diversa a seconda che si tratti di rapporti di lavoro pubblico o privato. In particolare, il lavoratore privato che provi l’illegittimità del termine apposto al suo contratto di lavoro otterrà dal giudice la conversione del proprio contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, oltre ad un risarcimento del danno compreso tre le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, come previsto dall’art. 32 comma 5 l. n. 183/2010. Diversamente, il dipendente pubblico che impugni il proprio contratto di lavoro a termine ha diritto all’indennità risarcitoria compresa tra le 2,5 e le 12 mensilità, con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti dell’art. 32 comma 5 l. n. 183/2010. La graduazione dell’indennità segue i criteri di cui all’art. 8 l. n. 604/1966. Niente conversione, ma nemmeno onere della prova.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 28 settembre – 28 ottobre 2016, numero 21937 Presidente Curzio – Relatore Mancino Svolgimento del processo e motivi della decisione 1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. depositata dalla parte controricorrente. 2. La Corte di appello di Firenze confermava la decisione del primo giudice che, in parziale accoglimento della domanda proposta dall’attuale parte intimata nei confronti del Comune di Firenze, aveva condannato quest’ultimo al pagamento in favore della predetta di quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre accessori, a titolo di risarcimento danni. 3. Ad avviso della Corte territoriale correttamente il Tribunale aveva ritenuto la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con il Comune di Firenze e liquidato nella suindicata misura il danno in alternativa alla non consentita conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in uno a tempo indeterminato. 4. Precisava che tale danno, per avere una funzione dissuasiva del ricorso alla contrattazione a termine, ben poteva coincidere con le quindici mensilità previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori nel caso in cui il lavoratore, avendo diritto alla reintegra nel posto di lavoro, vi aveva rinunciato. 5. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Comune di Firenze affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria. 6. Resiste, con controricorso, la parte intimata. 7. Con la memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. la controricorrente insiste nella prospettata eccezione di inammissibilità del ricorso, per avere il Comune ricorrente omesso ogni riferimento al proprio atto di appello, ed ai rilievi in esso formulati, così da non consentire di comprendere se i temi posti con il ricorso per cassazione fossero stati già sottoposti al vaglio della Corte territoriale. 8. A tal riguardo va rilevato che le censure di cui al ricorso danno adeguatamente conto dei rilievi mossi alla decisione impugnata ed alle soluzioni da questa date alle questioni sottoposte alla sua attenzione con l’atto di appello. 9. Del resto, come si evince sia dal contenuto della sentenza della Corte territoriale sia dal ricorso per cassazione, tali questioni avevano riguardato i due capi della sentenza di primo grado implicanti la soccombenza del Comune e cioè quello riferito alla riscontrata illegittimità del termine apposto ai contratti a termine e quello relativo all’accoglimento della domanda risarcitoria -, in quanto reputati erronei e gravemente punitivi per il Comune medesimo. 10. Tanto premesso, con entrambi i motivi si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 36 1.1,gs. numero 165/2001, 18, commi 50 e 5,0, legge numero 300/1970 nel testo vigente fino al 17.7.2012 , 5, co. 12, del D.L. numero 207/1978 conv. in legge numero 3/1979 e 32, co. 5, legge numero 183/2010 nonché dei principi in materia di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo primo e secondo motivo e di eguaglianza, uniformità di trattamento, proporzionalità e graduazione delle sanzioni secondo motivo . 11. Si assume primo motivo che la Corte di appello aveva liquidato il danno pur in mancanza di qualsiasi allegazione e prova da parte della dipendente in ordine al pregiudizio economico derivatole dalla stipula dei contratti a tempo determinato. 12. Si sottolinea che non sarebbe configurabile un danno in re ipsa e, tantomeno, come automatico ristoro a fronte della mancata previsione legislativa della conversione del contratto e, comunque, viene evidenziato che la norma di riferimento non poteva essere quella dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, bensì, l’art. 36 del d.lgs. numero 165/2001 che prevedeva uno specifico sistema sanzionatorio, calibrato sulle esigenze del pubblico impiego e funzionalizzato al risarcimento del danno effettivo da provare e risarcibile anche in via equitativa. 13. Si deduce, altresì secondo motivo , che l’utilizzo del paramento previsto dall’art. 18, co. 5, L. numero 300/1970 in luogo del sistema previsto dall’art. 36 cit. avrebbe comportato l’applicazione di un uguale trattamento risarcitorio a situazioni diverse in violazione dei principi in tema di uguaglianza e graduazione della misura risarcitoria. 14. Entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati alla luce della recente sentenza delle sezioni unite di questa Corte cfr. Cass., Sez. Unumero , 15 marzo 2016, numero 5072, alla cui motivazione integrale si rinvia e ai principi affermati. 15. Il divieto, per le pubbliche amministrazioni, di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato è rimasto come una costante più volte ribadita dal legislatore sicché non può predicarsi la conversione del rapporto quale sanzione” apposizione del termine al rapporto di lavoro o comunque dell’illegittimo ricorso a tale fattispecie contrattuale. 16. D’altra parte il rispetto della normativa sul contratto di lavoro a tempo determinato è risultato essere presidiato oltre che dall’obbligo di risarcimento del danno in favore del dipendente anche da disposizioni al contorno che fanno perno soprattutto sulla responsabilità, anche patrimoniale, del dirigente cui sia ascrivibile l’illegittimo ricorso al contratto a termine. 17. Sicché può dirsi che l’ordinamento giuridico prevede, nel complesso, misure energiche” come richiesto dalla Corte di giustizia, sentenza 26 novembre 2014, C-22/13 ss., Mascolo , fortemente dissuasive, per contrastare l’illegittimo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato ciò assicura la piena compatibilità comunitaria, sotto tale profilo, della disciplina nazionale. 18. La pronuncia delle S.U. citata ha, poi, richiamato la decisione della Corte costituzionale sent. 27 marzo 2003, numero 89 che ha escluso ogni contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. dell’art. 36 d.lgs. numero 165/2001, nella parte in cui tale ultima norma non consente, a differenza di quanto accade nel rapporto di lavoro privato, che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori possa dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni. È, infatti, giustificata la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di quelle disposizioni conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, dato che il principio dell’accesso mediante concorso enunciato dall’art. 97 Cost., a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione rende non omogeneo il rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto alle dipendenze di datori privati. In particolare nella cit. pronuncia la Corte ha enunciato, come criterio generale, che il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello dell’accesso mediante concorso, enunciato dall’art. 97, terzo comma, della Costituzione . Ed ha sottolineato che L’esistenza di tale principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, di cui al primo comma dello stesso art. 97 della Costituzione, di per sé rende palese la non omogeneità sotto l’aspetto considerato delle situazioni poste a confronto dal rimettente e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione in rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati . 19. In termini inequivocabili la Corte ha quindi escluso, sotto questo profilo, l’esigenza di uniformità di trattamento rispetto alla disciplina dell’impiego privato, cui il principio del concorso è del tutto estraneo. Anche la successiva giurisprudenza costituzionale ha ribadito il principio del pubblico concorso, quale mezzo ordinario e generale di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni, principio che risponde alla finalità di assicurare il buon andamento e l’efficacia dell’Amministrazione , valori presidiati dal primo e dal terzo comma dell’art. 97 Cost. sentenze numero 190 del 2005, numero 205 e numero 34 del 2004 e numero 1 del 1999 . 20. Sempre nella suddetta decisione a sezioni unite è stato anche evidenziato che la Corte di giustizia, nell’ordinanza 12 dicembre 2013, Papalia, C 50/13, che richiama precedenti enunciati della stessa Corte cfr. sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C-212/04 del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04 Vassallo, C-180/04, e del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., C378/07 nonché ordinanze del 12 giugno 2008, Vassilakis e a.,0364107 del 24 aprile 2009, Koukou, C-519/08 del 23 novembre 2009, Lagoudakis e a., da C-162108, e del 1 ottobre 2010, Affittato, C-3/10 , ha ribadito che la clausola 5 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, numero 1999/70/CE Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato. 21. La direttiva del 1999 non contempla alcuna ipotesi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato così lasciando agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in materia . 22. Neppure la direttiva contiene una disciplina generale del contratto a tempo determinato, ma pone principi specifici che, per gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, valgono come obiettivi da raggiungere ed attuare, tra cui appunto il principio di contrasto dell’abuso del datore di lavoro, privato o pubblico, nella successione di contratti a tempo determinato clausola 5 . Questa è la portata dell’accordo quadro e segnatamente della sua clausola 5 precisa infatti la Corte di giustizia 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04, cit. che l’obiettivo di quest’ultimo è quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato . 