Sentenza penale e ‘Codice di comportamento’ inchiodano il dipendente pubblico: licenziato

Confermato il drastico provvedimento adottato da un ente nazionale. Rilevante la chiusura del procedimento penale, da cui è emersa l’attitudine dell’uomo a commettere reati tale dato è sicuramente lesivo dell’immagine della pubblica amministrazione.

Comportamenti incompatibili col ruolo di dipendente della pubblica amministrazione. Inequivocabile la sentenza penale di condanna a carico del lavoratore. E tale dato rende legittimo il licenziamento Cassazione, sentenza n. 11628/2016, Sezione Lavoro, depositata oggi . Immagine. A riconoscere le ragioni del datore di lavoro – un ente pubblico nazionale – sono i giudici dell’Appello, che, ribaltando completamente la visione tracciata in Tribunale, valutano come legittimo il licenziamento del dipendente . Negativa per il lavoratore una sentenza penale da cui è emerso che egli ha tenuto un comportamento, manifestante una preoccupante attitudine a commettere reati, lesivo dell’immagine della pubblica amministrazione . A completare il quadro, poi, anche la violazione dell’obbligo di fedeltà e del divieto di svolgere attività lavorative ulteriori fuori dal rapporto con l’ente pubblico. Licenziamento. La decisione assunta in Appello viene ora confermata dalla Cassazione. Alla luce del ‘Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni’, difatti, i magistrati ritengono assolutamente corretto il licenziamento adottato dall’ente nazionale. Il comportamento del lavoratore è valutato come gravissima violazione del ‘Codice di comportamento’. Ciò alla luce del principio secondo cui il dipendente mantiene una posizione di indipendenza, al fine di evitare di prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni, anche solo apparenti, di conflitto di interessi. Egli non svolge alcuna attività che contrasti con il corretto adempimento dei compiti d’ufficio e si impegna ad evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 aprile – 7 giugno 2016, numero 11628 Presidente Macioce – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Salerno, in riforma della sentenza dei Tribunale di Salerno resa in sede di opposizione ad ordinanza dei medesimo giudice, rigettava la domanda di C.G., proposta nei confronti del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, avente ad oggetto l'impugnativa dei licenziamento intimatogli dal predetto Consiglio. A base dei decisum, e per quello che interessa in questa sede, la Corte dei merito poneva, innanzitutto, il fondante rilievo che, nella specie dovevano ritenersi rispettati i termini del procedimento disciplinare di cui all'articolo 55 bis del dlgs numero 165 dei 2001 e tanto tenuto conto della intervenuta sospensione, disposta ai sensi dei richiamato articolo 55, del predetto procedimento. Nel merito, poi, la Corte distrettuale considerava, ex sentenza penale numero 414 del 2011 della Corte di Appello di Salerno, sussistenti gli estremi della incolpazione di cui al capo c della contestazione e giustificato il licenziamento per aver tenuto il C. un comportamento, manifestante una preoccupante attitudine a commettere reati violenti, lesivo dell'immagine della P.A. Sottolineava, infine, la Corte distrettuale, che la riammissione in servizio ope iudicis producendo effetti meramente caducatori dei provvedimento espulsivo non poteva che determinare il ripristino con effetti ex tunc del rapporto di lavoro e conseguentemente la P.A. ben avrebbe potuto prendere in considerazione la violazione dell'obbligo di fedeltà e dei divieto di svolgere attività lavorative ulteriori con riferimento al periodo antecedente il predetto ripristino dei rapporto di lavoro. Avverso questa sentenza il C. ricorre in cassazione sulla base di tre censure. Resiste con controricorso la parte intimata che a sua volta propone impugnazione incidentale condizionata sostenuta da due censure. Il C. deposita note di replica alle conclusioni dei P.M. Motivi della decisione Con il primo motivo dei ricorso principale il C., deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 54 e ss del dlgs numero 165 del 2001, sostiene l'erroneità della sentenza impugnata per non aver tenuto conto, nella verifica del rispetto dei termini dei procedimento disciplinare, che la sospensione di detto procedimento non gli è stata mai comunicata con conseguente irrilevanza di detta sospensione e, quindi, violazione dei predetti termini. La censura è infondata. Invero, come sottolineato, dalla Corte dei merito la richiamata normativa non prevede alcuna comunicazione al dipendente della sospensione dei procedimento disciplinare. Né un onere di tal genere a carico della P.A. è desumibile dalla complessiva disciplina regolante il procedimento disciplinare poiché trattandosi di normativa procedimentale prevedente specifici termini e decadenze è di stretta interpretazione sicché