23. Quindi la compatibilità comunitaria di un regime differenziato pubblico/privato e così il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dall’art. 36, comma 5, d.lgs. 30 marzo 2001 numero 165 è un punto fermo, che si aggiunge alla compatibilità interna con il canone costituzionale del principio di eguaglianza Corte cost. numero 89/2003, cit. . 24. Le considerazioni svolte sull’obbligo del concorso pubblico e sul conseguente divieto di conversione del rapporto da tempo determinato in tempo indeterminato nel caso di rapporto con pubbliche amministrazioni consentono, dunque, di collocare fuori dal risarcimento del danno la mancata conversione del rapporto. 25. Questa è esclusa per legge e tale esclusione come detto è legittima sia secondo i parametri costituzionali sia secondo quelli Europei. 26. Non ci può essere risarcimento del danno per il fatto che la norma non preveda un effetto favorevole per il lavoratore a fronte di una violazione di norme imperative da parte delle pubbliche amministrazioni. 27. Quindi il danno non è la perdita del posto di lavoro a tempo indeterminato perché una tale prospettiva non c’è mai stata. 28. Come è stato precisato, il danno è altro. 29. Il lavoratore, che abbia reso una prestazione lavorativa a termine in una situazione di ipotizzata illegittimità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro o, più in generale, di abuso del ricorso a tale fattispecie contrattuale, essenzialmente in ipotesi di proroga, rinnovo o ripetuta reiterazione contra legem , subisce gli effetti pregiudizievoli che, come danno patrimoniale, possono variamente configurarsi. 30. Si può ipotizzare una perdita di chance qualora le energie lavorative del dipendente sarebbero potute essere liberate verso altri impieghi possibili ed in ipotesi verso un impiego alternativo a tempo indeterminato ma neppure può escludersi che una prolungata precarizzazione per anni possa aver inflitto al lavoratore un pregiudizio che va anche al di là della mera perdita di chance di un’occupazione migliore. 31. Tuttavia l’esigenza di conformità alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, numero 1999/70/CE Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato richiede, in analogia con la fattispecie omogenea, sistematicamente coerente e strettamente contigua, costituita dall’art. 32, comma 5, legge numero 183/2010 di individuare la misura dissuasiva ed il rafforzamento della tutela del lavoratore pubblico, quale richiesta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, nell’esonero dalla prova del danno nella misura in cui questo è presunto e determinato tra un minimo ed un massimo. 32. Ad avviso delle sezioni unite, la trasposizione di questo canone di danno presunto esprime anche una portata sanzionatoria della violazione della norma comunitaria sì che il danno così determinato può qualificarsi come danno comunitario così già Cass. 30 dicembre 2014, numero 27481 e 3 luglio 2015, numero 13655 nel senso che vale a colmare quel deficit di tutela, ritenuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la cui mancanza esporrebbe la norma interna art. 36, comma 5, cit. , ove applicabile nella sua sola portata testuale, ad essere in violazione della clausola 5 della direttiva e quindi ad innescare un dubbio di sua illegittimità costituzionale essa quindi esaurisce l’esigenza di interpretazione adeguatrice. La quale si ferma qui e non si estende anche alla regola della conversione, pure prevista dall’art. 32, comma 5, cit., perché si ripete la mancata conversione è conseguenza di una norma legittima, che anzi rispecchia un’esigenza costituzionale, e che non consente di predicare un inesistente danno da mancata conversione . 33. È stato così, conclusivamente, affermato che Il lavoratore pubblico e non già il lavoratore privato ha diritto a tutto il risarcimento del danno e, per essere agevolato nella prova perché ciò richiede l’interpretazione comunitariamente orientata , ha intanto diritto, senza necessità di prova alcuna per essere egli, in questa misura, sollevato dall’onere probatorio, all’indennità risarcitoria ex art. 32, comma 5. Ma non gli è precluso di provare che le chances di lavoro che ha perso perché impiegato in reiterati contratti a termine in violazione di legge si traducano in un danno patrimoniale più elevato . 34 . Nel caso di specie, la Corte territoriale ha errato nel quantificare il risarcimento con riferimento alla misura dell’indennità sostitutiva della reintegra. 35. All’accoglimento del ricorso, alla stregua di quanto esposto, segue la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altro giudice di merito che deciderà la causa adeguandosi al seguente principio di diritto Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dall’art. 36, comma 5, d.lgs. 30 marzo 2001 numero 165, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010, numero 183, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 legge 15 luglio 1966, numero 604 il tutto con ordinanza ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., numero 5. 36. In conclusione il ricorso va accolto e va cassata l’impugnata sentenza, con rinvio anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.