non può, certamente, ritenersi sussistente in via di deduzione un onere del genere implicante tra l'altro la decadenza da parte della P.A. dall'azione disciplinare. Del resto le comunicazioni che devono essere fatte al dipendente sono espressamente specificate nell'articolo 55 bis del dlgs numero 165 dél 2001, sicché in mancanza di una espressa previsione della comunicazione della sospensione del procedimento disciplinare , questa non può essere meramente desunta. D'altro canto non è ravvisabile, e non è allegato, nella mancanza di questa previsione, alcuna violazione del diritto di difesa, considerato anche che la sospensione del procedimento disciplinare è posta a favore dell'incolpato e non certo della P.A. Con la seconda censura del ricorso principale il C., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 54 e ss del dlgs numero 165 del 2001, sostiene che la sentenza impugnata è errata per aver i giudici di appello ritenuto che la contestazione di addebito al C. fosse idonea a giustificare il licenziamento mentre non lo era affatto in quanto carente del requisito della specificità. Assume al riguardo il C., richiamando il capo d'incolpazione sub c , che non vi è coincidenza dell'incolpazione con la fattispecie sanzionatoria e sostiene che il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura non ha proceduto ad una analitica e specifica contestazione dei fatti addebitati e delle norme sanzionatorie applicabili con conseguente lesione del diritto di difesa. La censura non può essere accolta. Invero tutte le questioni di cui al motivo in esame non risultano trattate nella sentenza impugnata ed il C. in violazione del principio di specificità del ricorso di cui agli artt. 366 numero 6 e 369 numero 4 cpc non allega in maniera circostanziata in quale atto processuale del giudizio di merito siffatte questioni sono state sollevate ed in quali termini sicché le stesse vanno considerate sollevate per la prima volta solo nel giudizio di legittimità e come tali sono inammissibili. Infatti secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte qualora una determinata questione giuridica non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa Cass. 2 aprile 2004 numero 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 numero 3664 e Cass. 28 luglio 2008 numero 20518 . D'altro canto devesi comunque rilevare che la contestazione di cui trattasi, alla stregua di quanto riportato nel ricorso principale, fa riferimento alle condotte suscettibili di nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione in violazione dell'articolo 2, comma 2, del dpcm 28 novembre 2000 recante il codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. La Corte del merito nel valutare la giustificatezza del licenziamento sotto il profilo in esame ritiene che trattasi di un comportamento gravissimo che integra violazione palese dell'articolo 2 del detto dpcm, emesso ai sensi del dlgs numero 29 del 1993 articolo 58 bis , come statuito dal dlgs numero 80 del 1997 articolo 27 il quale prevede che il dipendente non svolge alcuna attività che contrasti con il corretto adempimento dei compiti di ufficio e si impegna ad evitare situazioni e comportamenti che possono nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione . E proprio sulla violazione di tale divieto che la Corte del merito esprime la valutazione della predetta giustificatezza. Il dictum della sentenza impugnata si fonda, pertanto, sulla stretta correlazione tra incoipazione e sanzione. Con la terza critica il ricorrente principale, allegando violazione falsa applicazione di tutte le norme rubricate in precedenza censura la sentenza impugnata nella parte in cui si è ritenuto, con riferimento al capo dIncolpazione di cui alla lettera d , la relativa eventuale rilevanza stante, per effetto del provvedimento giudiziale, il ripristino con effetti ex tunc del rapporto di lavoro. La critica rimane assorbita per la non decisività della questione sollevata atteso che la Corte del merito fonda il suo decisum sul diverso capo d'incolpazione sub lettera c . Il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente principale per il principio della soccombenza. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 13, comma 1 quater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'articolo l, comma 17, della L. numero 228 del 2012 per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per li ricorso e della non ricorrenza di detti presupposti per il ricorrente incidentale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale e condanni il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in E. 3000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'articolo 1, comma 17, della L. numero 228 del 2012 si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso e della non ricorrenza di detti presupposti per il ricorrente incidentale.